Tumori rari

Attualmente manca una definizione soddisfacente di tumore “raro”: anche se in teoria si potrebbero adottare in questo caso le stesse definizioni in uso per le malattie rare, in realtà si conviene sul fatto che la definizione di tumore raro debba distinguersi da quella di malattia rara. In Europa, sono definite rare le malattie che hanno […]



Attualmente manca una definizione soddisfacente di tumore “raro”: anche se in teoria si potrebbero adottare in questo caso le stesse definizioni in uso per le malattie rare, in realtà si conviene sul fatto che la definizione di tumore raro debba distinguersi da quella di malattia rara.

In Europa, sono definite rare le malattie che hanno una frequenza uguale o inferiore a 50 casi per 100.000 abitanti. Con una tale soglia dovrebbero però essere inclusi tra le malattie rare anche tumori relativamente frequenti, come i tumori della testa e del collo e inoltre quelli dell’esofago, del fegato, del pancreas, i tumori cerebrali e tutte le leucemie.

Nel caso specifico, sembra invece preferibile assumere come criterio per la definizione di rarità non la frequenza (che gli studiosi chiamano prevalenza, corrispondente al numero di casi presenti nella popolazione) quanto l’incidenza, ossia il numero di nuovi casi nella popolazione riscontrati in un determinato intervallo di tempo; la prevalenza, infatti, include sia i nuovi casi, sia quelli diagnosticati in precedenza, ed è quindi influenzata dalla sopravvivenza.

Un tumore può essere poco presente nella popolazione pur essendo molto frequente, se si associa a una sopravvivenza limitata e viceversa un tumore raro, che compare di rado, potrebbe avere una prevalenza elevata in rapporto a una sopravvivenza prolungata.

Una soglia ragionevole è un tasso di nuovi casi intorno a 2-3 per 100.000 persone all’anno. Questo limite include nella definizione di tumore raro circa il 5-10% dei tumori.

Non essendo possibile una trattazione neppure sommaria di tutti i tumori rari, verranno discussi come modello i due tumori per i quali negli ultimi anni sono stati compiuti i maggiori passi avanti in campo diagnostico e terapeutico: i GIST (tumori stromali gastrointestinali) ed i tumori neuroendocrini.

Gist I tumori stromali gastrointestinali (denominati comunemente GIST) sono tumori provenienti dal tessuto connettivo (si definiscono quindi anche mesenchimali), più frequenti nell’apparato gastrointestinale, e rappresentano in tutto 1-3 % di tutti i tumori in questa parte del corpo: fino a poco tempo fa venivano considerati come tumori aventi origine dal tessuto muscolare, ma dal 1998, in seguito alla scoperta su questi tumori di determinati antigeni (CD117), vengono riconosciuti come categoria tumorale propria. Circa la metà dei pazienti presenta nella fase diagnostica diffusione metastatica nel fegato o nel peritoneo, più raramente anche nei polmoni o nelle ossa. L’età media in cui la malattia si manifesta si attesta tra i 55 e i 65 anni, ma esistono anche casi sporadici in età infantile e giovanile (GIST infantile). Gli uomini ne vengono colpiti più frequentemente delle donne.


Sintomi e segni

1. Presenza di una massa addominale, che può diventare palpabile o visibile: la diagnosi di molti GIST avviene infatti perché si riscontra, alla vista o alla palpazione, una massa addominale anomala, che può essere anche rilevata da esami diagnostici eseguiti per altri motivi. Se la massa addominale è voluminosa, può dare luogo a sintomi addominali, quali dolori o disturbi intestinali, a volte vaghi, altre volte collegati alla compressione degli organi vicini.

2. Sanguinamento gastrointestinale (ossia dalla bocca o dal retto) o peritoneale: in alcuni casi i GIST vengono diagnosticati in maniera del tutto imprevista, nel corso di accertamenti fatti in soggetti che presentavano un sanguinamento dalla bocca o dal retto o nel peritoneo. In questi casi, si può sviluppare un quadro acuto che richiede un intervento di urgenza.

3. Sanguinamenti di piccola entità, con conseguente possibile anemia. Frequentemente, tuttavia, mancano nei GIST alcuni segni tipici dei tumori più comuni del tratto gastroenterico, in particolare i sanguinamenti minori (sangue occulto nelle feci ecc.): ciò dipende dal fatto che i GIST nascono nella parete del tratto gastrointestinale e non, almeno inizialmente, dalla mucosa, cioè dallo strato più interno della parete.

Vi sono infine casi in cui la diagnosi di GIST viene fatta incidentalmente a seguito di un esame, per esempio un’endoscopia, o anche un intervento chirurgico, eseguiti per altri motivi. Spesso si tratta di GIST molto piccoli, con prognosi buona.


Diagnosi

Di fronte a sintomi sospetti, il medico dovrà arrivare a formulare una diagnosi precisa. Per fare questo può avvalersi di un’ecografia, una TAC, una RMN o una gastroscopia.

  • Ecografia: è una tecnica radiologica che permette di visualizzare le parti interne del corpo e le restituisce come immagini a due dimensioni mediante l’utilizzo di onde sonore ad alta frequenza (ultrasuoni).
  • TC (Tomografia Computerizzata): è una tecnica radiografica che fotografa parti interne del corpo attraverso l’uso di un computer.
  • RMN (Risonanza Magnetica): le onde magnetiche rilevano immagini di organi interni del corpo.
  • Gastroscopia o colonscopia: questi esami permettono di visualizzare direttamente le pareti interne (rispettivamente di stomaco e colon-retto) mediante l’introduzione di un tubo sottile e flessibile che ha in cima una piccola telecamera e tramite il quale può anche essere eseguita una biopsia (prelievo del tessuto tumorale).

Se uno di questi esami mostra una massa addominale, il medico dovrà procedere, per avere la certezza della diagnosi, a esame istologico, cioè al prelievo del tessuto tumorale (biopsia) e alla sua analisi al microscopio. La biopsia può essere eseguita nel corso di esami endoscopici, se la massa è accessibile dal lume del tratto gastroenterico, o sotto guida TC o ecografica; altre volte è necessario un vero e proprio intervento chirurgico ad addome aperto (laparotomia). La diagnosi viene effettuata sul campione prelevato. è molto importante inoltre la determinazione della presenza dell’enzima KIT (CD117), che viene rivelata da una particolare colorazione del tessuto prelevato, detta colorazione immunoistochimica.


Prevenzione e trattamento

Alcune persone corrono un rischio più alto rispetto ad altre di sviluppare determinate malattie. Ciò può dipendere da diversi fattori di rischio, ossia condizioni nelle quali aumenta la probabilità di una persona di contrarre una malattia, come un tumore: avere uno o più fattori di rischio non significa però necessariamente ammalarsi.

In particolare non esistono fattori di rischio propriamente detti per i tumori stromali del tratto gastrointestinale: solo raramente i GIST si sviluppano in presenza di condizioni che possono predisporre la persona ad ammalarsi. Una di queste condizioni predisponenti è rappresentata da una rarissima sindrome familiare (nel cui caso nella stessa famiglia si verificano molti casi di GIST), la neurofibromatosi di tipo I.

Nella maggior parte dei casi non si riconoscono fattori predisponenti né sono note le cause della malattia.

Fino al 2000 l’unica possibilità di trattamento di questi rari tumori era rappresentata dall’asportazione chirurgica (tecnicamente detta resezione). Un trattamento efficace era fino ad allora alquanto problematico, poiché i tumori risultavano estremamente resistenti contro la chemioterapia e la radioterapia, cosa che classificava questa forma di cancro tra quelle più difficili da curare. Con l’introduzione dell’imatinib sono stati raggiunti, dal 2001 ai giorni nostri, risultati eccezionali anche nel trattamento di GIST.

Questo farmaco rappresenta per i pazienti affetti da GIST una terapia che, in virtù dell’ottima efficacia e tollerabilità, implica un netto vantaggio in termini di durata e qualità della vita. Nonostante l’efficacia dell’imatinib contro i GIST, si assiste in una parte dei pazienti a una progressione della malattia; una causa di questa resistenza terapeutica consiste nello sviluppo di mutazioni geniche che impediscono al farmaco di esercitare la sua funzione inibitoria. Al sospetto che la malattia progredisca, segue l’esame che stabilisce se si tratta, per esempio, di una progressione sistemica (quindi che si estende a tutto l’organo colpito dal tumore) o locale. Ciononostante, la terapia con l’imatinib deve proseguire con dosaggio aumentato. Al di sotto del dosaggio massimo si raggiunge una ristabilizzazione di circa un 1/3 dei pazienti.

Un ulteriore agente inibitore della tirosin-chinasi, il sunitinib, è stato approvato nel trattamento pazienti con GIST resistente all’imatinib o non tolleranti fin dal principio a esso.

Tumori neuroendocrini Il sistema neuroendocrino include tutte le cellule nervose ed endocrine che hanno in comune l’espressione di alcune proteine specifiche (definite marker panendocrini) e secernenti tipi particolari di sostanze ad azione ormonale.

I tumori neuroendocrini (NeuroEndocrine Tumors, NETs) sono un gruppo eterogeneo di neoplasie che possono insorgere in qualsiasi parte del nostro organismo e che hanno un comportamento biologico variabile, potendo interessare qualsiasi organo endocrino e distretto dell’organismo, derivando da ognuna delle popolazioni cellulari che costituiscono il sistema neuroendocrino.

Classicamente i NETs comprendono i tumori dell’apparato gastroenteropancreatico, i tumori neuroendocrini del polmone, il carcinoma midollare della tiroide, i carcinomi cutanei a cellule di Merkel, i feocromocitomi e i paragangliomi. Il distretto gastroenteropancreatico (GEP), oggi considerato il più esteso organo endocrino del nostro corpo, rappresenta la sede più frequente di tali tumori, che colpiscono circa 1 o 2 persone su 100.000 all’anno.


Sintomi e segni generali

I tumori neuroendocrini possono presentarsi con un’eccessiva secrezione dell’ormone serotonina. La presenza di grandi quantità di questa sostanza (e di altre meno caratterizzate nel flusso ematico) può provocare la sindrome da carcinoide, che comprende: arrossamento del volto e del collo, diarrea (meno frequentemente) difficoltà respiratoria e broncospasmo, come in un attacco asmatico.

La sindrome è normalmente rilevabile quando i tumori neuroendocrini si sono diffusi in altre parti del corpo. In tal caso, si dice che i tumori hanno metastatizzato.


Tumori neuroendocrini più caratteristici

  • Insulinomi: secernono grandi quantità dell’ormone insulina. Alti livelli di insulina possono dar luogo a ipoglicemia, che a sua volta provoca disturbi visivi, debolezza, sudorazione, stato confusionale, meno frequentemente crisi epilettiche.

I sintomi si verificano spesso al mattino presto o durante la notte, quando i livelli di glicemia sono più bassi.

  • Gastrinomi: producono grandi quantità di gastrina, che provoca l’ipersecrezione di acido nello stomaco. Questo eccesso di acido può causare dolore addominale, diarrea, sviluppo di ulcere peptiche, una condizione patologica nota anche come sindrome Zollinger-Ellison.
  • VIPomi: secernono un ormone chiamato peptide vasoattivo intestinale (VIP). I pazienti affetti da VIPoma possono avere la sindrome di Verner-Morrison, caratterizzata da diarrea profusa e liquida.
  • Glucagonomi: secernono grandi quantità dell’ormone glucagone, che provoca iperglicemia e diabete. I pazienti con glucagonomi possono sviluppare un’irritazione cutanea, chiamata eritema necrolitico migratorio, che interessa la parte inferiore del busto, i glutei, il perineo e le cosce. Questa irritazione può essere diagnosticata da un dermatologo. I pazienti possono anche perdere peso.


Diagnosi

Se una persona accusa sintomi che potrebbero essere attribuiti a un tumore neuroendocrino, si eseguono analisi del sangue e delle urine per confermare il sospetto. Queste analisi misurano le quantità di determinati ormoni e di altre sostanze associate a tumori neuroendocrini. Livelli anormali di un particolare ormone possono contribuire ad accertare la presenza di un tipo specifico di tumore neuroendocrino.

I tumori neuroendocrini, per esempio, secernono grandi quantità di serotonina. Una delle componenti chimiche della serotonina è l’acido 5-idrossiindolacetico (5-HIAA), che può essere rintracciato nelle urine. L’analisi di laboratorio utilizzata più spesso per rilevare tumori neuroendocrini misura la quantità di 5-HIAA nelle urine raccolte nell’arco delle 24 ore. Questa analisi, tuttavia, non riesce sempre a rilevare i tumori neuroendocrini, specialmente se localizzati nei polmoni, nello stomaco o nel retto.

Un’altra sostanza che può indicare la presenza di tumori neuroendocrini è la cromogranina A (CgA). Tuttavia, poiché la CgA può essere presente in elevate concentrazioni anche in altre patologie, non può essere considerata un marcatore specifico di tumori neuroendocrini e quindi non viene utilizzata nelle analisi di screening o diagnostiche.

Per determinare la localizzazione di un tumore, le sue dimensioni e l’eventuale metastasi, i medici si avvalgono di vari strumenti, tra cui endoscopia, TC, RMN e SRS.

Endoscopia. Questa procedura prevede l’impiego di un endoscopio, un tubo sottile dotato di un apparato illuminante all’estremità distale. Questo strumento serve a localizzare un tumore nel tratto gastrointestinale e viene utilizzato più frequentemente per rilevare tumori neuroendocrini gastrici o rettali. Data la difficoltà di visualizzare in modo soddisfacente l’intestino tenue, l’endoscopio potrebbe anche non essere in grado di rilevare i tumori neuroendocrini localizzati in questo organo.

Tomografia computerizzata (TC) e risonanza magnetica nucleare (RMN). Queste procedure di indagine vengono utilizzate per ottenere immagini del tratto gastrointestinale e del pancreas. Possono servire a rilevare il tumore primario e a determinare l’eventuale presenza di metastasi.

Scintigrafia dei recettori della somatostatina (SRS) Numerosi tumori neuroendocrini contengono proteine chiamate recettori della somatostatina. Nell’organismo, questi recettori si legano naturalmente all’ormone somatostatina, ma possono legarsi anche a derivati sintetici, come l’octreotide, chiamati analoghi della somatostatina. Per eseguire una SRS, l’octreotide viene marcato con una sostanza radioattiva, l’indio-111, e iniettata in una vena. L’octreotide a marcatura radioattiva viaggia nel sangue fino a quando incontra un tumore contenente recettori della somatostatina, ai quali si lega. A questo punto ci si serve di un dispositivo che misura le radiazioni per rilevare l’octreotide marcato e individuare la localizzazione del tumore. L’isotopo radioattivo si scompone e viene eliminato dall’organismo nel giro di pochi giorni. Questa tecnica può servire anche a determinare se gli analoghi della somatostatina possono essere utilizzati nel trattamento di tumori neuroendocrini, poiché i tumori che contengono recettori della somatostatina hanno maggiori probabilità di rispondere al trattamento di quelli che non li contengono.


Prevenzione e trattamento

Chirurgia Quando è possibile, si cerca di asportare chirurgicamente il tumore, la cui rimozione completa potrebbe costituire la cura della malattia. Anche nel caso in cui non si possa asportare l’intero tumore, conviene prendere in considerazione l’opportunità di un intervento di debulking, per eliminarne quanto più è possibile. L’intervento chirurgico può alleviare alcuni sintomi, talvolta per un lungo periodo, in quanto molti tumori sono a lenta crescita.

Embolizzazione (o chemioembolizzazione) L’embolizzazione viene eseguita in alcuni pazienti con metastasi al fegato. Questa procedura blocca meccanicamente il rifornimento ematico alle metastasi, provocandone la riduzione e costringendole a essere meno attive. Viene di solito eseguita da un radiologo interventista e può essere associata a chemioterapia; in tal caso si parla di chemioembolizzazione.

Analoghi della somatostatina Oltre a fungere da strumento diagnostico, l’octreotide, un analogo della somatostatina, può servire ad alleviare i sintomi causati dall’elevata secrezione di vari ormoni prodotti dalle cellule dei tumori neuroendocrini. L’octreotide è preferito alla somatostatina nel trattamento di tumori neuroendocrini perché quest’ultima viene rapidamente catabolizzata dall’organismo: infatti la breve emivita della somatostatina non è in grado di controllare i sintomi per periodi prolungati. L’octreotide resiste molto più a lungo ed è un farmaco estremamente più efficace per il trattamento dei sintomi dei tumori neuroendocrini.

Gli analoghi della somatostatina sono soprattutto utili nella riduzione dei sintomi (come diarrea acuta e arrossamento) di tumori neuroendocrini funzionali (per esempio tumori neuroendocrini metastatici e VIPomi).

Trattamenti prolungati con octreotide non determinano tossicità di rilievo, se si eccettua l’occasionale comparsa di calcoli biliari, che però raramente richiedono terapia. In questo caso, i pazienti possono provare nausea, dolore addominale, flatulenza, costipazione, vomito, e accusare iperglicemia o ipoglicemia.

Chemioterapia Per trattare i tumori neuroendocrini vengono usati diversi farmaci chemioterapici. Numerosi regimi chemioterapici standard utilizzano combinazioni di farmaci che comprendono streptozocina, doxorubicina, 5-fluoruracile o dacarbazina. Anche se tali regimi si sono rivelati utili per alcuni pazienti, non si può dire che complessivamente abbiano dato risultati omogenei. Attualmente sono in corso varie ricerche su trattamenti potenzialmente più efficaci e meno tossici.

Radioterapia Per trattare i tumori neuroendocrini si possono utilizzare anche i raggi X o altri tipi di radiazioni. Per alleviare i sintomi del tumore, si utilizza talvolta la radioterapia a fasci esterni. In questo caso, si impiega un macchinario che dirige un fascio di radiazioni sulla regione occupata dalla neoplasia per uccidere le cellule tumorali. La radioterapia a fasci esterni è particolarmente utile nei pazienti con metastasi ossee.

[G.V., M.A.]