Test genetici

Con il termine test genetici si intendono tutte le analisi eseguite su DNA, cromosomi, RNA, proteine o su qualsiasi altro prodotto del patrimonio genetico di un individuo allo scopo di individuarvi alterazioni predisponenti allo sviluppo di malattie; sono pertanto esclusi dal campo medico i test utilizzati con finalità legali (quali i test di paternità) e […]



Con il termine test genetici si intendono tutte le analisi eseguite su DNA, cromosomi, RNA, proteine o su qualsiasi altro prodotto del patrimonio genetico di un individuo allo scopo di individuarvi alterazioni predisponenti allo sviluppo di malattie; sono pertanto esclusi dal campo medico i test utilizzati con finalità legali (quali i test di paternità) e quelli volti alla attribuzione di una traccia biologica a un determinato individuo.

Tutti i risultati delle analisi genetiche, così come ogni altro atto medico, sono strettamente vincolati al segreto professionale e alla legislazione vigente in materia di tutela della privacy. Poiché i test genetici, a differenza delle comuni analisi di laboratorio, toccano un ambito particolarmente delicato della sfera privata, sia personale sia familiare, e possono avere importanti ripercussioni sull’autorappresentazione di sé, la programmazione della propria vita e le scelte riproduttive, è raccomandabile che siano utilizzati nel contesto di un counselling genetico. Alla voce Malattie genetiche, cui si rimanda, sono già stati descritti i progressi scientifici ottenuti dal sequenziamento del genoma umano, che ha permesso di identificare nel nostro genoma un numero compreso tra 25.000 e 30.000 geni, con importanti ripercussioni in campo medico. A tutt’oggi sono note poco meno di 6000 malattie per le quali un difetto del patrimonio genetico rappresenta la causa principale o una delle cause scatenanti; per più di 2200 malattie si conosce lo specifico difetto genetico che ne causa lo sviluppo, e questo numero cresce di giorno in giorno aumentando la domanda di test genetici e le aspettative in termini di diagnosi e di cura da parte delle famiglie coinvolte. Dai dati riportati nel riquadro della pagina precedente è possibile comprendere la rapidità con la quale crescono le conoscenze nel campo della genetica medica; per darne un altro esempio basti pensare che nel periodo 2005-2008 è stato scoperto il difetto genetico responsabile di 533 malattie e sono state descritte 132 nuove malattie ereditarie di cui il difetto genetico non è ancora noto. Il progresso scientifico e tecnologico deve comunque essere accolto con prudenza, anche perché qualsiasi nuova scoperta richiede una fase di validazione e sperimentazione prima di essere introdotta e utilizzata nella pratica clinica.


Counselling genetico

È l’atto medico durante il quale viene posta la diagnosi clinica di una malattia genetica: nel corso dell’esame il medico specialista in genetica medica visita il paziente o i membri di una famiglia, valuta la documentazione clinica disponibile, ricostruisce l’albero genealogico familiare e formula una diagnosi. La diagnosi di una malattia genetica o ereditaria può consistere in una diagnosi clinica più o meno certa (basata su segni e sintomi oltre che sulla storia medica personale e familiare) oppure in una diagnosi probabilistica, che indica cioè quanto è probabile che il quadro clinico personale e familiare sia dovuto a una malattia ereditaria. La diagnosi può essere confermata o esclusa mediante l’utilizzo di un test genetico. Qualora il test genetico sia disponibile, il genetista informa il paziente sull’utilità del test, sui suoi limiti in termini di sensibilità, sui risultati possibili e su quali sarebbero le conseguenze per il paziente e per i familiari di un test genetico risultato positivo, negativo o dubbio. Durante il counselling genetico il paziente riceve anche una serie di informazioni inerenti la malattia, le conseguenze e l’evoluzione della malattia stessa, la probabilità di svilupparla e di trasmetterla alla prole, le misure che consentono di prevenirla o di migliorarne il decorso.

Nel percorso decisionale in merito all’eventuale utilizzo di un test genetico, il paziente è sollecitato a interrogarsi sugli aspetti più problematici inerenti le malattie genetiche, per esempio l’impatto sulla propria vita della conoscenza dei rischi genetici, la possibilità di trasformare un sospetto clinico in una diagnosi certa, il comportamento che il paziente intende tenere per gestire i rischi e rapportarsi con il resto della famiglia nell’eventualità di trasmettere (o di aver già trasmesso) il difetto genetico alla prole. Il counselling genetico prevede quindi anche una fase di ascolto volta ad aiutare il paziente e i familiari a prendere la decisione più consona al proprio carattere, alle proprie attitudini e necessità. L’esecuzione di un test genetico richiede la firma di un consenso informato che, al di là dell’atto formale e del suo valore medico-legale, serve a confermere esplicitamente che il paziente ha ben compreso il percorso diagnostico che lo attende e ha compiuto una scelta libera e consapevole.

La maggior parte dei test genetici eseguiti su persone viventi richiede un campione di sangue (per prelevare il quale non occorre il digiuno) e molto spesso il prelievo può essere eseguito al termine della seduta di counselling o programmato a breve. Anche la consegna del risultato dell’analisi genetica di solito avviene durante una consulenza genetica post-test, che ha lo scopo di fornire tutte le spiegazioni inerenti il risultato e le conseguenze “mediche” dello stesso, aiutare il paziente a “calare” tale risultato nel proprio vissuto personale e familiare e valutare insieme l’opportunità di rendere partecipi i propri parenti del risultato del test.


Test genetici per malattie monogeniche

Test diagnostici Quando una malattia presente in uno o più membri di una famiglia può essere dovuta alla mutazione di un gene specifico, può essere indicato il ricorso a un test genetico diagnostico, il quale ha lo scopo di verificare il sospetto di malattia genetica ereditaria. Rispetto alla sola diagnosi clinica, il test genetico presenta i seguenti vantaggi: se il test risulta positivo per mutazione permette di confermare la diagnosi clinica (un test genetico negativo per mutazione consente di escludere la diagnosi di malattia ereditaria solo se ha una sensibilità molto alta, in caso contrario ne riduce solo la probabilità o addirittura non permette di cambiare la diagnosi clinica); qualora vi sia una correlazione tra specifiche mutazioni e determinate manifestazioni cliniche di malattia (cosiddetta correlazione tra genotipo e fenotipo) il risultato del test aiuta nella gestione clinica del paziente; l’identificazione della specifica mutazione in un membro malato della famiglia consente di estendere l’analisi genetica agli altri membri della famiglia, mediante un test mirato che renda possibile individuare i parenti che hanno ereditato lo specifico difetto genetico; l’identificazione della specifica mutazione responsabile della malattia di un determinato individuo o di una famiglia permette, in caso di necessità, di eseguire una diagnosi prenatale: se il difetto genetico è ignoto, i tempi ristretti di una diagnosi prenatale spesso non consentono la caratterizzazione genetica del nucleo familiare.

I tempi, i costi e la sensibilità di un test genetico dipendono sia dalle caratteristiche della malattia e del gene (o geni) responsabili, sia dalla metodica di laboratorio utilizzata per il test.

Eterogeneità genetica Significa che una stessa malattia può essere dovuta alla mutazione di geni diversi. In questo caso il test genetico può richiedere l’analisi di uno o più geni, contemporaneamente o in successione.

Caratteristiche del gene e spettro mutazionale Un gene può occupare un tratto breve di DNA, analizzabile in 2 o 3 esperimenti, o essere estremamente grande e richiedere quindi da 10 a più di 100 esperimenti, con evidenti differenze in termini di tempi di esecuzione e di costi. Inoltre, le mutazioni responsabili di una determinata malattia possono essere una sola o poche in tutti i casi oppure diverse da famiglia a famiglia, essere prevalenti in una specifica regione del gene o distribuite lungo l’intera lunghezza, consistere nel cambiamento di uno o pochi nucleotidi del DNA oppure nella perdita o nella duplicazione di un tratto di gene, e tutte queste variabili condizionano l’impostazione tecnica del test.

Metodiche di laboratorio Una dettagliata descrizione di tutte le metodiche disponibili per l’analisi del DNA esula dagli scopi della presente trattazione ma in breve si possono distinguere alcune tecniche principali, elencate di seguito.

  • Il sequenziamento diretto del DNA permette di visualizzare nucleotide per nucleotide tutto il DNA che costituisce un gene, o almeno la parte di esso che contiene l’informazione per costruire la relativa proteina (cosiddetta regione codificante o esoni) ma è la metodica di analisi più lunga e costosa.
  • Le metodiche conformazionali di analisi del DNA permettono di analizzare in batteria tanti frammenti di DNA con lo scopo di verificare se hanno un aspetto “normale” o se presentano invece caratteristiche biochimiche diverse dall’atteso: i frammenti di DNA con caratteristiche anomale vengono quindi sequenziati per verificare la corretta successione dei nucleotidi che li compongono. Tali metodiche conformazionali (come l’SSCP, Single Strand Nucleotide Polymorphism, il DGGE, Denaturing Gradient Gel Electrophoresis o l’analisi in DHPLC, Denaturing High Performance Liquid Chromatography) sono molto più rapide e meno costose del sequenziamento diretto e permettono di selezionare tra tanti frammenti di DNA quelli che necessitano di essere sequenziati.
  • Le metodiche per la ricerca di mutazioni specifiche sono applicabili quando esistono una o poche mutazioni responsabili della maggior parte dei casi di una determinata malattia in una determinata popolazione (come il test OLA, Oligonucleotide Ligation Assay, per la ricerca delle mutazioni più frequenti della fibrosi cistica).
  • Le metodiche per la ricerca di delezioni o duplicazioni di tratti di DNA sono particolarmente complesse e di solito rappresentano un test di secondo livello se non è stata trovata alcuna mutazione con le tecniche precedenti.


Test pre-sintomatici

Qualora in un nucleo familiare sia presente una malattia ereditaria che si manifesta nell’età adulta (per esempio la corea di Huntington o le atassie spino-cerebellari ereditarie), un individuo giovane figlio di un malato presenta un rischio del 50% di aver ereditato il difetto genetico e quindi di sviluppare la malattia negli anni a venire. Se il difetto genetico responsabile della malattia è noto, questo individuo giovane può decidere di sottoporsi al test che, nel caso in cui risulti positivo, permette la diagnosi di malattia prima dello sviluppo dei sintomi. Per le malattie neurodegenerative non esiste al momento alcuna possibilità di cura e pertanto questi test presentano un impatto psicologico molto forte. Il counselling genetico si avvale quindi di un supporto psicologico per aiutare il paziente nel percorso decisionale e nella fase di accettazione del risultato del test.


Test predittivi

Qualora in un nucleo familiare sia presente una forma ereditaria di predisposizione allo sviluppo di tumori quali il tumore ereditario del colon-retto (HNPCC) o il tumore ereditario della mammella e dell’ovaio, un individuo giovane figlio di un malato presenta un rischio del 50% di aver ereditato il difetto genetico. La presenza della mutazione non dà tuttavia la certezza di ammalarsi, ma predice un rischio di tumore che può variare a seconda dei casi dal 20 all’80%. Anche i test predittivi di rischio oncologico presentano un forte impatto psicologico ma, a differenza dei precedenti, sono disponibili dei programmi di prevenzione o di diagnosi precoce dei tumori che consentono di migliorare il decorso della malattia.


Test per l’identificazione dei portatori di malattie recessive

Questi test hanno lo scopo di identificare, all’interno di una popolazione o di un nucleo familiare, i soggetti sani che sono portatori di mutazioni responsabili di malattie recessive. Qualora due portatori decidano di avere figli, è presente un rischio del 25% di avere un figlio affetto. In popolazioni o in aree geografiche in cui si riscontri un aumento dei portatori di una specifica malattia recessiva, può essere giustificato il ricorso a test di identificazione per ridurre l’incidenza della malattia attraverso scelte riproduttive consapevoli o la diagnosi prenatale.

Anche se apparentemente innocui, questi test possono avere un certo impatto psicologico e possono interferire con la formazione delle coppie o porre di fronte a seri problemi decisionali come il riscorso alla diagnosi prenatale.


Test genetici per malattie genomiche e cromosomiche

Analisi del cariotipo I cromosomi, ovvero le 46 molecole di DNA presenti nel nucleo delle nostre cellule, sono visibili al microscopio ottico quando la cellula sta per dividersi (cosiddetta metafase) e quindi ha duplicato e condensato al massimo grado tutto il suo DNA; l’esame del cariotipo ha lo scopo di valutare numero e struttura di tali molecole; viene eseguito su cellule vive che si dividono spontaneamente (cellule del liquido amniotico, dei villi della placenta, del midollo osseo, fibroblasti della cute, cellule tumorali) o che vengono stimolate a dividersi in coltura (linfociti del sangue periferico stimolati dalla fitoemoagglutinina).

Le cellule vengono “bloccate” in metafase con i cromosomi spiralizzati grazie a un veleno del fuso mitotico, la colchicina, quindi trattate con soluzione ipotonica per aumentare il loro volume e separare i cromosomi l’uno dall’altro. Il preparato viene quindi fissato, distribuito su vetrini da microscopio e lasciato asciugare all’aria.

Per un adeguato riconoscimento dei cromosomi e la valutazione della loro struttura, i preparati vengono colorati con sostanze che creano un bandeggio caratteristico lungo l’asse principale dei cromosomi. Il colorante più utilizzato è il Giemsa (bandeggio G), che consente l’analisi del cariotipo al microscopio ottico, o la Quinacrine (bandeggio Q), che richiede l’analisi al microscopio a fluorescenza.

L’analisi del cariotipo viene eseguita su almeno 10-15 cellule e con un grado di spiralizzazione dei cromosomi che consenta di visualizzare non meno di 320 bande: un’analisi più accurata richiede tuttavia cromosomi meno condensati, lungo i quali sia riconoscibile un numero superiore di bande. Le principali indicazioni all’analisi del cariotipo sono:

Analisi cromosomica con ibridazione fluorescente in situ (FISH, Fluorescent In Situ Hybridization) Oggi sono disponibili sonde di DNA coniugate con sostanze fluorescenti (chiamate fluorocromi) in grado di legarsi a sequenze specifiche, a esse complementari, del DNA cromosomico.

Grazie all’utilizzo di queste sonde è possibile “colorare” e quindi riconoscere i centromeri o i telomeri dei vari cromosomi e le relative regioni sub-centromeriche e sub-telomeriche, specifici geni o regioni cromosomiche o addirittura un intero cromosoma (cosiddetti painting e multicolor FISH).

Lo sviluppo della citogenetica molecolare (analisi del cariotipo associata alla FISH o ibridazione fluorescente in situ) ha quindi determinato grossi progressi nella diagnostica delle sindromi da microdelezione (malattie genomiche dovute alla perdita di una piccola porzione di cromosoma, contenente diversi geni ma non riconoscibile all’analisi del cariotipo) e nella caratterizzazione di riarrangiamenti cromosomici e cariotipi complessi quali quelli tumorali.

Ibridazione genomica comparativa (CGH Comparative Genomic Hybridization) Questa metodica, sviluppata di recente, consente di identificare regioni del genoma perse (delete) o duplicate nel DNA di un individuo o di alcune sue cellule. La CGH viene eseguita in laboratori di ricerca e utilizzata di solito per analizzare il genoma di individui (per lo più bambini) con ritardo mentale e malformazioni ma con cariotipi normali o presenza di alterazioni complesse.

In questi casi la CGH può dimostrare la presenza di delezioni o duplicazioni di tratti del genoma anche non riconoscibili all’analisi cromosomica convenzionale.

Un altro settore nel quale viene utilizzata la CGH è l’oncologia: in quest’ambito è efficace nel caratterizzare le regioni genomiche perse o amplificate in specifici tumori, e che quindi contengono possibili geni oncosoppressori (regioni delete) o geni oncogeni (regioni duplicate o amplificate). In breve, la CGH consiste nel mescolare uguali quantità di un DNA normale di controllo (marcato con un colorante di solito rosso) e di DNA da analizzare (marcato con un colorante di solito verde).

La miscela così ottenuta viene usata come sonda su un preparato di cromosomi normali, oppure su un filtro o un vetrino sul quale sono state legate centinaia o migliaia di brevi sequenze di DNA rappresentative dell’intero genoma (CGH microarrays).

Le regioni cromosomiche o le sequenze che risulteranno colorate in giallo corrispondono alle parti del genoma presenti in uguale quantità nel DNA di controllo e in quello da analizzare, quindi normali (un’uguale quantità di fluorescenza rossa e di verde determinerà infatti una colorazione gialla). Le regioni cromosomiche o le sequenze che risulteranno colorate in rosso corrispondono invece alle parti del genoma presenti in maggiore quantità nel DNA di controllo rispetto a quello da analizzare, quindi delete (prevalenza della fluorescenza rossa a causa della riduzione di quella verde).

Le regioni cromosomiche o le sequenze che risulteranno colorate in verde corrispondono, infine, alle parti del genoma presenti in maggiore quantità nel DNA da analizzare rispetto a quello di controllo, quindi duplicate o amplificate (prevalenza della fluorescenza verde per aumento del contenuto in DNA rispetto al normale).

[B. P., A. A., G. C. C.]