ANESTESIA

Il termine anestesia deriva dal greco antico e letteralmente significa insensibilità. Si utilizza l’anestesia per sopprimere il dolore provocato dall’intervento chirurgico e ridurre lo stress che quest’ultimo determina dal punto di vista emozionale e fisico: infatti, in assenza di anestesia, l’organismo reagisce all’aggressione chirurgica producendo sostanze responsabili di una serie di alterazioni dell’equilibrio ormonale, nell’ambito […]



Il termine anestesia deriva dal greco antico e letteralmente significa insensibilità.

Si utilizza l’anestesia per sopprimere il dolore provocato dall’intervento chirurgico e ridurre lo stress che quest’ultimo determina dal punto di vista emozionale e fisico: infatti, in assenza di anestesia, l’organismo reagisce all’aggressione chirurgica producendo sostanze responsabili di una serie di alterazioni dell’equilibrio ormonale, nell’ambito di quella che i fisiologi definiscono reazione di fuga: le più evidenti sono l’aumento della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca (tachicardia), della concentrazione di glucosio nel sangue (iperglicemia). L’anestesia può essere generale o locale: nel primo tipo l’insensibilità al dolore si accompagna a una perdita di coscienza pilotata (ipnosi), che comporta l’assenza di ricordo dei momenti dell’intervento.

Nel caso invece dell’anestesia locale si abolisce la sensibilità solo di una parte del corpo mentre il paziente rimane sveglio; solo talvolta può essere indotta una lieve ipnosi allo scopo di migliorare il comfort, per esempio in caso di pazienti particolarmente ansiosi o di interventi che si prolungano oltre i tempi previsti.

Visita anestesiologica Prima di effettuare una anestesia viene sempre fatta una visita, da parte dell’anestesista, finalizzata a:

  • valutare le condizioni cliniche del paziente, per verificare l’eventuale presenza di patologie che possono interagire con l’anestesia: per esempio i pazienti affetti da miastenia sono particolarmente suscettibili agli effetti del curaro, che possono essere talmente amplificati (specie in termini di durata), da determinare grosse difficoltà al recupero della respirazione spontanea, con conseguente insufficienza respiratoria postoperatoria grave;
  • definire la necessità di eventuali approfondimenti diagnostici o provvedimenti atti a contenere il rischio anestesiologico o a prevenirne le complicanze, come la richiesta di ulteriori esami o consulenze specialistiche, la sospensione di farmaci potenzialmente interferenti con gli anestetici, l’indicazione di degenza postoperatoria immediata in terapia intensiva;
  • proporre e condividere con il paziente, ottenendone il consenso informato, il tipo di anestesia più idoneo e a minor rischio in funzione dell’intervento chirurgico previsto;
  • indicare l’eventuale somministrazione di farmaci preparatori all’anestesia, di solito rappresentati da ansiolitici, prima dell’intervento (la cosiddetta preanestesia).


Anestesia generale

Viene effettuata mediante somministrazione di anestetici per via endovenosa e inalatoria, che raggiungono il cervello determinando perdita di coscienza e insensibilità dell’intero organismo. Nell’anestesia generale si distinguono tre diverse fasi:

  • induzione;
  • mantenimento;
  • risveglio.

Dopo aver posizionato una cannula in una vena dell’avambraccio e attivato il controllo (monitorizzazione) dei principali parametri vitali (funzionamento cardiaco rilevato mediante elettrocardiogramma, pressione arteriosa, ossigenazione del sangue) si procede con la prima fase, l’induzione.

Al paziente sono somministrati per via endovenosa farmaci che inducono il sonno; quando è addormentato, sempre per via endovenosa si somministrano i cosiddetti curari, che bloccano temporaneamente l’attività di tutti i muscoli del corpo, ivi compresi quelli responsabili della respirazione, con conseguente scomparsa della respirazione spontanea.

Si procede quindi a introdurre rapidamente un apposito tubicino nella trachea (in termine tecnico si parla di intubazione tracheale), in genere attraverso la bocca o, più raramente, attraverso il naso se il tipo di intervento chirurgico lo richiede: in questo modo si rende possibile la respirazione mediante l’utilizzo di un apposito apparecchio (respiratore artificiale) e nel contempo si possono somministrare per inalazione continua i gas anestetici.

La concentrazione nel sangue dei gas anestetici viene portata fino a un livello prestabilito, variabile a seconda del tipo di intervento chirurgico, delle difficoltà che il chirurgo può incontrare e delle condizioni del paziente: questo livello costituisce il “piano di anestesia”. A questo punto comincia la seconda fase, il mantenimento, durante il quale il piano di anestesia viene mantenuto costante mediante continua somministrazione dell’anestetico e monitoraggio clinico-strumentale.

In prossimità del termine dell’intervento inizia il risveglio: viene sospesa la somministrazione degli anestetici, per cui la loro concentrazione nel sangue si riduce progressivamente fino ad azzerarsi e il paziente riprende coscienza. l’eventuale presenza di blocco muscolare residuo viene eliminata utilizzando un farmaco antagonizzante i curari.


Complicanze dell’anestesia generale


Cardiocircolatorie

Tra le più gravi vi sono l’arresto cardiaco, l’infarto del miocardio, l’embolia polmonare, le aritmie. Sono evenienze che capitano ormai molto più raramente di un tempo, grazie da un lato al perfezionamento degli anestetici inalatori (oggi molto meno cardiotossici), e dall’altro al miglioramento dei sistemi di controllo dei parametri vitali, grazie ai quali è possibile intervenire rapidamente qualora si determinino condizioni di rischio (ipotensione rilevante, diminuzione dell’ossigenazione).


Respiratorie

Un’insufficienza respiratoria postoperatoria può essere conseguente a condizioni preesistenti l’anestesia; se legata a particolare sensibilità ai curari o agli anestetici è in genere reversibile nell’arco di minuti-ore.

Molto rara la comparsa di un pneumotorace, possibile in pazienti affetti da enfisema polmonare; è conseguenza della ventilazione artificiale che “spinge” aria nei polmoni determinando la rottura di bolle di enfisema.


Neurologiche

Il rischio di accidenti cerebrovascolari è molto limitato; ipotensione rilevante e diminuzione dell’ossigenazione sono condizioni predisponenti e vanno corrette tempestivamente.

In alcuni pazienti in età molto avanzata, o con turbe preesistenti, può determinarsi un deterioramento della personalità o del comportamento, ma per molteplici cause e non unicamente come conseguenza dell’anestesia (si consideri che già il solo ricovero ospedaliero può essere causa in questi soggetti, di insorgenza di delirio).


Varie

Molto rare al giorno d’oggi le gravi reazioni avverse da farmaci. La difficoltà di intubazione tracheale resta un problema temibile in quanto non solo può compromettere l’esecuzione dell’intervento ma può recare danni anche gravi al paziente qualora si accompagni a difficoltà di ventilazione mediante maschera facciale, con conseguente diminuzione dell’ossigenazione: si tratta però, fortunatamente, di una condizione prevedibile nella maggioranza dei casi e quindi oggetto di valutazione nel corso della visita anestesiologica al fine di predisporre sistemi alternativi (fibroscopia). Attualmente il comportamento consigliato dagli esperti è che, in caso di intervento chirurgico non urgente, il paziente nel quale siano stati effettuati alcuni tentativi infruttuosi di intubazione sia risvegliato e l’intervento sia rinviato. Alle difficoltà di intubazione è collegato anche il rischio di danni ai denti o alla bocca. Nausea e vomito sono ancora abbastanza frequenti, ma più in relazione al tipo di chirurgia che all’anestesia in sé; la maggiore frequenza si osserva nella chirurgia ginecologica. Non di rado compare un fastidio in gola da posizionamento del tubo tracheale.

In ultimo possono comparire danni da compressione di nervi periferici in conseguenza del prolungato posizionamento non corretto degli arti sul lettino operatorio.


Anestesia locale

Si basa sulla capacità di alcuni anestetici “locali” di inibire l’attività dei nervi periferici. I prodotti impiegati sono tutti farmaci derivati dalla cocaina, di cui conservano, seppure in maniera molto ridotta, la tossicità neurologica e cardiaca. Iniettati in prossimità dei nervi che interessano la zona dell’intervento, bloccano temporaneamente la trasmissione dell’impulso doloroso al sistema nervoso centrale. Esistono diverse tecniche di anestesia locale a seconda della tipologia dell’intervento chirurgico da effettuare, in quanto può essere necessaria la perdita di sensibilità di un’area più o meno vasta.

L’anestesia topica, ottenuta applicando l’anestetico direttamente sulla zona dell’intervento, determina insensibilità di un’area molto limitata ed è utilizzata principalmente per piccoli interventi di chirurgia oculistica (per esempio con gocce di collirio anestetico) od otorinolaringoiatrica. L’anestesia per infiltrazione si effettua in prossimità di rami nervosi più profondi e consente l’esecuzione di interventi sul cavo orale, sulla cute, sul sottocutaneo e sui muscoli. Un tipo particolare di anestesia per infiltrazione è l’anestesia tronculare che agisce direttamente su singoli nervi.

Altri tipi di anestesia locale, che interessano intere regioni (per esempio un intero arto o tutta la metà inferiore del corpo), determinano insensibilità e transitoria incapacità motoria più o meno completa. Poiché le aree interessate sono più vaste questi tipi di anestesia locale sono classificati come anestesia loco-regionale e consistono nelle procedure elencate di seguito.

  • Blocchi dei plessi: si anestetizzano i tronchi nervosi di maggiori dimensioni, poco dopo la loro fuoriuscita dal canale midollare e quando sono ancora raccolti in grossi fasci che contengono più nervi; l’esecuzione di tali blocchi prevede che vengano somministrate micro-stimolazioni elettriche per determinare contrazioni di singoli fasci di muscoli, alla ricerca del punto esatto in cui iniettare l’anestetico. In questo modo si riducono le quantità di anestetico da somministrare migliorandone nel contempo l’efficacia.
  • Blocchi epidurali o peridurali: l’anestetico viene iniettato nel canale midollare al di fuori della membrana (dura madre) che racchiude al suo interno il midollo spinale e il liquido che lo bagna (liquor).
  • Blocchi spinali: in questo caso l’anestetico viene iniettato direttamente nel liquor in cui è immerso il midollo spinale.

L’effetto dell’anestesia loco-regionale si instaura progressivamente: prima con alterazione della sensibilità termica, poi con formicolii (parestesie) infine con sensazione ingravescente di pesantezza dell’arto. l’effetto viene raggiunto in modo completo dopo circa 15-20 minuti dall’iniezione dell’anestetico, tranne nel caso del blocco spinale in cui l’inizio dell’effetto anestetico necessita di soli due-tre minuti. La durata è variabile a seconda del tipo di anestetico locale usato, (a breve o lunga durata d’azione); una scelta corretta dell’anestetico locale permette non solo la copertura anestetica di tutto l’intervento chirurgico, ma anche di assicurare analgesia nell’immediato postoperatorio.


Complicanze dell’anestesia locale


Ipotensione

Più che di una complicanza si tratta di un effetto collaterale delle anestesie loco-regionali, poiché esse determinano vasodilatazione periferica; può essere più o meno rilevante a seconda dei dosaggi di anestetico locale utilizzati e dell’estensione dell’area interessata dal blocco; è di agevole controllo mediante somministrazione di liquidi per via endovenosa e di appositi farmaci.


Cefalea post-anestesia spinale

Tipicamente legata al passaggio dalla posizione supina a quella eretta, è legata al “foro” che l’ago determina nella dura madre e quindi è tanto più rilevante quanto maggiori sono le dimensioni e la traumaticità della punta dell’ago.

La probabilità della sua insorgenza è molto diminuita da quando sono stati introdotti in commercio aghi di calibro ridotto, la cui punta è studiata in modo da divaricare le fibre della dura madre, sfruttando la loro elasticità per determinare la chiusura immediata del foro una volta rimosso l’ago (aghi atraumatici). Può costringere all’allettamento, ma è reversibile nell’arco di pochi giorni di trattamento con riposo e idratazione.


Ritenzione urinaria

Nel sesso maschile, a causa dell’effetto di vasodilatazione dell’anestesia loco-regionale si determina un aumento di volume della prostata con conseguente difficoltà di minzione. Va da sé che i pazienti già affetti da ipertrofia prostatica sono particolarmente soggetti a questo tipo di problema, peraltro reversibile nell’arco di qualche ora, grazie all’eliminazione fisiologica dell’anestetico; potrebbe però rendersi necessario il cateterismo vescicale temporaneo.


Ematoma in sede di iniezione

Di importanza tanto più rilevante quanto più l’anestesia viene effettuata vicino al midollo spinale (può in tal caso verificarsi paraplegia, peraltro estremamente rara, intorno allo 0,003%); a causa del rischio aumentato di sanguinamento, nei pazienti in terapia anticoagulante orale l’anestesia loco-regionale è controindicata fino a che i valori degli esami della coagulazione non siano rientrati nella norma.


Lesioni di singoli rami nervosi da trauma

Determinato dalla punta dell’ago o da iniezione accidentale dell’anestetico all’interno del nervo con conseguente distorsione delle fibre; l’uso dell’elettrostimolazione ne ha ulteriormente ridotto la già bassa probabilità di comparsa (0,0054%).


Effetto prolungato

Dovuto a una eliminazione dell’anestetico locale molto lenta, si verifica in casi estremamente rari, non prevedibili a priori, e specie con l’anestesia plessica. È reversibile, ma può protrarsi anche oltre le 24 ore.


Reazioni allergiche

Sono estremamente rare e più imputabili ai conservanti delle soluzioni che agli anestetici locali in senso stretto.