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Psicofarmaci: come stanno cambiando le terapie per la depressione

La ricerca segna molti passi avanti per sconfiggere la malattia cronica più diffusa, la depressione. Oggi sono disponibili terapie su misura, con molecole che agiscono su più fronti

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Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nel 2030 la depressione sarà la malattia cronica più diffusa al mondo, superando l’incidenza di altri problemi come le patologie cardiovascolari e il morbo di Alzheimer. Già oggi, del resto, si assiste a un vero e proprio boom del consumo di psicofarmaci: lo studio Ipsad, condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr, stima che oltre 7 milioni di italiani fra 15 e 74 anni (il 15% della popolazione) ne abbiano assunto almeno uno nel corso dell’anno. La buona notizia? A differenza di un tempo, i medicinali per la mente vengono utilizzati in modo sempre più mirato. E le novità per rendere le terapie ancora più efficaci non mancano.


A ogni paziente il suo rimedio
«La parola d’ordine in psichiatria è medicina personalizzata, ormai una realtà in caso di depressione e attacchi di panico», spiega il professor Giampaolo Perna, responsabile del Centro di medicina personalizzata sui disturbi d’ansia e di panico di Humanitas San Pio X di Milano.

«È basata su terapie tarate sulle specifiche caratteristiche di ciascun paziente, identificate con una ricerca sempre più raffinata di biomarcatori nel sangue, varianti genetiche ed epigenetiche, profili clinici e relativi al temperamento di una persona, studi di psicofisiologia e neuroimaging cerebrale. In caso di depressione, per esempio, il dosaggio di un enzima (il citocromo P450) che metabolizza gli psicofarmaci, oppure quello della proteina C reattiva e alcune citochine, i cui valori nel sangue danno il polso dell’intensità dell’infiammazione, permettono di scegliere gli antidepressivi che hanno una maggiore possibilità di efficacia», spiega l'esperto.

«In caso di ansia legata al panico, invece, lo psicofarmaco ideale e la sua dose corretta sono il frutto finale della valutazione, ottenuta attraverso esami di laboratorio, test psicofisiologici della funzionalità dei sistemi del corpo maggiormente coinvolti (respirazione accelerata, alterazioni del senso dell’equilibrio, cuore che corre a mille) e di come si combinano tra loro».


I nuovi medicinali
Per personalizzare meglio le cure, oltre alle carenze di neurotrasmettitori come serotonina (l’ormone del buonumore) o noradrenalina (quello di energia e piacere), la ricerca sta puntando i riflettori sulle oscillazioni di altre sostanze che entrano in gioco nell’origine dei malanni dell’anima: fattori neurotrofici, come il Bdnf (Brain derived neurotrophic factor), essenziale per la sopravvivenza dei neuroni, peptidi tipo l’NPY o gli endocannabinoidi che interferiscono sullo stato d’animo.

«Alcuni studi, per esempio, stanno concentrando la loro attenzione sull’allopregnanolone, neurormone prodotto dal metabolismo del progesterone, e il brexanolone, una sua formulazione approvata per il trattamento della depressione post partum», continua il professor Perna.

«Altre ricerche invece stanno valutando i potenziali effetti dell’ossitocina nel trattamento di disturbi come l’ansia sociale. Questo ormone, conosciuto per il suo ruolo nell’induzione del parto, è una molecola capace di influenzare la comunicazione interpersonale, il riconoscimento delle emozioni e l’empatia».

L’obiettivo, quindi, è mettere a punto nuovi medicinali salvaumore che “resettino” la chimica cerebrale, agendo su più funzioni. Alcuni psicofarmaci di ultima generazione lo fanno già: accanto ai tradizionali Ssri (Selective serotonin reuptake inhibitors, come il famoso prozac), oggi c’è un nuovo antidepressivo che, oltre a lavorare sull’umore, offre una marcia in più anche alle funzioni cognitive. «È la vortioxetina, molecola che, oltre a bloccare la ricaptazione della serotonina, agisce direttamente sui diversi recettori dell’ormone del buonumore, riuscendo a stimolare le funzioni cognitive di chi è depresso», spiega il professor Perna. La nuova molecola non riserva gli effetti collaterali dei comuni Ssri (aumento di peso e calo della libido): l’unico problema è la nausea, destinata però a scomparire dopo poche settimane di cura. Inoltre, alla guarigione, può essere sospesa da un giorno con l’altro, senza dover ridurre progressivamente le dosi e senza rischi di effetti rebound.


Nuove molecole e vecchi farmaci
Un’ulteriore frontiera nella cura della depressione è rappresentata da uno spray a base di esketamina. Si tratta di un derivato della ketamina, usata da anni in medicina come anestetico (e illegalmente come droga ricreatva), efficace nel trattamento delle forme depressive resistenti ai farmaci tradizionali e in quelle con pensieri connessi al suicidio.

Il perché? Ha un effetto potente e immediato sull’umore. «Anche se è una promettente novità, non ci sono sufficienti studi sui suoi effetti a lungo termine e gli specialisti sono molto cauti perché, usandola, c’è un potenziale rischio di abuso e dipendenza», spiega il professor Perna. «Al momento è in vendita solo in America e viene somministrato esclusivamente in strutture cliniche controllate».

Inoltre, in arrivo c’è anche la possibilità che un vecchio farmaco antitubercolare, la D-Cicloserina, su cui si stanno concentrando alcune sperimentazioni, possa potenziare gli effetti della psicoterapia cognitivo comportamentale per i disturbi d’ansia, stress oppure ossessivo compulsivi, garantendo un’accoppiata vincente per meglio affrontare e superare paure e fobie.


Un aiuto extra da antinfiammatori e probiotici

Il Celecoxib, un farmaco antinfiammatorio, sembra che possa avere proprietà antidepressive. «In molti casi il male di vivere è legato a doppio filo all’infiammazione cronica, che fa da terreno a ipertensione, diabete e sindrome metabolica», spiega il neuropsichiatra Giampaolo Perna. «In questi casi alcuni fattori infiammatori nel sangue (le citochine), se attivati scorrettamente possono influenzare umore ed emotività. Quindi, l’uso degli antinfiammatori potrebbe svolgere un ruolo importante dal punto di vista terapeutico». Allo studio c’è anche l’utilizzo dei probiotici nella cura dei disturbi depressivi e ansiosi: «Esiste un filo diretto fra cervello e microbiota, l’esercito di germi che colonizza l’intestino e metabolizza buona parte della serotonina», continua l’esperto. «Sono stati identificati alcuni ceppi che più di altri hanno un effetto su stress, ansia e depressione. Non è ancora chiaro però quale sia il dosaggio ottimale oppure il mix di probiotici da utilizzare per questo scopo».



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Articolo pubblicato sul n. 39 di Starbene in edicola dal 10 settembre 2019

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