GOTTA E IPERURICEMIE

Con il termine gotta si indica un gruppo eterogeneo di quadri clinici caratterizzato dalla deposizione, all’interno delle articolazioni o dei tendini, di cristalli di un sale (urato monosodico) che deriva dall’acido urico. Si tratta di una situazione morbosa nota sin dall’antichità, come testimoniano i ben noti aforismi di Ippocrate che, già nel V secolo a.C., […]



Con il termine gotta si indica un gruppo eterogeneo di quadri clinici caratterizzato dalla deposizione, all’interno delle articolazioni o dei tendini, di cristalli di un sale (urato monosodico) che deriva dall’acido urico. Si tratta di una situazione morbosa nota sin dall’antichità, come testimoniano i ben noti aforismi di Ippocrate che, già nel V secolo a.C., ne delineavano alcune caratteristiche: «gli eunuchi non ammalano di gotta, la donna non ammala di gotta prima della menopausa […] i giovani non ammalano di gotta prima della maturità sessuale». Si può notare come tali asserzioni mettessero bene in evidenza lo stretto legame esistente tra questa malattia e gli ormoni sessuali. La storia naturale della gotta passa attraverso quattro fasi cliniche, ognuna con proprie caratteristiche peculiari: nella prima fase, così, vengono registrati elevati livelli di acido urico nel sangue in assenza assoluta di qualsiasi disturbo (si parla di iperuricemia asintomatica), mentre è nel secondo stadio che si inizia a utilizzare il termine gotta; in questa fase compaiono i sintomi legati alla malattia, la cui prima manifestazione è in genere l’attacco acuto di gotta noto anche come artrite acuta gottosa. Il terzo stadio è quello della gotta intercritica, delle fasi cioè che intercorrono tra un episodio di gotta e l’altro, mentre l’ultimo stadio, quello della cosiddetta gotta cronica tofacea, è caratterizzato appunto dalla deposizione dei tofi, cioè di materiale calcareo costituito dalla deposizione nelle articolazioni o nei tessuti dei cristalli di urato.


Iperuricemia asintomatica

Con il termine iperuricemia si intende una condizione caratterizzata, in assenza di qualsiasi sintomo, da valori di acido urico nel sangue tali da indurre il rischio di deposizione di urati nelle articolazioni o nei tessuti: la soglia è fissata a 7 mg/dl, valore al di sopra del quale è possibile la saturazione nel sangue dell’acido urico e quindi la sua precipitazione sotto forma di cristalli. In condizioni normali, la quantità totale di acido urico presente in forma diffusibile, a scambio rapido, nel plasma e nei liquidi interstiziali (il cosiddetto pool miscibile) è di circa 1000 mg, con oscillazioni che vanno dai 500 ai 1300 mg. Tale pool è mantenuto in equilibrio tra le “entrate” e le “uscite”: le prime (input) sono rappresentate dall’immissione in circolo di acido urico proveniente in maggior parte dalla produzione endogena di purine (pari a 600-700 mg) e in minor misura dall’apporto esogeno alimentare (200 mg) e da quello conseguente al catabolismo degli acidi nucleici tissutali (100 mg); le seconde (output) sono rappresentate in buona parte dall’escrezione urinaria (400-600 mg), in misura minore dall’eliminazione per via intestinale (100-200 mg). Considerato questo meccanismo di regolazione, un aumento dell’uricemia può riconoscere fondamentalmente due cause, vale a dire un aumento della sintesi o una ridotta eliminazione urinaria di acido urico.

L’apporto alimentare in realtà non costituisce una causa importante di iperuricemia, in quanto il massimo incremento di acido urico ottenibile con una dieta ricca in purine, così come la massima riduzione dell’uricemia conseguente a una restrizione alimentare di purine, è di 1 mg/dl. Tale constatazione, unita al fatto che gli atomi che costituiscono l’anello purinico riconoscono un’origine molto semplice e varia (CO2, glicina, glutamina, acido aspartico ecc.), è tra l’altro il motivo della limitata utilità delle diete ipopuriniche nel trattamento delle iperuricemie e della gotta.

L’entità del problema Se il valore al di sopra del quale si diagnostica l’iperuricemia è rappresentato dai 7 mg/dl, i valori normali dell’acido urico in realtà sono molto più bassi (in genere inferiori a 5-6 mg/dl nell’uomo e a 4-5 mg/dl nella donna).

Oltre che più elevati nel sesso maschile, i valori dell’uricemia tendono ad aumentare con l’età e sono più alti in alcune popolazioni, per esempio i Maori della Nuova Zelanda e i Micronesiani. Da uno studio eseguito alcuni anni fa in Piemonte (Rivetti Heart Study, 1990) si ricava che la prevalenza di iperuricemia nel nostro Paese (ovvero il numero complessivo di soggetti affetti dalla malattia in un certo periodo di tempo) è del 4,3% nei maschi e dello 0,9% nelle femmine, dato non dissimile da quello riportato in altri Paesi (Stati Uniti 4,4%, Finlandia 5,2%), mentre ben più elevata è la prevalenza presso la popolazione Maori, dove la percentuale supera il 40%.

Perché aumenta l’acido urico Le iperuricemie possono essere distinte in forme primarie, condizioni congenite caratterizzate da un difetto primitivo del metabolismo in gran parte ancora ignoto, e in forme (ben più frequenti) associate ad altre situazioni morbose; queste ultime sono provocate soprattutto da farmaci (in particolare diuretici e antipertensivi) o associate a obesità, diabete di tipo 2, sindrome metabolica e aterosclerosi.

Una classificazione più utile delle iperuricemie, anche in vista delle eventuali misure correttive da instaurare, può essere quella che le distingue in forme da eccessiva produzione (per esempio conseguenti a leucemie e ad agenti citotossici) e forme da ridotta eliminazione urinaria degli urati (per esempio conseguenti a malattie renali, acidosi o assunzione di farmaci).

Esiste una stretta correlazione tra i valori plasmatici di acido urico e parametri quali il peso corporeo, con particolare riferimento alle condizioni in cui questo è in eccesso (sovrappeso o vera e propria obesità). La frequenza dell’iperuricemia infatti passa, a seconda che il sovrappeso sia del 20% o del 60-80%, da poco più del 2% a oltre l’8,5% per valori di uricemia compresi tra 7,5 e 9 mg/dl, e dall’1% al 2,5% per valori di uricemia superiori ai 9 mg/dl.

Il diabete mellito può causare una riduzione del tasso plasmatico di acido urico (ipouricemia), come capita nel caso del diabete di tipo 1, con marcata escrezione urinaria di glucosio e di acido urico; del resto, si può anche verificare un aumento dell’acido urico (iperuricemia), come avviene nel caso della chetoacidosi o del diabete di tipo 2, dell’iperinsulinismo e dell’obesità (sindrome metabolica).

La sindrome metabolica (o sindrome da insulinoresistenza) è un quadro clinico, molto frequente nei soggetti di media età, caratterizzato dalla contemporanea presenza di più alterazioni metaboliche legate alla resistenza periferica all’insulina e al conseguente iperinsulinismo. Obesità viscerale, alterata tolleranza ai carboidrati o diabete di tipo 2, ipertensione arteriosa, alterazione dei grassi del sangue (dislipoproteinemia, caratterizzata da aumento dei trigliceridi e riduzione del cosiddetto colesterolo buono legato alle HDL, ovvero alle lipoproteine ad alta densità) e iperuricemia sono le anomalie che frequentemente si riscontrano associate nei soggetti con tale sindrome, per i quali rappresentano altrettanti fattori di rischio di malattie aterosclerotiche; le complicanze cardiovascolari sono in effetti molto frequenti nei soggetti affetti da sindrome metabolica.

Le situazioni di chetosi comportano inevitabilmente iperuricemia, in quanto la riduzione del pH si accompagna a una riduzione dell’uricuria, necessaria per consentire l’eliminazione urinaria alternativa degli idrogenioni: classico esempio di acidosi metabolica (oltre alla chetoacidosi diabetica) è il digiuno, situazione nella quale l’organismo è costretto a formare chetoni per consentire un’adeguata produzione di glucosio a livello del fegato. Lo stadio di iperuricemia asintomatica intercorre tra la comparsa di elevati livelli di acido urico nel sangue e la prima manifestazione gottosa, in genere rappresentata da un primo attacco acuto di gotta: si tratta pertanto di un periodo piuttosto lungo, che in genere può restare tale per tutta la vita e che solo in determinati soggetti, a seguito di cause non ancora del tutto chiarite, sfocia nel quadro clinico sintomatico della gotta.

Approccio diagnostico Il semplice sospetto di un’iperuricemia o di un quadro gottoso deve indurre a un approfondimento diagnostico indirizzato sia alla conferma dell’iperuricemia, e quindi alla contemporanea valutazione della escrezione urinaria basale dell’acido urico (uricuria), sia all’individuazione delle sue eventuali cause.

Oltre all’uricemia è di grande importanza, specie ai fini di una corretta impostazione terapeutica, la valutazione dell’uricuria delle 24 ore, cioè dell’escrezione in 24 ore dell’acido urico nelle urine: tale valutazione consente, se eseguita in condizioni basali (con paziente che da almeno tre giorni segue una dieta povera di alimenti che portano alla produzione di purine), di verificare se soggetti sono normali escretori (300-600 mg al giorno), aumentati escretori (oltre 600 mg al giorno) o ridotti escretori (meno di 300 mg al giorno).

In assenza di una corretta preparazione dietetica, i valori di riferimento risulteranno superiori di circa 200 mg.


Artrite gottosa acuta

L’artrite gottosa acuta è la manifestazione più tipica e, nella maggior parte dei casi, il quadro d’esordio della gotta: dovuta alla precipitazione intrarticolare dell’acido urico, sotto forma di cristalli di urato monosodico, ha una frequenza correlata ai valori dell’uricemia, che pertanto ne costituiscono la conditio sine qua non. Secondo il Normative Aging Study (1987), che ha seguito per 15 anni ben 2046 uomini inizialmente esenti da patologie, la frequenza di comparsa (incidenza cumulativa quinquennale) dell’artrite gottosa è del 2% nei soggetti con uricemia pari o inferiore a 8 mg/dl, del 20% quando l’uricemia è compresa tra 9 e 10 mg/dl e del 30% con uricemie superiori ai 10 mg/dl.

In un’indagine più recente (Lin, 2000), che riguardava 223 uomini affetti da iperuricemia asintomatica seguiti per 5 anni, l’incidenza cumulativa della gotta è risultata del 19% circa: l’unico fattore in grado di predire la successiva comparsa di gotta erano i livelli plasmatici basali di acido urico e, a parità di questo valore, risultavano fattori indipendenti di rischio un ulteriore incremento dell’uricemia, la persistenza di un elevato consumo di alcol (specie se occasionale), l’uso di diuretici e l’incremento del peso corporeo (rapporto peso/altezza o BMI).

La frequenza della gotta nella popolazione è circa dieci volte inferiore a quella dell’iperuricemia, risultando attorno al 2-3 per mille. In Italia dati ISTAT del 1983 hanno fissato un tasso di incidenza dello 0,38%, in linea pertanto con quelli riportati in altri Paesi, mentre tassi ben superiori si riscontrano tra i Maori, nei quali la gotta interessa il 10% degli uomini e circa il 2% delle donne.

Il quadro clinico dell’artrite gottosa è quello classico di tutte le infiammazioni articolari (artriti), l’unica differenza essendo rappresentata dal fatto che, nel caso della gotta, l’infiammazione non è sostenuta da batteri ma dai cristalli di sali dell’acido urico (urato): si tratta dunque di un’infiammazione chimica.

Il primo attacco interessa in genere un’unica articolazione, che nella maggior parte dei casi è quella metatarso-falangea dell’alluce, con i segni tipici dell’infiammazione: dolore, rossore, calore e incapacità di movimento.
Il dolore, progressivamente in aumento, è intenso, costringe il paziente all’immobilità ed è causa di profonda angoscia, mentre l’articolazione risulta arrossata, tumefatta e bloccata funzionalmente. L’attacco si presenta in genere verso le prime ore del mattino e nel 60% dei casi interessa le articolazioni del piede (da cui il vecchio termine di podagra). Il soggetto colpito è generalmente di sesso maschile, di età media, spesso affetto da obesità viscerale e da ipertensione. Un’indagine anamnestica accurata è in grado di appurare la presenza di fattori scatenanti, quali abusi alimentari o di alcolici, traumi, farmaci, tutti fattori in grado di favorire la sovrasaturazione dell’acido urico e quindi la sua precipitazione sotto forma di cristalli; non c’è dubbio però che il principale fattore favorente tale precipitazione sia rappresentato dall’aumento del tasso di acido urico nel sangue (iperuricemia). Tra gli alimenti sono soprattutto i grassi, oltre all’alcol, a ridurre la solubilità dell’acido urico e quindi a favorirne la precipitazione: si tratta infatti di sostanze altamente acidificanti.

La diagnosi non è difficile, basta pensarci! Un attacco di artrite acuta, a esordio notturno e localizzato al piede, in un soggetto maschio, di età media, in sovrappeso, con precedenti di abusi alimentari e di alcolici, deve sempre far sospettare un episodio gottoso e quindi indurre a consultare tempestivamente il medico. Questi potrebbe decidere di somministrare colchicina che, se risolverà il quadro clinico, fornirà una vera e propria conferma diagnostica.

Gli elementi clinici su cui basare il sospetto diagnostico sono pertanto tre:

1. precedenti episodi ricorrenti di artrite, intervallati da periodi di completo benessere;

2. risoluzione del quadro clinico dopo somministrazione di colchicina;

3. riscontro di iperuricemia.

La diagnosi di certezza, d’altra parte, si basa sull’evidenziazione dei cristalli di urato nel liquido sinoviale, cristalli che, all’esame microscopico a luce polarizzata si presenteranno con la forma tipica ad ago o a bastoncino di colore giallo o azzurro.

L’episodio acuto può durare da pochi giorni ad alcune settimane e si risolve spontaneamente per ripresentarsi però, nei soggetti non adeguatamente trattati, a intervalli sempre più brevi.


Gotta intercritica

Con il termine gotta intercritica si indicano gli intervalli di tempo tra un episodio articolare e l’altro, durante i quali il soggetto si mantiene completamente asintomatico. Va sottolineato il fatto che una delle principali caratteristiche degli attacchi di artrite gottosa è, appunto, la tendenza alle recidive, che in oltre il 60% dei pazienti si verificano entro i 12 mesi e in un altro 27% entro 5 anni. Mentre il primo episodio artritico è generalmente monoarticolare, i successivi possono coinvolgere più articolazioni e avere maggiore gravità clinica.

Lo stadio di gotta intercritica è un periodo di apparente benessere e anche per questo è quello più indicato per instaurare tutti i provvedimenti atti a prevenire i successivi episodi gottosi, oltre che per identificare le possibili cause della gotta.


Gotta cronica tofacea

Lo stadio di gotta cronica tofacea, oggi sempre meno frequente, rappresenta la fase tardiva della storia naturale dell’iperuricemia, caratterizzata dalla deposizione di cristalli di urato a livello dei tessuti con formazione di concrezioni calcaree dette appunto tofi. Le caratteristiche cliniche della gotta tofacea sono:

Le sedi di più frequente localizzazione dei tofi sono il padiglione dell’orecchio (elice e antelice), il gomito (olecrano), le dita delle mani e dei piedi e il tendine d’Achille. Alla palpazione si apprezzano tumescenze di volume variabile da un cece a un’arancia e di consistenza dura (come sassi). Tofi possono formarsi anche a livello di alcuni organi interni, ove causano quadri clinici importanti (ai reni nefropatia gottosa, al cuore cardiopatia gottosa).

In questi ultimi anni, a seguito del frequentissimo uso della terapia farmacologia ipouricemizzante, i quadri della gotta tofacea si sono fatti sempre più rari o addirittura eccezionali.


Trattamento

Le strategie del trattamento variano a seconda della fase clinica dell’iperuricemia/gotta, in quanto gli obiettivi sono differenti. La prescrizione di norme igieniche è molto importante e spesso può costituire (per esempio nelle iperuricemie asintomatiche) l’unico provvedimento terapeutico efficace: le norme più importanti riguardano l’abbondante idratazione (bere molta acqua), l’alcalinizzazione delle urine e la correzione dei problemi metabolici associati. Un abbondante apporto di liquidi, specie se regolarmente distribuito nelle 24 ore, garantisce la solubilità degli urati e la loro eliminazione urinaria; se non è sufficiente, si possono aggiungere alcalinizzanti come il bicarbonato, la citropiperazina o il kalnacitrato. I farmaci, sia inibitori della sintesi di acido urico (allopurinolo) sia favorenti la sua eliminazione urinaria (probenecid, sulfinpirazone), vanno invece riservati unicamente ai soggetti con quadri clinici di gotta o con valori molto elevati di uricemia (oltre i 10 mg/dl). Gli antinfiammatori e la colchicina vengono utilizzati per gli episodi acuti.

Le norme dietetiche, per esempio la limitazione del consumo di cibi particolarmente ricchi in purine (oltre i 150 mg/100 g), vanno instaurate quali misure preventive nei soggetti con episodi articolari ricorrenti.

Va tenuto presente che l’iperuricemia e la gotta non si curano con diete ipopuriniche e tanto meno ipoproteiche. La limitazione degli alimenti ricchi in purine (carni, specie i visceri come cervella, fegato, rene, cuore e alcuni tipi di pesce come aringhe, sgombri, trote, alcuni frutti di mare, e cioccolato) va attuata solo nella prevenzione delle recidive degli attacchi gottosi. Maggiore attenzione va riservata all’alcol, che andrà notevolmente limitato o addirittura abolito sia per evitare la precipitazione degli urati sia per correggere la ipertrigliceridemia. La correzione del sovrappeso dovrà essere perseguita con diete moderatamente ipocaloriche, evitando accuratamente i periodi di digiuno, mentre l’ipertensione andrà corretta con farmaci non iperuricemizzanti, evitando i diuretici. [D.F.]