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Malattie infettive inGravidanza -Infezioni da Cytomegalovirus

Malattie infettive inGravidanza Infezioni da Cytomegalovirus Varicella (herpes zoster) Virus dell’influenza Morbillo Parotite Epatite A Epatite B Epatite C Epatite Delta Quinta malattia Herpes genitale Condilomi Listeria monocytogenes Infezioni da Chlamydia trachomatis AIDS in gravidanza e rischio neonatale Micoplasma e Ureoplasma urealyticum Streptococco gruppo B

Il Cytomegalovirus (CMV), agente della famiglia degli Herpesvirus, si trova dovunque e in tutto il mondo: per questo motivo la percentuale di donne in età fertile che hanno nel sangue anticorpi anti-CMV (segno che ne sono state infettate in qualche momento della vita) varia dal 50 all’85% nei Paesi più sviluppati, mentre è superiore al 90% nei Paesi ad alta densità di popolazione e basso livello socioeconomico. Le persone infettate, nonostante la presenza di anticorpi, per lungo tempo eliminano il virus con la saliva e le urine, a volte anche con le feci, il liquido seminale, le secrezioni cervico-vaginali o il latte materno.

Il Cytomegalovirus costituisce la più frequente causa di infezione congenita del neonato: può essere acquisito da un’infezione primaria (primo contatto materno con il virus) oppure da una riattivazione dell’infezione stessa (infezione ricorrente); la trasmissione può anche avvenire al momento del parto, quando il feto viene a contatto con le secrezioni vaginali infette della madre, o durante l’allattamento. L’infezione fetale da Cytomegalovirus non è solitamente causa di aborto o di malformazioni, ma può comportare una malattia a carico di vari organi del nascituro o, più frequentemente, ritardo di accrescimento intrauterino del feto, sofferenza del fegato e danni al cervello; nei casi più gravi i bambini che contraggono effettivamente la malattia dalla madre possono morire a pochi mesi dalla nascita o riportare danni permanenti di entità variabile.

Il 90% dei neonati con infezione congenita (acquisita durante la gravidanza) da CMV non hanno sintomi alla nascita, ma il 10-15% presenterà sequele a distanza; tra queste ultime, le più importanti sono: sordità neurosensoriale (moderata o grave e bilaterale), ridotto sviluppo endouterino, microcefalia e calcificazioni endocraniche (malformazioni del cervello che causano ritardo mentale e problemi neuromuscolari), ingrossamento del fegato (epatomegalia) e della milza (splenomegalia), riduzione del numero di piastrine (piastrinopenia) con petecchie e porpora (macchie cutanee per lo stravaso di sangue).

I neonati che contraggono l’infezione al momento del parto (infezione perinatale) presentano sintomi simili a quelli dell’adulto e raramente accusano gravi danni a distanza.

La ricerca di anticorpi nel sangue, seppure indispensabile come metodica di screening, è scarsamente affidabile poiché spesso risulta negativa anche in corso di infezione, in particolare se recente. Attualmente sono disponibili invece tecniche rapide di rilevamento diretto del virus, che consentono di identificarlo al bisogno. L’ecografia rappresenta la metodologia di diagnosi più utile, perché permette di riconoscere i danni causati dall’infezione in gravidanza (per esempio ritardo della crescita, aumento o riduzione del liquido amniotico, lesioni al fegato, segni di accumulo di liquidi con versamenti pleurici o pericarditi). Nella donna in gravidanza è opportuno un controllo periodico degli anticorpi anti-CMV, analogamente a quanto si fa per rosolia e toxoplasmosi. L’eventuale prima infezione è segnalata dalla presenza di anticorpi nel sangue materno; in tal caso, per diagnosticare l’infezione fetale può essere necessario ricercare gli anticorpi anti-CMV nel sangue fetale attraverso la funicolocentesi (diagnosi prenatale invasiva). Ulteriori accertamenti saranno necessari sul neonato dopo la nascita.

Per l’infezione da CMV non esiste purtroppo terapia e anche le possibilità di prevenzione risultano, data la notevole diffusione del virus, molto limitate. L’impiego di immunoglobuline specifiche è stato ampiamente segnalato nella profilassi dell’infezione da CMV in soggetti immunodepressi o trapiantati; sono in corso studi sul loro possibile impiego nel neonato.

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Dott. Maurizio Hanke

E' probabile che la attività fisica che descrive possa essere all'origine del dolore, che va via via scemando. Comunque l'ecografia deve essere eseguita.

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