Insufficienza renale cronica

L’insufficienza renale cronica è una sindrome clinica caratterizzata dalla riduzione, fino alla perdita, della capacità dei reni di svolgere alcune fondamentali funzioni: eliminare le sostanze tossiche prodotte, quotidianamente, durante i normali processi metabolici dell’organismo; regolare l’equilibrio acqua-sali minerali dell’organismo (controllo del bilancio idroelettrolitico e acido-base); regolare la pressione arteriosa; regolare la produzione di globuli rossi; […]



L’insufficienza renale cronica è una sindrome clinica caratterizzata dalla riduzione, fino alla perdita, della capacità dei reni di svolgere alcune fondamentali funzioni:

La sindrome può essere causata dalla persistenza di alcune malattie a carico di varie componenti anatomiche dei reni (glomeruli, interstizio, vasi sanguigni) e delle vie urinarie (calcolosi, infezioni urinarie), da alcune forme ereditarie (per esempio il rene policistico bilaterale) e da alcune malattie croniche sempre più diffuse come il diabete mellito e l’ipertensione arteriosa; talvolta consegue a forme irreversibili di insufficienza renale acuta. L’insufficienza renale cronica è una patologia in continua crescita nella popolazione, e i costi della sua gestione sono sempre più rilevanti per la società; ciò spinge a dare molta importanza alla prevenzione, che fondamentalmente consiste nel non sottovalutare alcuni segni clinici e laboratoristici (per esempio la presenza di sangue o di proteine, anche in tracce, nelle urine, la pressione arteriosa elevata o le minzioni frequenti anche di notte) oltre che nel tenere sotto controllo l’ipertensione arteriosa e le oscillazioni metaboliche del diabete mellito nei pazienti che ne sono affetti. Va ricordato infatti che una caratteristica importante dell’insufficienza renale cronica è quella di essere avvertita da chi ne è affetto soltanto nelle fasi avanzate (cioè quando è andata perso oltre il 70%-80% della funzione renale), troppo tardi per rallentarne il peggioramento nel tempo.


Diffusione

L’aumento considerevole della vita media conseguito negli ultimi anni, grazie anche agli enormi progressi ottenuti dalla medicina in termini di prevenzione, diagnosi e cura ha condotto a una situazione per certi versi paradossale: se infatti si è assistito, da un lato, a una netta riduzione delle principali malattie renali un tempo responsabili dell’insufficienza renale cronica (per esempio le glomerulonefriti o l’insufficienza renale acuta irreversibile), dall’altro lato sono state chiamate in causa numerose malattie croniche (cardiocircolatorie, metaboliche ecc.) che una volta − poiché le persone morivano in età meno avanzata − non avevano il tempo di “fare danni” e quindi coinvolgere, compromettendola, la funzionalità renale. È per questi motivi che in una grossa percentuale di pazienti l’insufficienza renale cronica terminale è divenuta una sorta di “malattia da sopravvissuti”.

Detto questo, secondo gli ultimi dati ricavati da studi sulla popolazione è emerso che:

  • tra il 5 e il 10% della popolazione generale presenta un danno renale, e la maggior parte dei soggetti affetti non ne è consapevole;
  • queste percentuali sono in continua crescita, tanto da poter configurare una sorta di epidemia diffusa in tutto il mondo;
  • in un numero di casi sempre più elevato la diagnosi di insufficienza renale cronica è tardiva.


Evoluzione

Elemento peculiare dell’insufficienza renale cronica è che, una volta instauratasi, evolve più o meno rapidamente ma inesorabilmente verso l’insufficienza renale terminale. Tale evoluzione segue un modello che può essere schematicamente suddiviso in cinque stadi, in base al danno anatomico, funzionale e clinico.

Nella tabella che segue vengono illustrati, per ciascuno stadio evolutivo, i segni e sintomi presenti nonché il valore dell’esame diagnostico di riferimento, costituito dalla clearance della creatinina, espressa in millilitri al minuto e nota anche con le sigle VFG (velocità di filtrazione glomerulare) o GFR.


Fattori e modalità di progressione

Si tratta di eventi molteplici e in parte ancora poco conosciuti.

In alcuni casi sporadici, la progressione verso l’insufficienza renale cronica è sostenuta dallo stesso evento morboso iniziale (per esempio una glomerulonefrite) che va incontro nel tempo a cronicizzazione, nonostante sia stata fatta per tempo una corretta diagnosi e sia stata approntata un’idonea terapia.

In parecchi altri casi, invece, il paziente giunge all’osservazione del nefrologo con un quadro già conclamato di insufficienza renale cronica in fase avanzata: si tratta per lo più di pazienti che, pur affetti da patologie potenzialmente dannose per i reni (ipertensione arteriosa, diabete mellito, alterazioni del quadro lipidico, calcolosi renale, stati infiammatori del rene o delle vie urinarie, ipertrofia prostatica ecc.), non sono stati sottoposti o non hanno voluto eseguire le necessarie indagini diagnostiche per la valutazione del coinvolgimento renale.In altri casi, infine, l’insufficienza renale terminale viene riscontrata occasionalmente (in seguito a un ricovero o per esami eseguiti per altri motivi) e non è possibile individuare alcun fattore causale specifico.


Principali fattori responsabili della progressione del danno renale

  • Ipertensione arteriosa: nei soggetti in cui non risulta adeguatamente trattata (i valori ottimali sono 130 mmHg di “massima” e 80 di “minima”) conduce a un danno vascolare che coinvolge anche la funzionalità renale.
  • Proteinuria: il passaggio di proteine attraverso il filtro renale, evento normalmente non consentito, conduce nel lungo periodo a una serie di modificazioni circolatorie locali con successiva perdita di glomeruli.
  • Diabete mellito: può portare a una condizione di insufficienza renale cronica dopo parecchi anni dal suo esordio e, per fortuna, non in tutti i pazienti, come conseguenza sia di una persistente elevata pressione arteriosa sia della comparsa di proteinuria.
  • Riduzione del numero di nefroni: qualunque ne sia la causa e comunque venga indotta (età avanzata, malattie circolatorie, malattie croniche renali ecc.) è responsabile di una “iperfiltrazione adattativa” che, a lungo andare, conduce a un aggravamento del danno renale.
  • Dislipidemie/obesità, fumo di sigaretta, eccessiva introduzione proteica: tutti questi fattori concorrono in varia misura, e con i meccanismi sopra elencati, alla progressione del danno renale.


Segni e sintomi

Nella maggior parte dei soggetti non compare alcun disturbo (sintomatologia clinica silente) fino a una perdita anche del 70-80% della funzione renale, grazie a tutta una serie di fenomeni di adattamento messi in opera dalla massa renale ancora funzionante. Alcuni segni e sintomi, tuttavia, possono essere presenti fin dalle fasi iniziali, ma vanno riconosciuti e correttamente valutati: segnali importanti sono, per esempio, la presenza di tracce di sangue non visibile ma segnalato all’esame delle urine (microematuria), la presenza di proteine urinarie anche in lieve quantità, la facile affaticabilità e l’aumento della quantità di urine emesse durante la notte (nicturia).

Quando si manifestano, tali sintomi non sono comunque specifici di un danno funzionale renale (il dolore o fastidio a livello renale si avrà solo se coesistono calcoli nelle vie urinarie) e legati allo stato di intossicazione cui sono sottoposti quasi tutti gli organi e apparati. Possono essere variamente presenti: ipertensione arteriosa, accumulo di liquidi in alcune parti del corpo (per esempio caviglie gonfie), mancanza di respiro (dispnea) fino a quadri conclamati di edema polmonare acuto, crampi muscolari, irrequietezza alle gambe, astenia, anoressia, nausea, vomito, prurito, anemia, alterazioni scheletriche, nicturia, poliuria, acidosi metabolica, pericardite, aritmie, coronaropatie, vasculopatie periferiche.


Diagnosi

La valutazione della funzione renale si effettua mediante l’esecuzione di specifici esami laboratoristici effettuati sul sangue (creatininemia, azotemia, uricemia, clearance della creatinina, sodio, potassio, calcio, cloro, fosforo, emocromo, sideremia, ferritina, trasferrina, vit. B12, acido folico, paratormone, emogasanalisi) e sulle urine (esame chimico-fisico, urocoltura, dosaggio delle proteine emesse nelle 24 ore).

Si può ricorrere anche a esami strumentali di imaging quali l’ecografia renale e delle vie urinarie, l’ecocolordoppler delle arterie renali, la scintigrafia renale, la TAC renale e la risonanza magnetica renale.

La clearance della creatinina è, in prima istanza, un test di riferimento fondamentale: questo esame, che richiede un prelievo di sangue e l’accurata raccolta delle urine nelle 24 ore, fornisce la misura della velocità della filtrazione glomerulare (VFG) e consente al medico di valutare lo stato funzionale del rene e di controllare, nel tempo, la progressione della malattia renale ove presente.


Prevenzione e trattamento farmacologico

Al di là della ricerca e del corretto trattamento delle specifiche forme di malattie renali (glomerulonefriti, pielonefriti, infezioni delle vie urinarie ecc.), è fondamentale individuare e valutare correttamente i vari fattori di rischio responsabili della progressione delle malattie renali: un loro efficace trattamento può riuscire a prevenire, o quanto meno rallentare, l’evoluzione verso l’insufficienza renale terminale.

Innanzitutto occorre perseguire il raggiungimento di valori accettabili per la pressione arteriosa (130/80 mmHg) e la proteinuria mediante l’utilizzo di specifici farmaci antipertensivi. Altrettanto importante è il controllo metabolico nel diabete mellito e la correzione di un’eventuale coesistente alterazione del quadro lipidico. Pari importanza ha, fin dalle prime fasi, l’individuare e trattare un’eventuale anemia provocata dal
l’insufficienza renale (con eritropoietina), così come le alterazioni del metabolismo calcio-fosforo (con farmaci a base di vitamina D). Indispensabile infine, tra i provvedimenti non farmacologici, è il perseguimento di uno stile di vita tendente a ottimizzare il peso corporeo, l'astensione dal fumo di sigaretta e la pratica di una adeguata e costante attività fisica.


Terapia sostitutiva: dialisi e trapianto

Quando la funzione renale scende sotto determinati livelli (VFG inferiore al 5-10%) e soprattutto quando alcuni sintomi cominciano a infastidire il paziente o, infine, quando lo specialista nefrologo non reputa più conveniente continuare il trattamento farmacologico-conservativo, diventa improcrastinabile il passaggio a ulteriori strategie terapeutiche. Queste fondamentalmente consistono nell’utilizzo di particolari tecniche “depurative” artificiali, e prevedono inoltre il ricorso al trattamento sostitutivo naturale per eccellenza, cioè il trapianto renale

Dialisi artificiale Con il termine dialisi vengono genericamente indicate tutte quelle tecniche di depurazione artificiale che consentono l’allontanamento, dall’organismo dei pazienti con insufficienza renale grave o terminale (uremici), dei prodotti tossici formati dall’organismo stesso; i trattamenti di dialisi permettono inoltre il riequilibrio di alcuni parametri, per esempio la correzione degli squilibri idrici, elettrolitici e del rapporto acido-base.

La metodica può avvalersi di particolari apparecchiature (cosiddetto rene artificiale) che utilizzano sostanzialmente una “membrana dializzante” (emodialisi extracorporea); in alternativa, ma con risultati del tutto sovrapponibili, si può utilizzare la dialisi intracorporea o peritoneale, che sfrutta una membrana naturale dell’organismo (il peritoneo) come “filtro” per la rimozione dei residui tossici presenti nel sangue.

Le due metodiche non sono alternative ma piuttosto complementari: la scelta è dettata da particolari condizioni cliniche o organizzative, ma comunque è sempre possibile per il paziente passare dall’una all’altra metodica.

C’è da aggiungere che il trattamento dialitico da solo non è in grado di sostituire tutte le funzioni del rene insufficiente, per cui tutti i pazienti in dialisi sono sottoposti a un regime farmacologico idoneo a compensare le carenze di una funzione renale naturale non più efficiente.

Trapianto renale L’unico trattamento in grado di sostituire in toto la funzione renale perduta è ovviamente il trapianto renale, una procedura chirurgica mediante la quale si inserisce nell’organismo del paziente uremico un rene proveniente da un donatore (cadavere o vivente).

Le problematiche legate a questa terapia definitiva sono tante e complesse, ma negli ultimi anni sono state progressivamente affrontate e in gran parte risolte: un problema di fondo, sempre presente, è rappresentato dalla scarsa reperibilità di reni da trapiantare, legata a una non chiarissima legislatura in termini di donazione degli organi.

Un altro problema riguarda invece la sopravvivenza dell’organo trapiantato e del paziente ricevente, che peraltro in tempi recenti (soprattutto nel nostro Paese) ha raggiunto picchi elevatissimi grazie all’efficienza dei controlli clinici che precedono e accompagnano il paziente trapiantato.

[E.R., M.Q., U.M.]