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Quando le mani fanno male: le soluzioni chirurgiche

Spesso per mettere fine al dolore, o alla difficoltà nel muovere dita e polsi, occorre il bisturi. Ma oggi gli interventi sono sempre più soft

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Sempre più mininvasiva e risolutiva per il paziente: negli ultimi anni la chirurgia della mano ha fatto progressi enormi.

«I motivi per cui è necessario sottoporsi a un intervento sono un trauma, come una frattura o la lesione di un legamento, oppure una malattia che limita la funzione dell’arto», spiega Alessia Pagnotta, ortopedico e dirigente medico presso l’Unità operativa semplice di chirurgia della mano dell’Ospedale Israelitico di Roma. Con il suo aiuto abbiamo individuato i problemi più frequenti e le soluzioni migliori.


1. Sindrome del tunnel carpale

Ne soffrono soprattutto le donne (sei volte in più degli uomini), perché è favorita dai cambiamenti ormonali.

«Consiste nella compressione di un nervo, chiamato mediano, all’interno del tunnel carpale, una struttura osteo-articolare posta tra il polso e il palmo della mano», precisa la dottoressa Pagnotta. Causa l’addormentamento e il formicolio delle prime tre dita, più accentuati di notte, quando il dolore può essere così intenso da indurre a cambiare continuamente posizione e ci si risveglia con le dita intorpidite.

«Se il dolore è forte e si protrae per diversi mesi, l’operazione è la soluzione più efficace», assicura l’esperta. L’intervento si esegue in ambulatorio, in anestesia locale, e dura una decina di minuti. È mininvasivo, poiché richiede una piccola incisione, in modo da allentare la compressione del nervo mediano. In 15 giorni la ferita si rimargina, ma servono 3 mesi prima che la mano recuperi del tutto la sua forza.


2. Dito a scatto

In gergo medico si definisce tenosinovite stenosante: «All’inizio si avverte un po’ di dolore piegando il dito, dopo qualche settimana si aggiunge anche un tipico scatto: in breve ci si può ritrovare con il dito che rimane piegato e fa molto male se si prova a raddrizzarlo», sottolinea Pagnotta.

Nelle donne è favorito dai cambiamenti ormonali e, in entrambi i sessi, da quelle attività che obbligano all’uso ripetuto e intensivo delle dita.

La prima terapia è di solito conservativa: «Infiltrazioni di cortisone possono eliminare l’infiammazione e liberare il tendine che, non scorrendo come dovrebbe, provoca lo scatto. Sono molto efficaci, ma un po’ dolorose: se ne fanno 2 o 3, una alla settimana, sul palmo della mano».

Nonostante il cortisone, il problema può ripresentarsi: in questo caso non resta che l’intervento di puleggiotomia, cioè l’apertura del canale (puleggia) che impedisce il regolare movimento del tendine. Dura 10 minuti e si fa in ambulatorio con anestesia locale. Perché la ferita si rimargini servono 15 giorni, ma la mano si può muovere subito.


3. Malattia di De Quervain

Due tendini che permettono il movimento del pollice (l’estensore e l’abduttore) restano “intrappolati”, cioè non riescono a scorrere regolarmente nel loro canale abituale, all’altezza del polso. Risultato: muoverlo causa un dolore intenso, che può estendersi lungo l’avambraccio.

Con la malattia di De Quervain la mano perde forza, non riesce a tenere una busta della spesa o ad afferrare i sostegni in metropolitana. «All’intervento chirurgico si ricorre di solito se non funzionano le prime cure a base di antinfiammatori, fisioterapia e un tutore per polso e pollice. L’operazione si effettua in ambulatorio e in anestesia locale: richiede una decina di minuti, è mininvasiva e consiste nel liberare i tendini perché possano tornare a scorrere normalmente», precisa la dottoressa.

Per i 15 giorni successivi all’intervento, bisogna portare una fasciatura rigida che tiene fermo il polso.


4. Frattura del polso

Con circa 130 mila casi l’anno è tra le più frequenti fratture per cui si ricorre al pronto soccorso. Negli over 60, la rottura del radio distale costituisce il 17% del totale degli incidenti alle ossa.

«Fino a una trentina di anni fa, in questi casi si ricorreva soltanto al gesso; oggi l’intervento chirurgico è ritenuto necessario per restituire il paziente alla vita attiva, a prescindere dalla sua età», osserva l’esperta.

L’operazione si effettua di solito entro i primi 5-7 giorni dal trauma, richiede 1-2 giorni di ricovero e richiede un’anestesia che addormenta solo il braccio. La sua durata oscilla tra un’ora e un’ora e mezza.

«Il chirurgo riduce la frattura, cioè fa in modo di riportare l’osso alla sua posizione originale, ed esegue un’osteosintesi: immobilizza la parte con fili metallici oppure placche e viti», spiega la dottoressa Pagnotta. Quando il paziente è ancora in sala operatoria, gli viene applicata una valva gessata, o “mezzo gesso”, modellata sul suo avambraccio: «Serve a evitare la formazione di edemi ed è molto meno fastidiosa e ingombrante del gesso tradizionale, che un tempo poteva arrivare fino a sopra il gomito. In più, lascia libere le dita. Dopo circa un mese si può passare a un semplice tutore da portare per altri 10-15 giorni. Fondamentale la fisioterapia: almeno 10 sedute, tre volte la settimana», consiglia la dottoressa Pagnotta.


5. Lesione dei legamenti

Spesso si deve ricorrere all’intervento chirurgico per la lesione dei legamenti del polso: «Un problema molto frequente soprattutto tra i 20 e i 30 anni, di solito in seguito a cadute da snowboard, skateboard o bicicletta», fa notare l’esperta. «Oggi si è chiarito il ruolo fondamentale di un piccolo legamento, lo scafo lunato, che in caso di trauma distorsivo il paziente tende a trascurare perché non causa un dolore molto forte, ma sordo e continuo, accompagnato da un leggero gonfiore. Oggi sappiamo che la lesione dei legamenti è sempre causa di artrosi, e il bisturi diventa il modo migliore per prevenirla o almeno ritardarla».

La lesione dello scafo lunato si individua con una risonanza magnetica, ma il solo esame che può confermarla con certezza è l’artroscopia del polso: «Serve a capire il punto esatto e l’entità del problema. Dura 40 minuti, si effettua in day hospital e richiede un’anestesia loco-regionale. Se la lesione è parziale, il chirurgo può risolverla direttamente. Se invece è più ampia, diventa necessario l’intervento vero e proprio per ricostruire il legamento tramite un’ancora e due fili metallici che bloccano tre piccole ossa del carpo», spiega Pagnotta. Un’operazione più complessa (può eseguirla solo un chirurgo della mano e dura fino a un’ora e mezza), che prevede un recupero più lungo: «Bisogna portare il gesso per circa 3 settimane, seguite da altre 5 con un tutore e almeno una ventina di sedute di fisioterapia. Prima di tornare a praticare sport d’impatto devono passare almeno 6 mesi», conclude la nostra esperta.


La terapia con collagenasi

Oggi una delle soluzioni più innovative nel campo della chirurgia della mano non è un intervento chirurgico in senso tradizionale. Parliamo della terapia con collagenasi, un farmaco che ha ormai sostituito definitivamente le tecniche invasive per curare una delle più frequenti patologie in questo campo, la malattia di Dupuytren.

«Nel palmo di chi ne soffre si forma un ispessimento che, con il tempo, aumenta fino a costringere l’articolazione di una o più dita a piegarsi», racconta la dottoressa Alessia Pagnotta. «Oggi si può risolvere con un intervento ambulatoriale, che avviene in due tempi. Il primo giorno, si inietta una sostanza chiamata collagenasi. Poi si torna a casa, per dare tempo a questo farmaco di sciogliere la corda fibrosa che trattiene le dita. Il giorno dopo viene effettuata una trazione delle dita, in sedazione. Tutto dura circa 15 minuti. La mano resta un po’ gonfia per qualche ora, ma non fa male. Si applica solo un piccolo bendaggio».

Il problema può riprensentarsi: «In questo caso si potrà prendere in considerazione l’intervento chirurgico a cielo aperto», conclude la dottoressa Pagnotta.


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Articolo pubblicato sul n. 45 di Starbene in edicola dal 23/10/2018

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