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Colangite biliare primitiva: cos’è, chi colpisce e come si cura

È una malattia non facile da diagnosticare, perché negli stadi iniziali i sintomi sono sfumati o aspecifici. Riconoscerla precocemente è fondamentale per una migliore efficacia delle cure



Viene considerata una patologia rara e, come tale, è anche poco conosciuta, per cui si arriva spesso a un ritardo diagnostico non privo di conseguenze. «La colangite biliare primitiva è una malattia subdola, perché la maggior parte dei pazienti presenta solo sintomi lievi, aspecifici e quindi non immediatamente riconoscibili. Questo consente alla malattia di progredire e di causare una colestasi cronica, ovvero il ristagno di bile nel fegato, che nell’arco di due o tre decenni può portare alla cirrosi epatica e al suo scompenso, necessitando di un trapianto di fegato come unico possibile trattamento», spiega il professor Domenico Alvaro, ordinario di Gastroenterologia e preside della Facoltà di Medicina e Odontoiatria dell’Università La Sapienza di Roma. «Alla base c’è sicuramente una predisposizione genetica, ma su questa sembra giocare un ruolo importante qualche fattore esterno, ancora ignoto ma capace di innescare la malattia. Diversi ricercatori puntano il dito contro alcuni agenti chimici presenti nelle lacche per i capelli, negli smalti per unghie e nelle vernici, mentre altri esperti ipotizzano un legame con qualche agente virale. Ma siamo ancora in fase di ricerca, non ci sono certezze».


Cos’è la colangite biliare primitiva

«Dal punto di vista epidemiologico, si definisce rara una patologia che colpisce meno di 50 persone su 100 mila e la colangite biliare primitiva ci rientra a pieno titolo, perché in termini di prevalenza interessa circa 30-40 individui su 100 mila. Il problema sta nell’ampio “sommerso” che non viene alla luce per l’assenza nelle fasi precoci di sintomi o dell’aumento della fosfatasi alcalina, ALP, per cui si teme che la prevalenza della malattia possa essere dalle 20 alle 100 volte superiore rispetto alle diagnosi note», avverte il professor Alvaro.

Ma di cosa si tratta? La colangite biliare primitiva è una patologia immunomediata, caratterizzata da una disfunzione del sistema immunitario che induce l’organismo ad attaccare le sue stesse strutture: «In questo caso vengono presi di mira i piccoli dotti biliari all’interno del fegato, tubi sottilissimi nell’ordine di 0,1 millimetri al cui interno scorre la bile». Così, quest’ultima non riesce a fluire, si accumula a livello epatico (colestasi), infiamma il fegato e lo rende fibrotico, cioè lo indurisce, aprendo la strada alla cirrosi.


Quali sono i sintomi da non sottovalutare

Nelle fasi precoci della malattia, i sintomi sono pochi e sfumati: «Spesso l’unica avvisaglia è la fatigue, ovvero una sensazione di estrema stanchezza fisica, emotiva e cognitiva, non proporzionata rispetto all’attività svolta, così spossante da interferire con lo svolgimento delle normali attività quotidiane. Ma si tratta di un sintomo aspecifico, comune a tante altre condizioni mediche», specifica l’esperto.

«Siccome però esiste una familiarità per la colangite biliare primitiva, chi ha dei casi in famiglia deve prestare maggiore attenzione di fronte a una spossatezza che non passa, soprattutto nella fascia di età compresa fra 40-60 anni, la più a rischio», raccomanda il professor Alvaro. Un altro sintomo aspecifico è il prurito, che generalmente compare di notte a livello del tronco, dovuto a un accumulo nel sangue e in altri tessuti di sostanze normalmente secrete dalla bile». Talvolta, invece, non è presente alcun sintomo fisico, per cui l’unico modo per sospettare la malattia è rilevare un’alterazione dei valori epatici (ALT, AST, ALP) nelle comuni analisi del sangue, magari eseguite di routine o per altre motivazioni.


Come si arriva alla diagnosi

Il sospetto diagnostico può essere confermato con un semplice prelievo di sangue per misurare gli anticorpi anti-mitocondrio (AMA), anticorpi rivolti contro quegli organelli presenti nelle cellule (mitocondri) necessari a produrre l’energia utile alle cellule stesse per crescere e riprodursi. «L’attacco immune si rivolge soprattutto contro le cellule che rivestono i piccoli dotti biliari del fegato e gli AMA rappresentano un marker importante e specifico per la colangite biliare primitiva». Se risultano positivi, insieme all’aumento di ALP nel sangue, vi è la conferma della diagnosi di colangite biliare primitiva senza necessità di ricorrere alla biopsia.


Perché le donne sono più soggette

La patologia colpisce prevalentemente le donne (con un rapporto 8:1 rispetto agli uomini), perché il sesso femminile è maggiormente a rischio di contrarre malattie autoimmuni sia per la disfunzione di alcuni geni localizzati nei cromosomi sessuali sia per l’importante ruolo giocato dagli ormoni sessuali (tra cui gli estrogeni) nel meccanismo di innesco della malattia e nella sua evoluzione.


Quante tipologie di colangite biliare primitiva esistono

Esistono diverse varianti di colangite biliare primitiva: una forma che porta precocemente alla distruzione e alla scomparsa de piccoli dotti biliari (variante duttopenica), una forma in cui domina l’infiltrato infiammatorio negli spazi portali e una forma in cui l’infiammazione erode anche l’interno del lobulo epatico, che nella forma più aggressiva si esprime nella sindrome di associazione (overlap) con l’epatite autoimmune. Quest’ultima è la forma che porta più rapidamente alla cirrosi.


Come si cura la colangite biliare

Quanto più precocemente viene diagnosticata la malattia, tanto più è efficace il trattamento. «Negli ultimi anni sono stati fatti importanti progressi nella cura della colangite biliare primitiva, grazie allo sviluppo di trattamenti di seconda linea, come l’acido obeticolico e altri farmaci ancora in fase di sperimentazione», riferisce il professor Alvaro.

«Il trattamento di prima linea resta l’acido ursodesossicolico, ben tollerato, pressoché privo di effetti collaterali e da assumere in maniera cronica. A distanza di 6-12 mesi dall’inizio della cura, si valuta se i marcatori di malattia (ALP) si sono normalizzati: in caso positivo, siamo piuttosto certi di aver arrestato la progressione della patologia; in caso contrario, all’acido ursodesossicolico viene associato l’acido obeticolico, efficace in almeno il 50% dei pazienti che non avevano risposto al primo farmaco».


Come si vive con la colangite biliare primitiva

Grazie alle terapie attualmente disponibili, la progressione della malattia viene limitata in oltre l’80% dei pazienti. «Talvolta possono persistere i sintomi aspecifici, ovvero stanchezza e prurito. Mentre per il secondo esistono farmaci in grado di tenerlo sotto controllo, la fatigue è ancora difficile da controllare. Tuttavia, grazie alle cure, nel complesso la qualità di vita di tanti pazienti è assolutamente buona».

Non sono neppure richieste privazioni alimentari, eccetto evitare l’alcol come in tutte le malattie epatiche, né particolari accortezze, a parte quella di non assumere alcuni farmaci (gli antibiotici che associano amoxicillina + acido clavulanico e gli antinfiammatori non steroidei, noti come Fans) che possono peggiorare il danno al fegato.

«Ultima accortezza riguarda gli screening per altre malattie autoimmuni associate. Siccome le malattie immunomediate tendono ad associarsi fra loro, la colangite biliare primitiva può presentarsi insieme a tiroiditi autoimmuni, celiachia, alcune forme di artrite, sindrome di Sjögren e, raramente, malattie croniche intestinali», conclude l’esperto. «Inoltre, come in tutte le patologie epatiche croniche, alla lunga c’è il rischio di sviluppare un epatocarcinoma, cioè un tumore del fegato, che però viene in genere diagnosticato precocemente grazie ai controlli ecografici periodici a cui i pazienti vengono sottoposti di routine».


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