Menopausa

Con il termine menopausa si intende l’ultimo flusso mestruale della vita biologica della donna; la diagnosi è peraltro retrospettiva in quanto sono necessari 12 mesi di assenza di flusso per poter stabilire con certezza l’inizio della menopausa. Nel periodo che precede la scomparsa definitiva del ciclo mestruale (noto con il termine di climaterio o fase […]



Con il termine menopausa si intende l’ultimo flusso mestruale della vita biologica della donna; la diagnosi è peraltro retrospettiva in quanto sono necessari 12 mesi di assenza di flusso per poter stabilire con certezza l’inizio della menopausa. Nel periodo che precede la scomparsa definitiva del ciclo mestruale (noto con il termine di climaterio o fase perimenopausale) compaiono i sintomi caratteristici, con una durata in genere non superiore a 5 anni antecedenti e 5 anni seguenti la menopausa: questa fase è caratterizzata dall’alternanza di cicli ovulatori e anovulatori, espressione dell’esaurimento della funzione dell’ovaio nel produrre le cellule uovo. L’età media di insorgenza della menopausa nella popolazione italiana è di 49 anni, con variazioni “normali” dai 45 ai 53 anni; se l’esaurimento della funzione ovarica avviene più precocemente, prima dei 40 anni, si parla di menopausa precoce, evento che può essere influenzato da fattori quali la familiarità, l’abitudine al fumo e lo stile di vita. La scomparsa del ciclo mestruale per esaurimento della funzione ovarica si verifica poiché, con l’invecchiamento, le ovaie producono una quantità gradualmente minore di estrogeni e di progesterone, gli ormoni che controllano l’ovulazione: l’emissione dell’ovulo si fa così sempre meno frequente, fino alla totale interruzione (cicli anovulatori), con scomparsa dei flussi mestruali e della possibilità di avere una gravidanza.


Variazioni ormonali

Come conseguenza del termine della funzionalità dell’ovaio e della mancanza di controllo inibitorio degli ormoni ovarici sull’ipotalamo e sull’ipofisi, nel sangue aumentano i livelli delle gonadotropine LH e FSH: questi risultano nella fase premenopausale più elevati, quindi diminuiscono progressivamente determinando una variazione dell’ovularietà dell’ovaio, che alla fine si interrompe. Successivamente, nella fase peri-postmenopausale, si verifica un esaurimento della produzione degli ormoni da parte dell’ovaio, in particolare degli estrogeni. Questa carenza ormonale spiega poi la comparsa del caratteristico corollario di sintomi che accompagnano la menopausa vera e propria, intesa come scomparsa definitiva del ciclo mestruale.


Cambiamenti e disturbi della menopausa

I disturbi menopausali derivano da tre principali alterazioni derivanti dalla carenza di estrogeni: quelle metaboliche (all’origine di osteoporosi e patologia cardiocircolatoria); quelle a carico del sistema nervoso centrale (da cui i sintomi psicologici e neurovegetativi) e infine le alterazioni in senso atrofico dei tessuti su cui normalmente vanno ad agire in modo “positivo” gli estrogeni (i cosiddetti tessuti-bersaglio, e cioè utero, vagina, vulva, vescica, uretra, mammella, cute, muscoli e articolazioni). In base alla cronologia della comparsa dei disturbi si identificano sintomi precoci, che compaiono dai primi momenti della menopausa, e sintomi tardivi, che accompagnano le fasi più avanzate della menopausa. Durante la perimenopausa i sintomi possono essere assenti, modesti o gravi, estremamente variabili da una donna all’altra, e sono associati alle oscillazioni dei livelli ormonali (estrogeni, progesterone, FSH e LH) che si verificano in prossimità della scomparsa del ciclo mestruale.

Il primo sintomo è rappresentato dall’irregolarità mestruale, che compare abbastanza spesso già negli anni che precedono l’ultimo flusso mestruale; ne deriva che i periodi mestruali possono essere più lunghi o più corti e che il flusso può risultare più o meno abbondante. In alcune donne i flussi possono scomparire anche per qualche mese, per poi in seguito ripresentarsi con regolarità. Questa fase irregolare può durare anche alcuni anni, prima della scomparsa definitiva del ciclo mestruale.

Le vampate di calore rappresentano il disturbo più conosciuto e caratteristico del climaterio: sono rappresentate da una sensazione di calore diffusa e molto breve (pochi minuti), che parte dal volto e si diffonde a tutto il corpo. Le vampate iniziano solitamente durante la perimenopausa e interessano la maggior parte delle donne, all’incirca tre su quattro: nel corso di quest’evento la donna osserva un aumento della frequenza cardiaca (batticuore) e della temperatura corporea, con abbondante sudorazione; successivamente compare una vasocostrizione, accompagnata da brivido, che porta la donna a coprirsi. Le sudorazioni, più o meno associate alle vampate di calore, si presentano soprattutto nelle ore notturne, determinando risvegli più o meno frequenti: per questa ragione, spesso e volentieri le donne in menopausa riferiscono una qualità del sonno scadente, con sonno più leggero e meno riposante, difficoltà nel prendere sonno e risvegli multipli. Altri sintomi molto frequenti sono i disturbi psicologici, che si verificano più spesso nella fase perimenopausale e menopausale iniziale: sono caratterizzati da variazioni dell’umore, con tendenza alla depressione e all’ansia, irritabilità, nervosismo, perdita della concentrazione e intensa stanchezza.

Infine, ultimi sintomi precoci della menopausa sono i disturbi della sfera sessuale: riduzione del desiderio sessuale (il cosiddetto calo della libido), del piacere sessuale e dell’eccitamento. Tali disturbi possono trovare cause diverse, che risiedono ovviamente in una organica riduzione dei livelli di estrogeni circolanti nel sangue, ma sono influenzati anche dalla componente psicologica della menopausa stessa. Per quanto riguarda i disturbi più tardivi della menopausa, questi comprendono tutte le modificazioni dell’organismo femminile imputabili alla carenza di ormoni estrogeni protratta nel tempo: la cute diviene più sottile, le rughe “di espressione” diventano più evidenti e numerose, si alterano le articolazioni che tendono a deformarsi e a suscitare maggiore dolore, anche le gengive sanguinano più facilmente e talvolta si retraggono. Dopo la menopausa, la riduzione cronica dei livelli di estrogeni provoca cambiamenti dell’apparato riproduttivo nell’arco di mesi e anni. Il rivestimento della vagina si assottiglia, diviene asciutto e poco elastico (distro fia e atrofia vaginale), pertanto sono più frequenti le infiammazioni e le infezioni di varia natura e origine. Questa situazione di atrofia e secchezza vaginale spiega anche la comparsa di dolore nei rapporti sessuali (dispareunia) e l’aumentato rischio di andare incontro a traumi pur minimi a livello genitale, che però predispongono all’insorgenza di infezioni. Ovviamente gli altri organi genitali (le piccole labbra vulvari, il clitoride, l’utero e le ovaie) si rimpiccioliscono allo stesso modo, a seguito della carenza di estrogeni.

Anche l’apparato urinario risente della carenza ormonale: i disturbi che ne conseguono a questo livello si manifestano con uretriti e cistiti ricorrenti, oltre che con la maggiore predisposizione a prolasso e incontinenza urinaria. Infine, la riduzione di estrogeni, fondamentali per il mantenimento della struttura ossea, causa spesso la riduzione della densità ossea, con una rarefazione della sua struttura trabecolare (osteopenia) che può esitare in vera e propria osteoporosi. In conseguenza della minore densità dell’osso, inoltre, questo diviene più fragile e maggiormente predisposto alle fratture.

La perdita maggiore di densità ossea avviene solitamente entro i primi due anni della menopausa, mentre negli anni successivi il fenomeno diviene più lento fino ad assestarsi intorno ai valori tipici dell’età senile.

Negli ultimi anni si è discusso molto a proposito delle ripercussioni che la carenza estrogenica può avere sull’apparato cardiocircolatorio, con aumento del rischio di infarto e di ictus cerebrovascolare: infatti, la cessazione ovarica di produzione di estrogeni determina una serie di alterazioni metaboliche che si ritengono responsabili dell’incremento del rischio di problemi cardiocircolatori quali l’aumento del colesterolo LDL (quello comunemente indicato come colesterolo cattivo e maggiormente implicato nel processo dell’aterosclerosi), del colesterolo totale e dei trigliceridi, mentre la componente HDL (il cosiddetto colesterolo buono) rimane costante o diminuisce un po’. Anche la pressione arteriosa, la glicemia a digiuno e il peso corporeo aumentano nella fase menopausale.


Diagnosi

In circa tre quarti delle donne la diagnosi di menopausa è certa: in base ai sintomi riferiti e alla scomparsa del ciclo mestruale è infatti possibile riconoscere l’esaurimento della funzionalità dell’ovaio. Se questi sintomi compaiono in donne giovani, o se non sono associati ad alterazioni del ciclo mestruale, è bene ricorrere al medico, il quale in genere fa eseguire esami del sangue in modo da verificare i livelli degli ormoni in circolazione; grazie a questi test è possibile comprendere in quale fase ormonale si trova la donna, in particolare se ci si trova di fronte a una menopausa iniziale. Prima di qualsiasi trattamento, è opportuno comunque sottoporsi a una visita medica, con esame ginecologico e controlli delle mammelle (visita, mammografia, Pap test), misurazione della pressione arteriosa ed eventuale esecuzione di alcuni accertamenti diagnostici a discrezione del medico curante. Laddove il medico lo ritenga utile, è possibile anche valutare la densità ossea tramite un esame detto densitometria ossea DEXA, che valuta lo stato di calcificazione dell’osso in fase menopausale.


Terapia o non terapia? Benefici e rischi

Anche nel caso della terapia ormonale sostitutiva (come per qualsiasi altro trattamento), i medici raccomandano di procedere alla sua prescrizione solo quando i suoi benefici attesi (in questo caso alleviare i sintomi della menopausa) siano superiori ai rischi correlati alla terapia. La decisione di intraprendere la TOS deve pertanto essere oggetto di discussione con il medico curante, il quale farà ovviamente riferimento alle condizioni generali e ai disturbi specifici riferiti dalla paziente, procedendo quindi a una valutazione ponderata dell’eventuale presenza di fattori di rischio che ne precludano l’utilizzo. In tempi recenti si è aperto un dibattito sul rischio di tumore della mammella e della mucosa interna dell’utero (tumore dell’endometrio) connesso alla terapia ormonale sostitutiva: se quest’ultima è basata sul solo estrogeno (ovviamente in una donna che abbia ancora l’utero) aumenta il rischio di carcinoma endometriale da 1 donna su 1000 a 4 donne su 1000 ogni anno, e il rischio è maggiore in caso di dosi più elevate e impiego superiore ai 5 anni. In queste donne l’associazione di un composto progestinico alla terapia estrogenica elimina quasi completamente il rischio di tumore all’utero (il rischio passa a un livello addirittura inferiore rispetto a quello osservato nelle donne che non assumono alcuna terapia sostitutiva). Nella donna isterectomizzata non vi è ovviamente alcun rischio di sviluppare questo tipo di tumore e pertanto non vi è alcuna necessità di associare un composto progestinico alla terapia ormonale estrogenica. L’assunzione della terapia sostitutiva per un periodo superiore ai 5 anni sembra invece aumentare il rischio di tumore alla mammella, rischio che cresce esponenzialmente in base alla dose e alla durata della terapia. Per questo motivo, nel caso sia necessario prescrivere una TOS, il medico valuterà con attenzione diversi fattori, tra cui l’assenza in famiglia di casi di tumori della mammella e l’assenza, nella storia clinica della donna in questione, di tumori estrogeno-dipendenti (mammella e utero).

Durante l’assunzione della TOS, è consigliabile restare in contatto con il medico e sottoporsi annualmente a una mammografia e a una ecografia transvaginale, per valutare la mammella e l’endometrio.

Può essere comunque interessante ricordare che i tumori della mammella eventualmente insorti in concomitanza con una TOS o dopo la sua sospensione presentano caratteristiche di minore malignità (maggiore differenziazione e minore invasività): è per questo motivo che la mortalità per tumore della mammella non aumenta durante la TOS.


Ormoni, ma non solo

Oltre agli estrogeni e ai progestinici, diversi altri farmaci possono rivelarsi utili nell’alleviare la sintomatologia menopausale: per esempio la clonidina (farmaco utilizzato per la cura dell’ipertensione arteriosa) è in grado di ridurre l’intensità delle vampate, ma anche antidepressivi come paroxetina, mirtazapina, setralina o venlafaxina possono agire in questo senso; questi antidepressivi, inoltre, sono utili anche nella cura della depressione e dell’ansia che accompagnano spesso la comparsa della menopausa.

Altra classe di farmaci potenzialmente efficaci in questo settore sono i cosiddetti SERM (modulatori dei recettori selettivi per gli estrogeni), i quali svolgono una funzione simile a quella degli estrogeni prodotti dal nostro corpo (estrogeni endogeni) su varie componenti dell’organismo. Attualmente l’unico SERM impiegato per prevenire i disturbi associati alla menopausa è il raloxifene: al pari di un estrogeno naturale aiuta a prevenire la riduzione della densità ossea, tuttavia aumenta leggermente il rischio di episodi di tromboembolia perché favorisce la coagulabilità del sangue (le percentuali sono di 1-3 eventi su 10.000 donne trattate). In realtà possono anche registrarsi effetti opposti agli estrogeni su altre parti del corpo: in talune pazienti, infatti, si verifica un aumento e un peggioramento delle vampate di calore, e per questi motivi attualmente l’unica indicazione all’uso di questa classe farmacologica rimane un’importante riduzione della densità ossea (osteoporosi conclamata), con rischio elevato di fratture ossee. Alcune donne si affidano a farmaci omeopatici e a rimedi diversi per combattere il problema delle vampate, dell’irritabilità e dei cambiamenti di umore: alcuni esempi sono il cohash nero, il dong quai, la primula serale, il ginseng e gli ergotaminici. Va tuttavia rilevato che la sicurezza e l’efficacia di tali rimedi non sono state dimostrate, ma soprattutto che la quantità e la natura dei vari componenti non sono in genere standardizzate né controllate, per cui se ne sconsiglia l’utilizzo, quanto meno se non lo si è prima discusso con il proprio medico curante. [S.S.]