Alimentazione
La “cottura” degli alimenti
La “cottura” degli alimenti
Abbiamo virgolettato la parola cottura nel titolo perché i sistemi con i quali l’uomo eroga calore agli alimenti sono molti e diversi fra loro. Bisogna però precisare che il calore, di per sé, non è una tecnica di conservazione dei cibi e anzi li rende ancora più indifesi contro le aggressioni microbiche e, quindi, più deperibili. È piuttosto un ottimo “sanificante” perché inattiva i microrganismi, le loro tossine o eventuali composti chimici che possono rendere dannoso un alimento crudo.
I cibi trattati con il calore di solito si conservano più a lungo rispetto alle materie prime crude perché vi si associa sempre un altro accorgimento essenziale: il confezionamento in un contenitore a chiusura più o meno ermetica. Si tratta, insomma, di un’azione combinata:
- il calore distrugge i microrganismi presenti nell’alimento crudo e inattiva gli enzimi che possono fare andare a male il prodotto;
- il contenitore a chiusura ermetica separa l’alimento dal resto del mondo e impedisce che i microrganismi ambientali alteranti o patogeni possano di nuovo raggiungerlo e farlo andare a male.
Prendiamo per esempio le conserve: possono durare inalterate per anni (non meno di 5, ma si può arrivare a oltre 10), si mantengono stabili a temperatura ambiente, ma quando si apre la confezione è opportuno consumare il prodotto nel più breve tempo possibile o, in alternativa, conservarlo in frigorifero.
I microrganismi e i residui chimici pericolosi non sono tutti ugualmente sensibili al calore (si parla di composti termolabili e, viceversa, termostabili). Perché il calore possa svolgere bene le sue funzioni, bisogna che l’alimento sia portato a temperature sufficientemente alte e che vi resti per il giusto tempo. Quindi l’efficacia dei trattamenti termici applicati agli alimenti si misura sempre con un rapporto temperatura/tempo. In generale, quanto più alta è la temperatura raggiunta, tanto minore è il tempo richiesto per ottenere l’effetto “sanificante”. Prendiamo a titolo di esempio la classica pastorizzazione del latte crudo, che può essere fatta in due modi:
- portandolo a 65 °C e mantenendolo a quella temperatura per 15-25 minuti;
- scaldandolo a non meno di 72 °C e tenendovelo per 15 secondi.
In base ad accurate prove sperimentali si può affermare che dal punto di vista microbiologico i risultati che si ottengono con i due sistemi sono uguali, ossia si riesce a inattivare con efficacia i principali microrganismi agenti di malattia alimentare. Quello che cambia è l’impatto del calore sui macro- e sui micronutrienti del latte. Altri dati sperimentali confermano, infatti, che tra i due sistemi, quello che permette di mantenere le caratteristiche nutrizionali del latte è il secondo, definito pastorizzazione alta.
Emerge un concetto fondamentale: tra i trattamenti termici, in generale, incidono meno sul valore nutrizionale quelli in cui si raggiungono temperature anche molto elevate, ma per tempi molto brevi. Viceversa, un trattamento termico che opera a temperature più basse, ma per tempi più lunghi, incide sfavorevolmente molto di più sui fattori nutritivi.
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