Alimentazione

Conservare gli alimenti
Gli alimenti fanno parte della nostra vita da sempre e sono un bene insostituibile, ma possono creare problemi alla salute dell’uomo; se non si seguono le opportune regole igieniche durante la produzione possono, infatti, essere causa di pericolose malattie alimentari, a volte solo fastidiose, altre addirittura mortali. I cibi deperiscono rapidamente e occorre quindi intervenire con opportuni trattamenti, per conservarli nel tempo. Infine, le numerose risorse energetiche che occorrono per produrli incidono negativamente sull’equilibrio ambientale; per dare un’idea, nel mondo si producono 39 tipi di prosciutto crudo stagionato, circa 1.200 tipi di salumi, 1.600 varietà di formaggio più o meno stagionato e oltre 100 tipi di latte fermentato (lo yogurt è solo uno di questi). Non si contano poi i tipi di pane, pasta, prodotti da forno, dolci e vegetali variamente conservati, che formano una parte più o meno cospicua della nostra dieta quotidiana.
Tra le tecniche di conservazione, il calore è una delle più diffuse e quella che incide maggiormente sulle caratteristiche nutritive (e sensoriali) di un alimento: gli abbiamo, quindi, dedicato un capitolo a parte, in cui prenderemo in considerazione tutte le altre tecniche di conservazione e trasformazione degli alimenti.
Definizioni e aspetti generali
Conservare un alimento significa mantenerne il più a lungo possibile invariate le caratteristiche igienico-sanitarie, sensoriali e nutrizionali. Il periodo nel quale un prodotto alimentare si mantiene inalterato si chiama durabilità commerciale, conservabilità o shelf-life (vita di scaffale).
Nonostante gli sforzi compiuti dall’uomo, gli alimenti (freschi o conservati che siano) sono destinati a deteriorarsi, ossia a perdere le caratteristiche sensoriali che sono loro tipiche: si pensi alla frutta tagliata che imbrunisce, a un salame che diventa rancido o a un prodotto da forno che ammuffisce. Quando è alterato, un alimento smette, per legge, di essere tale:
non può più essere consumato dall’uomo e va ritirato dal commercio.
I processi di deterioramento sono la principale causa di sottrazione al consumo di derrate alimentari, e le tecniche di conservazione mirano appunto a evitare, o quanto meno a rallentare, tali processi. Per capire come funzionano le tecniche di conservazione, bisogna sapere perché gli alimenti si alterano. Siano essi di origine animale, vegetale o misti, vanno a male per due motivi, sovente indipendenti l’uno dall’altro, ma a volte sommati:
- sulla superficie o al loro interno si sviluppano cariche eccessive di batteri, lieviti o muffe. Questi microrganismi, non visibili direttamente, producono enzimi che scindono le proteine, i grassi e/o i carboidrati, liberando composti chimici che possono essere sgradevoli per i nostri sensi, e modificano odore, sapore e consistenza. La putrefazione delle carni e dei prodotti della pesca è l’esempio più classico di alterazione di origine microbica;
- le proteine o i grassi vanno incontro a reazioni chimiche che liberano composti sgradevoli. L’irrancidimento è l’esempio più classico di queste reazioni: i grassi diventano sempre più gialli, si sviluppa un odore caratteristico e il prodotto diventa piccante mentre prima non lo era.
Ci accorgiamo che l’alimento si sta deteriorando perché comincia a sviluppare colori, odori e/o sapori strani, non tipici. Queste modificazioni compaiono quando si formano e si accumulano composti chimici che prima non c’erano:
- composti aromatici volatili come ammoniaca, composti solforati (odore di uovo marcio) e solventi come l’acetone;
- composti che alterano il sapore dell’alimento facendolo diventare piccante (acido butirrico) o amaro o conferendogli un sapore strano come fanno le aldeidi, i chetoni e gli alcoli (sapore di frutta, di patata, di burro rancido, di detersivo, di cherosene);
- composti che gli conferiscono un colore insolito (mozzarelle e ricotte che si tingono di giallo o di rosso, carni crude e cotte che diventano verdognole, maionese e yogurt che si coprono di macchie marrone, rossastre o nere);
- gas di vario tipo (anidride carbonica, idrogeno, acido sulfidrico) che si accumulano all’interno della confezione, provocando il cosiddetto gonfiore o bombaggio.
Nel 90% dei casi un alimento va a male per l’eccessiva crescita di microrganismi alteranti al suo interno; soltanto nel 10% dei casi si deteriora per cause chimiche non dipendenti da microrganismi.
I microrganismi alteranti (batteri, lieviti e/o muffe) arrivano a inquinare gli alimenti con le materie prime, durante le manipolazioni in corso di produzione ed eventualmente dall’ambiente in cui gli alimenti sono posti a stagionare e maturare prima di essere pronti al consumo. In generale, un alimento comincia ad andare a male quando sulla sua superficie o al suo interno la carica microbica complessiva supera valori molto alti (diciamo, non meno di 10 milioni di microrganismi per grammo di alimento). È raro che un alimento sia inquinato da cariche microbiche così alte sin dall’inizio; più è scrupolosa l’igiene della produzione, più basse saranno queste cariche microbiche iniziali e, quindi, minori saranno i rischi di alterazione del prodotto. Un alimento, in genere, si deteriora perché questa flora microbica iniziale riesce a moltiplicare più o meno velocemente.
Le tecniche di conservazione degli alimenti puntano in primo luogo a eliminare i microrganismi alteranti o, quanto meno, a bloccarne la moltiplicazione, adottando varie strategie. Alcune tecniche sono state scoperte dagli uomini preistorici e praticamente sono rimaste invariate nei secoli: sono quelle che sfruttano gli elementi naturali come l’essiccazione, il sale, l’affumicamento e la marinatura in aceto. Altri sistemi sono di invenzione antica, ma l’uomo li ha perfezionati grazie alla scoperta di nuovi materiali di confezionamento, come il sottovuoto in pellicola plastica, l’aggiunta di additivi alimentari o le tecniche del freddo. Altri ancora sono stati inventati solo negli ultimi decenni grazie allo sviluppo della tecnologia, come il confezionamento in atmosfera protettiva, la cottura a microonde e così via. Le tecniche di conservazione degli alimenti, quindi, si possono dividere in tradizionali e moderne, come vedremo in seguito.
È raro che un alimento sia conservato applicando solo uno dei sistemi elencati in seguito: molto spesso sono due o più le tecniche impiegate, anche se il consumatore non se ne accorge. Per esempio, la stagionatura di salumi e formaggi è una prassi che favorisce una graduale perdita di acqua da parte dell’alimento, ma questi prodotti hanno subito anche l’aggiunta di sale e qualche volte sono stati pure affumicati. Nelle conserve in scatola si sfruttano il trattamento termico di sterilizzazione commerciale, il confezionamento sottovuoto, l’aggiunta di sale e/o la marinatura, spesso l’aggiunta di additivi alimentari conservanti quali nitriti o solfiti.
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