Osteoporosi, ecco perché la fragilità ossea riguarda tutti

Non è un problema per vecchi. Coinvolge donne e uomini, anziani e teenager. Apposta le campagne di sensibilizzazione iniziano sui banchi di scuola. Leggi qui



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In Italia si stima ci siano 4 milioni di malati di osteoporosi: 3,2 milioni di donne e 800mila uomini. Un vero esercito, un numero simile a quello dei diabetici. E in futuro si prevede aumenteranno, seguendo l’aumento dell’aspettativa di vita. Già oggi, per esempio, il 50% delle donne over 70 ha problemi di fragilità ossea. A differenza di altre patologie la prevenzione non è semplice, perché spesso la diagnosi avviene quando si presenta il primo danno concreto, la frattura, che nel 2017 ha colpito almeno 600mila persone. E questi sono solo i casi “emersi” con il ricovero, perché il numero reale è superiore.

Sia il sistema sanitario, sia l’attitudine dei pazienti, presentano però diverse criticità, come ritardi nella diagnosi e mancanza o rifiuto di terapie mirate. Ecco perché, dopo l’allarme lanciato lo scorso ottobre dall’Oms, si moltiplicano le iniziative di sensibilizzazione.


Dopo una frattura serve il farmaco

Undici società scientifiche, insieme a Abiogen e Italfarmaco, hanno dato vita alla campagna di comunicazione Fai la prima mossa – cura le tue ossa, rivolta ai medici ma soprattutto ai pazienti, per metterli in guardia sull’importanza della prevenzione, di uno stile di vita sano e di cure appropriate. «Purtroppo, la diagnosi avviene spesso quando il problema è manifesto. Proprio per questo, la prevenzione secondaria e l’aderenza ai trattamenti è fondamentale per scongiurare fratture successive», sottolinea Stefano Gonnelli, presidente Siommms (Società italiana osteoporosi e malattie dello scheletro).

Eppure, secondo una ricerca di Clicon Health Research, condotta su 3.475 pazienti italiani over 50, il 41,5% dei malati non ha ricevuto alcun farmaco osteoporotico dopo la prima frattura. Questo avviene perché, solitamente, il primo rimedio imposto dai medici riguarda lo stile di vita (dieta adeguata ed esercizio fisico) mentre i farmaci (divisi in due categorie, antiriassorbitivi e anabolici) vengono prescritti solo ai pazienti più a rischio. Secondo la ricerca, però, i malati non trattati con i farmaci presentano il 55% di probabilità in più di ricadere in una seconda frattura. E accanto ai farmaci, come suggerito anche dall’Aifa, è importante integrare l’apporto di calcio e vitamina D.

Chi prende gli integratori insieme ai farmaci presenta addirittura il 64,4% di probabilità in meno di ulteriori fratture. «Il ruolo di queste sostanze è da tempo riconosciuto e andrebbe tenuto sempre in considerazione soprattutto in età anziana, quando l’incidenza di morte a causa di fratture è sovrapponibile a quella per ictus o carcinoma mammario», conferma Silvia Toniolo, presidente Anmar onlus (Associazione nazionale malati reumatici). Il problema è che i pazienti sottovalutano i rischi e dall’indagine di Clicon emerge che il 50,8% di loro, nel triennio successivo al primo episodio, non aderisce fedelmente alle cure anche quando prescritte. Una tendenza che va corretta.


Sì a linee guida obbligatorie

Alcune associazioni e fondazioni mediche, insieme ad Amgen e Ucb, si sono unite per chiedere all’Istituto superiore di sanità di adottare le principali linee guida internazionali in tema di osteoporosi, in modo che diventino obbligatorie. «Ancora oggi c’è un gap di continuità assistenziale e di reale prevenzione secondaria dopo una frattura, a causa della mancanza di linee guida vincolanti che impongano un percorso di gestione e cura standardizzato a livello nazionale», dice Maria Luisa Brandi, presidente di Firmo (Fondazione italiana e ricerca malattie dell’osso). Prendiamo la rottura del femore, trauma frequente negli anziani, che in due casi su tre non permette più al paziente di ritornare autonomo.

«La tempestività è fondamentale. Oggi si auspica un trattamento di riduzione della frattura o l’impianto di protesi al massimo entro le 48 ore dall’ingresso in ospedale, per aumentare le possibilità di ripresa della funzionalità. Al contrario, lunghe attese per l’intervento corrispondono a un aumento del rischio di mortalità e di disabilità», spiega Francesco Falez, presidente Siot (Società italiana di ortopedia e traumatologia). In Italia, però, solo alcuni centri di eccellenza riescono a intervenire entro i due giorni nel 70-80% dei casi, ma la media nazionale si ferma al 58% (secondo l’ultima edizione del Programma nazionale esiti, Agenas-Ministero salute).

La prevenzione si insegna in classe

La prima condizione per contrastare l’osteoporosi è una buona strutturazione dell’osso già dall’adolescenza. Partendo da questo principio, il Rotary distretto 2031, con la Fondazione per l’osteoporosi onlus e la Compagnia di San Paolo, ha coinvolto le scuole superiori del Piemonte nel progetto Non è un problema per vecchi, che prevede un ciclo di incontri e un concorso a premi fra le classi. Riflettendo sui danni provocati da una nutrizione disordinata, i ragazzi si informano sul rischio osteoporosi e su un tema molto delicato come l’anoressia. «Le ossa si irrobustiscono al massimo fin verso i 20-25 anni e già dai 35 in poi la loro solidità inizia a diminuire», spiega durante gli incontri Carlo Campagnoli, primario di ginecologia endocrinologica alla Clinica Fornaca di Torino.

«Se nel corso della giovinezza i ragazzi mostrano un bilanciamento energetico negativo, in pratica sono sottonutriti, si interrompe la regolare produzione del principale “motore” di formazione delle ossa, il fattore di crescita Igf-1». Ed è qui che avviene il collegamento nefasto tra osteoporosi e disturbi alimentari. Tra i teenager cui viene diagnosticata l’anoressia si rileva il 66% di probabilità in più di incorrere in fratture, nei primi 18 mesi di malattia. E nel 35% delle donne con anoressia cronicizzata, si manifesta anche l’osteoporosi a livello di vertebre e di collo del femore. Nel 2017, al progetto avevano aderito 31 istituti superiori piemontesi, quest’anno si prevede una partecipazione ancora più alta.


Un paziente curato male costa di più

Le cure inappropriate per i malati di osteoporosi si riflettono anche sulle casse del Sistema sanitario nazionale, per il ripetersi delle fratture e quindi della necessità di ricoveri e di altri supporti di assistenza. Secondo l’indagine di Clicon Health Research e Abiogen, i pazienti che non vengono trattati in alcun modo dopo la diagnosi presentano un costo medio annuo di 39mila euro, mentre quelli curati con i farmaci pesano per 11.500 euro, contro i 7.200 euro dei pazienti che ai farmaci associano l’assunzione di integratori (calcio e vitamina D).



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Articolo pubblicato sul n. 1 di Starbene in edicola dal 18 dicembre 2018

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