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Alzheimer, scoperta l’origine della malattia

Una ricerca italiana dimostra che la malattia di Alzheimer non dipende dalla perdita della memoria, ma dei neuroni che producono dopamina, sostanza che regola l’umore. Se questa viene meno, arriva la depressione e anche i ricordi se ne vanno

iStock




di Oscar Puntel


C’è una nuova scoperta che riguarda l’origine della malattia di Alzheimer: ricercatori italiani hanno visto che l’inizio della malattia non è dovuto a un malfunzionamento della zona del cervello deputata alla memoria, come si pensava, ma di un’area molto più profonda del cervello, localizzata a livello del mesencefalo, e collegata ai disturbi dell'umore.


LA SCOPERTA

La ricerca è stata coordinata da Marcello D'Amelio, professore associato di Fisiologia umana e neurofisiologia presso l'Università Campus Bio-Medico di Roma, in collaborazione con la Fondazione IRCCS Santa Lucia e del CNR di Roma: «Gli studi scientifici si sono concentranti molto sull’ippocampo, l’area del cervello che è oggetto di valutazione nei pazienti con Alzheimer, perché lì ha sede la memoria, funzione cognitive fra le prime a essere compomessa in questo disturbo neurodegenerativo progressivo».

Ma chi soffre di Alzheimer, in Italia sono circa mezzo milione di persone, negli stadi iniziali della malattia, evidenzia anche alterazioni dell’umore e un'apatia generale, che riduce la motivazione nelle attività quotidiane.

«A partire da queste osservazioni cliniche», spiega il professore «mi sono chiesto che cosa venisse a mancare nell’ippocampo e nelle aree del cervello che guidano l’attività motivazionale. Nei pazienti si osservava, in effetti, un decadimento delle funzioni cognitive, senza però che ci fosse una compromissione dei neuroni dell’ippocampo.

Partendo dal presupposto che le funzioni del tono dell’umore e quelle cognitive dell’ippocampo funzionano grazie alla dopamina, un neurotrasmettitore, ho concentrato la mia attenzione su un’area del cervello, l'area tegmentale ventrale, dove la dopamina viene prodotta. E ho scoperto che negli stadi iniziali della malattia di Alzheimer si registrava un deterioramento dei neuroni di quella zona, con conseguente riduzione della dopamina», chiarisce il professor D’Amelio.

In altre parole: è come se la dopamina fosse il carburante dell’ippocampo e delle aree dell’umore. Riducendosi, il motore non si rompe, ma funziona male. Ed è per questo che coloro che soffrono di Alzheimer presentano difficoltà di memoria e un'alterazione dell’umore. «Così siamo riusciti a chiarire il motivo per cui la funzioni dell’ippocampo e di queste aree umorali/motivazionali sono contemporaneamente compromesse nelle prime fasi di sviluppo di malattia», aggiunge l'esperto.


LE PROSSIME SFIDE

Questa scoperta apre nuovi scenari, sul fronte della diagnosi e della terapia. Scenari ancora tutti da chiarire e da investigare. Sul fronte della diagnosi, i ricercatori e i neuroradiologi dovranno definire tecniche di indagine e di diagnostica da effettuare sui pazienti per “fotografare” l’area del mesencefalo e rilevare l’anomalia di quella specifica zona, proprio per poter arrivare a una diagnosi il più precoce possibile di Alzheimer.

«Sul fronte terapeutico aver identificato che queste cellule sono le prime ad andare incontro a un processo degenerativo», dice il professor D'Amelio «significa trovare una cura che punti a preservare la loro struttura: se non si danneggiano e continuano a produrre dopamina, si blocca anche la patologia». La strada è ancora in salita. Ma il meccanismo di esordio della malattia finalmente è stato chiarito.

4 aprile 2017

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