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Microchirurgia: un ragno robot sta per entrare in sala operatoria

La microchirurgia in questi anni ha fatto passi da gigante. Ma sono ai nastri di partenza tecnologie che promettono risultati ancora più straordinari

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L’immagine è quella di un qualunque intervento, o almeno così appare: il paziente sdraiato, medici e infermieri attorno a lui, macchinari per l’anestesia in funzione. Ma il chirurgo dov’è? Ce lo aspetteremmo al centro dell’azione, e invece eccolo un po’ in disparte, mentre fissa un grande monitor e manovra un joystick simile a quello di una console per i videogiochi. Sta operando in microchirurgia.


Oggi si può intervenire anche su nervi e vasi sanguigni

«Con questo termine si intende una tecnica che permette di intervenire su parti piccolissime del corpo umano, di solito vasi sanguigni o nervi, grazie all’uso di mezzi ottici di ingrandimento come il microscopio. Oppure, tramite occhiali speciali e strumenti miniaturizzati, spesso comandati a distanza», sottolinea il dottor Filippo Maria Senes, presidente della Società italiana di microchirurgia e responsabile dell’Unità operativa semplice dipartimentale Centro di chirurgia ricostruttiva e della mano dell’Istituto Giannina Gaslini di Genova.

Permette di ottenere risultati che solo fino a pochi anni fa erano impensabili e si applica ai campi più diversi della medicina: «Dalla neurochirurgia all’otorinolaringoiatria, passando per ortopedia, chirurgia generale e plastica, fino all’oftalmologia e molti altri ambiti ancora», elenca il dottor Senes. Quando si parla di microchirurgia, tuttavia, si identifica soprattutto quella ricostruttiva: «Viene riferita, cioè, alla capacità di trasferire tessuti del corpo umano, con vasi sanguigni e nervi collegati, in modo ottenere la guarigione di zone anche distanti, ma interessate da lesioni dovute a traumi o tumori; oppure congenite, che hanno comportato una perdita di strutture anatomiche», precisa l’esperto.


È possibile reimpiantare un dito o addirittura una mano

La microchirurgia offre soprattutto due vantaggi rispetto alla tecnica tradizionale: «Anzitutto permette di raggiungere risultati straordinari, come la ricostruzione o il reimpianto di una mano o delle dita, che in passato sarebbero state amputate.

La chiave è nel recupero della funzionalità, attraverso i vasi sanguigni e i nervi su cui si interviene: tramite i primi si ottiene la sopravvivenza del tessuto prelevato e trasferito; per i secondi, invece, la funzione può risultare anche parziale, ma è comunque soddisfacente, perché restituisce al paziente la capacità di controllo e coordinazione dei movimenti e quella sensibilità della parte che, altrimenti, avrebbe perso del tutto», osserva il dottor Senes.

Il secondo punto a favore della microchirurgia è la precisione, notevolmente superiore alla tecnica tradizionale: «Certo, dipende dal tipo di intervento, ma naturalmente questo campo si presta moltissimo all’uso di strumentazioni ipertecnologiche.

Grazie ai robot, il microchirurgo può avvicinarsi sempre di più al gesto perfetto perché viene praticamente azzerato ogni minimo tremore della mano. Inoltre, è più facile manipolare fili da sutura di dimensioni di gran lunga inferiori a un capello, difficilissimi da gestire a mani nude. Gli strumenti che abbiamo a disposizione oggi ci consentono di operare su nervi, arterie, vene e vasi linfatici di calibro inferiore a un millimetro. E presto sarà possibile scendere ulteriormente, fino a dimensioni ancora inimmaginabili», assicura il dottor Fillipo Maria Senes.


Con il joystick la precisione è super garantita

Oggi sono già in uso robot telecomandati con un joystick dal chirurgo che permettono di operare la retina, ma ne è da poco stato presentato uno (di nome Axsis) che può operare la cataratta in uno spazio di appena 10 mm. Agisce tramite due minuscoli bisturi, con una precisione superiore a qualunque mano umana e senza il minimo rischio di lesionare il retro del cristallino. Inoltre, da diversi anni in Italia viene usato Da Vinci, robot a quattro braccia impiegato per interventi ad addome, prostata, cuore o in ambito ginecologico.


Il futuro è degli automi capaci di piegarsi all’interno del corpo

Intanto, sono già stati presentati dispositivi che sanno di fantascienza: Star, per esempio, è un robot ideato dagli americani dello Sheikh Zayed institute for pediatric surgical innovation di Washington e da un ingegnere della Johns Hopkins University, a Baltimora. È guidato da un algoritmo che consente alla macchina di eseguire alla perfezione i gesti dello specialista, perché si muove secondo le migliori pratiche chirurgiche riconosciute dalla comunità scientifica. Non solo: Tommaso Ranzani, giovane scienziato italiano dell’Università di Boston (Usa), ha recentemente presentato un dispositivo che potrebbe rivoluzionare la microchirurgia robotica degli anni a venire: il primo minirobot morbido, capace cioè di piegarsi e adattarsi all’interno del corpo umano in modo da non danneggiarne i tessuti durante gli interventi teleguidati dal chirurgo. A forma di ragno, è grande meno di mezzo centimetro.


In Italia siamo all’avanguardia

La scuola italiana di microchirurgia è fra le più all’avanguardia in tutto il panorama internazionale. «Il paziente può pensare che questo tipo di interventi sia eseguito meglio e in maniera più sicura all’estero. E invece ha torto: rivolgersi ai Paesi stranieri è del tutto inutile perché si avrebbero risultati identici a quelli che si ottengono nei nostri ospedali», sottolinea il dottor Filippo Maria Senes, presidente della Società italiana di microchirurgia. «I chirurghi italiani hanno una formazione specifica per l’utilizzo di questa metodica, che va imparata molto presto, richiede una manualità particolare, grande dedizione e diversi anni di esperienza. Oltre alla propensione all’aggiornamento professionale costante, indispensabile per mantenersi al passo con l’evoluzione continua della ricerca in questo campo», tiene a precisare l’esperto.

Per esempio: «Se a causa di un incidente automobilistico è andata via una porzione di pelle, muscolo oppure osso, il chirurgo può prelevarla da un’altra area del corpo, portarla nel punto in cui manca e ricreare i collegamenti fra vasi o nervi, in modo da recuperarne la funzionalità. Proprio come fa anche il chirurgo maxillo-facciale quando ricostruisce una mandibola asportando una parte di tessuto proveniente da un’altra zona del corpo», specifica Senes.


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Articolo pubblicato nel n° 6 di Starbene in edicola dal 22 gennaio 2019



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