Ictus e attacco ischemico transitorio

Le malattie dette cerebrovascolari sono caratterizzate da disturbi circolatori localizzati al compartimento intracranico. Esse costituiscono un rilevante problema sociale nei Paesi occidentali, dove rappresentano la terza causa di morte e la prima causa di invalidità. Nella stragrande maggioranza dei casi il danno è provocato da un’improvvisa mancanza di flusso sanguigno cerebrale (ictus o stroke, cioè […]



Le malattie dette cerebrovascolari sono caratterizzate da disturbi circolatori localizzati al compartimento intracranico. Esse costituiscono un rilevante problema sociale nei Paesi occidentali, dove rappresentano la terza causa di morte e la prima causa di invalidità. Nella stragrande maggioranza dei casi il danno è provocato da un’improvvisa mancanza di flusso sanguigno cerebrale (ictus o stroke, cioè colpi, ischemici); le manifestazioni dovute a emorragie cerebrali (ictus o stroke emorragici) costituiscono invece circa il 15% del totale.


Attacco ischemico transitorio (TIA)

Si parla di attacco ischemico transitorio (abbreviato in TIA dalle iniziali del nome inglese della patologia) per riferirsi all’improvvisa comparsa di segni e sintomi riferibili a un deficit cerebrale localizzato: questo deficit va attribuito all’insufficiente apporto di sangue che affluisce in un determinato distretto del cervello e ha durata inferiore a un’ora. La diagnosi viene fatta sulla base dei disturbi presentati dal paziente. L’attacco ischemico transitorio non lascia postumi ma rappresenta un importante campanello d’allarme e costituisce un fattore di rischio per l’insorgenza di un nuovo episodio di TIA, ictus o infarto al miocardio. A seconda della parte di circolo cerebrale colpito si distinguono:

1. TIA carotidei, con possibili disturbi visivi, disturbi di forza (ipostenia) o di sensibilità (parestesie o ipoestesia) a un arto superiore o una metà del corpo (emisoma), il tutto localizzato al lato opposto a quello della carotide (e quindi dell’emisfero cerebrale) interessata;

2. TIA vertebrobasilari, con vertigini, visione doppia (diplopia), disturbi della parola (disartria, afasia), cefalea ecc.

Se si è colpiti da attacco ischemico transitorio è importante consultare il medico: anche se i disturbi scompaiono in breve tempo, infatti, è possibile che altre malattie diano disturbi simili (emicrania, epilessia, ipoglicemia, tumori cerebrali, sclerosi multipla, isteria) e la situazione va quindi esaminata con attenzione.


Ictus (stroke) ischemico

Si tratta dell’insorgenza improvvisa (ictale) di segni o sintomi riferibili a un deficit localizzato o globale delle funzioni cerebrali, della durata superiore alle 24 ore. Con riferimento al meccanismo che provoca l’ictus si distinguono stroke aterotrombotici (conseguenti all’occlusione di un’arteria per fenomeni di aterosclerosi con ostruzione del vaso), stroke cardioembolici (conseguenti all’ostruzione di un’arteria a causa di un embolo “partito” dal cuore) e stroke che si manifestano a seguito di varie affezioni delle arterie (arteriti, arteriopatia).

La sintomatologia presentata dal soggetto colpito varia a seconda dell’area encefalica affetta dall’insufficiente apporto di sangue: le differenze sono più evidenti a seconda che l’ictus interessi il circolo arterioso anteriore (distretto carotideo) oppure il circolo posteriore (distretto vertebro-basilare).

Si possono peraltro verificare ictus “lacunari”, i quali sono correlati a lesioni causate dall’occlusione di una singola arteria perforante profonda: questi compaiono per lo più in pazienti affetti da ipertensione arteriosa e soltanto in un caso su 4 o su 5 sono sintomatici, mentre nelle restanti manifestazioni restano silenti.


Ictus (stroke) emorragico

Costituisce circa il 15% di tutti gli ictus; poiché la sintomatologia clinica non è così accurata da consentire la distinzione tra ictus ischemico e ictus emorragico, nella pratica clinica quotidiana si ricorre alla tomografia computerizzata (TAC) del cervello per differenziare le due situazioni. L’emorragia cerebrale “primaria”, cioè non provocata da traumi, rappresenta l’80% di tutte le emorragie cerebrali ed è determinata dall’ipertensione arteriosa o dall’angiopatia amiloide.


Emorragia subaracnoidea (ESA)

È una condizione caratterizzata dalla presenza di sangue nello spazio compreso tra le due meningi più interne, cioè la pia madre e l’aracnoide (spazio subaracnoideo). Può essere spontanea oppure provocata da un trauma: se spontanea, nell’85% dei casi è provocata dalla rottura di un aneurisma, nel 10% dei casi è idiopatica (vale a dire che non si riesce a determinarne l’origine) e nel 5% dei casi, infine, è attribuibile a cause rare (per esempio MAV, cioè Malformazioni Artero-Venose). Il sintomo generalmente più frequente è una cefalea improvvisa, intensa, che il paziente riferisce di non aver mai accusato in maniera così forte in precedenza.

Nel giro di pochi minuti o di alcune ore, la cefalea tende a concentrarsi in sede occipitale. Altri sintomi clinici sono: vomito, che accompagna l’esordio della cefalea; perdita di coscienza (si verifica in circa il 60% dei casi all’esordio o poco dopo); rigidità del collo (rigor nucalis, generalmente si manifesta a 3-12 ore dall’esordio); intolleranza alla luce (fotofobia); crisi epilettiche ed emorragia intraoculare. Per quanto riguarda quest’ultimo sintomo, l’emorragia non consiste nella comune rottura di capillari visibile dall’esterno sulla bianca congiuntiva del bulbo, ma in un’emorragia di cospicua entità, generalmente localizzata in prossimità del nervo ottico, che è determinata dall’ipertensione endocranica esercitata sulla vena centrale della retina e che ostacola il deflusso venoso dalla retina; essa rappresenta un fattore prognostico negativo. Ancora a carico dell’apparato visivo si possono verificare disturbi dei movimenti degli occhi (deficit del nervo oculomotore o del nervo abducente), non frequenti ma indicativi della rottura di una malformazione artero-venosa, di un aneurisma che comprime un nervo cranico oppure di un aneurisma che ha sanguinato nel contesto del tessuto cerebrale. La febbre dopo i primi 2-3 giorni può superare i 39 °C, mentre nel 15% dei pazienti colpiti da emorragia subaracnoidea si verifica la morte improvvisa, caso unico nella sintomatologia degli ictus.


Trombosi venosa

La trombosi dei seni, possibile causa di infarti cerebrali venosi, non ha una presentazione clinica tipica ma un ampio spettro di modalità di presentazione; nel 70-90% dei casi può essere presente una cefalea, associata o meno ad altri sintomi quali crisi comiziali, deficit focali, compromissione della coscienza, disturbi visivi e, all’esame del fondo dell’occhio, edema della papilla ottica.

Le manifestazioni cliniche possono essere raggruppate in tre categorie: in un terzo circa dei casi si può avere una serie di disturbi riconducibili a un aumento della pressione intracranica (sindrome da ipertensione endocranica isolata); in poco più della metà dei casi possono comparire deficit localizzati delle funzioni cerebrali (deficit focali) e crisi epilettiche che simulano l’ictus arterioso o una lesione espansiva (per esempio un tumore); in una minoranza dei casi compare infine un quadro di diffusa sofferenza delle funzioni cerebrali (quadro di encefalopatia diffusa) con disturbi cognitivi o dello stato di coscienza che simulano un’encefalite o un’encefalopatia metabolica. La presentazione clinica dipende dalla sede e dall’estensione della trombosi.


Diagnosi

In presenza di disturbi come quelli sopra descritti è fondamentale una tempestiva valutazione del medico per cui, specie nei casi più eclatanti, viene solitamente allertato il sistema dell’emergenza 118 e si accede a un Pronto soccorso: qui, nel sospetto di ictus, vengono in genere effettuati esami del sangue, un elettrocardiogramma e una radiografia del torace. Le diagnosi di TIA e di ictus sono effettuate in base ai segni e ai sintomi rilevati sul paziente mentre, per differenziare un ictus ischemico da un ictus emorragico, occorre sottoporre il paziente a una tomografia computerizzata dell’encefalo (TAC) o, come accade sempre più spesso, a una risonanza magnetica (RM) che, rispetto alla prima, ha il vantaggio di poter identificare lesioni di piccole dimensioni o localizzate nella fossa cranica posteriore. Grazie alla RM del cervello è possibile dimostrare, nei pazienti con pregressi TIA o ictus, eventuali lesioni passate inosservate dal punto di vista clinico.

L’esecuzione di un ecocolordoppler dei tronchi sovra-aortici può risultare utile qualora si sospetti la presenza di una stenosi carotidea: questo esame può evidenziare infatti la presenza di lesioni aterosclerotiche alle carotidi. Nel caso in cui l’ostruzione (stenosi) della carotide sia rilevante, con grave compromissione del flusso ematico diretto al cervello (si parla di ostruzioni emodinamicamente significative) e quindi rischio di ulteriori o più gravi episodi di ictus ischemico, il medico può valutare insieme a un chirurgo vascolare la possibilità di un intervento angiochirurgico.

Una metodica sempre più impiegata per la diagnosi di ictus e TIA è l’ecocolordoppler transuranico: oltre a essere un efficace strumento diagnostico per le ostruzioni dei vasi intracranici, questo esame consente inoltre di monitorare nel tempo, con sufficiente accuratezza, i processi di ricanalizzazione delle arterie intracraniche maggiori (soprattutto dell’arteria cerebrale media) dopo processi di trombolisi spontanea o indotta dalla somministrazione di appositi farmaci.

Per approfondire ulteriormente lo studio del flusso nei principali tronchi arteriosi del collo e dell’interno del cranio si può ricorrere a una nuova metodica, detta Angio-RM, oppure effettuare un’angiografia, tuttora l’esame più accurato e preciso (gold standard, come dicono i medici) cui fare riferimento per una valutazione sia dell’aspetto (valutazione morfologica) sia del funzionamento del circolo intracranico. L’angiografia permette di valutare la presenza di una placca aterosclerotica ulcerata, di un restringimento vascolare (stenosi) o di una dissezione carotidea; le indicazioni all’esecuzione di tale esame nei soggetti affetti da ischemia cerebrale, tuttavia, si sono modificate in seguito allo sviluppo di TAC, RM, ecografia carotidea ed ecografia transcranica. L’iter diagnostico, nel paziente con ictus, viene infine completato dall’ecocardiogramma, eseguito con la tradizionale metodica (transtoracico) oppure con sonda transesofagea; quest’esame serve a escludere un’origine cardioembolica ovvero a identificare una cardiopatia ischemica eventualmente silente tra le cause dell’ictus.


Terapia

La terapia specifica effettuata nelle prime ore si avvale della disponibilità di strutture e di personale dedicati alla cura dell’ictus (cosiddette stroke-unit) e, in caso di ictus ischemico, della possibilità di “sciogliere” il coagulo (trombolisi) nelle prime tre ore dall’esordio dei sintomi e di contrastare la formazione di eventuali trombi attraverso farmaci che prevengano l’aggregazione piastrinica.

Le stroke-unit sono reparti ospedalieri specializzati nei quali i pazienti vengono seguiti da un’equipe di infermieri, medici specialisti delle patologie cerebrovascolari e specialisti e tecnici della riabilitazione. La trombolisi è invece un trattamento che deve essere attuato da un’equipe specializzata entro tre ore dall’insorgenza della sintomatologia clinica, e prevede la somministrazione per via endovenosa di un farmaco, il r-tPA (recombinant-Tissue Plasminogen Activator). La comparsa di complicanze emorragiche aumenta progressivamente quando si superano le tre ore: per questa ragione la trombolisi va effettuata in centri specializzati, dotati dei requisiti organizzativi necessari a ridurre al minimo l’intervallo di tempo tra arrivo del paziente in ospedale e inizio del trattamento e tali da assicurare un accurato e costante controllo dello stato neurologico e delle funzioni vitali nelle successive 24 ore di trattamento; non tutti i pazienti possono essere sottoposti a questo tipo di trattamento e le selezione, da effettuare molto tempestivamente, ha lo scopo di ottimizzare il rapporto tra i possibili rischi e i benefici del trattamento (trombolisi), riducendo al minimo la mortalità.

Il trattamento di uno stroke ischemico, eseguibile in tutti i centri, è finalizzato a prevenire la formazione di trombi all’interno dei vasi sanguigni (terapia antiaggregante piastrinica o anticoagulante). Nelle fasi iniziali dell’ictus ischemico (fase acuta) l’aspirina (generalmente a un dosaggio di 300 mg) viene prescritta a tutti i pazienti eccetto quelli candidati al trattamento trombolitico, nei quali la somministrazione di acido acetilsalicilico (costituente dell’aspirina) con finalità riaggregante si può iniziare ventiquattro ore dopo; in alternativa, nei pazienti già in trattamento a domicilio con aspirina prima dell’ictus o in quelli che presentano controindicazioni all’utilizzo di questo farmaco, possono essere impiegati la ticlopidina o il clopidrogel. La terapia anticoagulante orale è indicata per i pazienti che presentano una fibrillazione atriale non legata a malattie delle valvole cardiache, oltre che per quelli affetti da una malattia cardiaca dalla quale possono generarsi emboli e per quelli che i cardiologi indicano come a elevato rischio di recidiva dei fenomeni embolici.

Nel caso di emorragia cerebrale le misure terapeutiche da mettere in pratica non sono molte: in alcuni casi è possibile ricorrere all’intervento neurochirugico, ma generalmente, in caso di emorragia spontanea insorta all’interno del cervello, un trattamento neurochirurgico precoce non apporta alcun beneficio aggiuntivo rispetto a un trattamento inizialmente conservativo. Nei primi giorni dall’esordio dei sintomi nel paziente, di solito, vengono sorvegliati i parametri vitali (temperatura, pressione arteriosa, ritmo e frequenza cardiaca, saturazione dell’ossigeno nel sangue) e tenute sotto costante controllo le condizioni neurologiche; l’edema cerebrale e l’eventuale presenza di fenomeni epilettici secondari vengono sottoposti agli opportuni trattamenti.

Un’ulteriore campo di azione terapeutico nei pazienti colpiti da ictus riguarda le complicazioni a carico dell’apparato urinario e polmonare, molto frequenti e che quindi bisogna cercare in ogni caso di prevenire. Particolare attenzione va posta allo stato nutrizionale del paziente, soprattutto se quest’ultimo presenta difficoltà di alimentazione per disturbi della deglutizione (disfagia). Occorre inoltre prevenire le trombosi venose profonde ed è assolutamente fondamentale che i pazienti vengano mobilizzati precocemente (già nelle prime ore dopo l’ictus).


Riabilitazione dei pazienti con ictus

La riabilitazione ha il compito di favorire il recupero, almeno parziale, delle funzioni motorie perse. A tale scopo è importante stimolare il paziente affinché abbandoni il prima possibile la posizione allettata e partecipi alle attività quotidiane.

Il trattamento riabilitativo si propone come obiettivi a breve e medio termine il recupero funzionale dell’arto colpito dal danno neurologico provocato dall’ictus, la rieducazione del controllo della posizione del corpo (postura) e del cammino. Se il paziente soffre di disturbi del linguaggio, è necessario l’intervento di un logopedista per poter avviare un trattamento specialistico, finalizzato al recupero della capacità di comunicazione globale, linguistica, di lettura, scrittura, calcolo o comunque tale da promuovere tutte le possibili strategie compensative atte a superare i problemi di comunicazione, addestrando inoltre i familiari alle modalità più valide di comunicazione con il paziente. Una volta superata la fase acuta della malattia, la cura può proseguire in strutture specializzate per la riabilitazione. [M.R., G.G.]