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Troppo stress al lavoro fa male: ecco come combatterlo?

L’assenteismo scende, il coinvolgimento, la coesione e la motivazione aumentano. Ecco perché alle aziende investire in felicità conviene

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La psicologia aiuta a lavorare meglio. Migliora l’umore, il rapporto tra colleghi e, soprattutto, la produttività. Se ne stanno accorgendo le aziende che, dopo aver offerto il supporto di coach e psicoterapeuti ai propri dipendenti, hanno ottenuto risultati notevoli.

È accaduto, per esempio, nelle sedi di Milano e Torino di Reale Group di Reale Mutua, che ha messo a disposizione dei 3mila impiegati un assistente sociale. L’impatto sul clima aziendale è stato sorprendente.

Del resto, stress e depressione in Italia colpiscono quasi la metà dei lavoratori, con evidenti ripercussioni sull’organizzazione aziendale: giornate di lavoro perse, mancanza di concentrazione e di coinvolgimento. A rivelarlo è la recente indagine Work Force Europe, che nel nostro Paese è stata svolta su un campione di 1300 persone: il 40% degli intervistati vorrebbe cambiare o lasciare il lavoro a causa dell’incapacità di gestire la tensione.

In altri casi, poi, sono i problemi familiari che travalicano il confine tra casa e ufficio, portando all’interno della routine lavorativa ansie e preoccupazioni.


Un servizio strategico

«Quando una persona sta bene, risulta più integrata e maggiormente focalizzata sugli obiettivi da raggiungere», spiega Patrizia Nicoletti, assistente sociale e psicologa clinica di Issim, l’Istituto per il servizio sociale nell’impresa, che fornisce servizi di consulenza attraverso una rete di welfare specialist.

«Le figure presenti in azienda per il sostegno psicologico della persona hanno un ruolo fondamentale perché supportano emotivamente il dipendente in un momento di crisi o di cambiamento personale, sociale o lavorativo, lo aiutano a focalizzare il proprio problema e a gestirlo facendo leva sulle potenzialità individuali e del gruppo di lavoro. La persona viene invitata a lavorare su di sé per gestire ansia e stress o per sciogliere i nodi relazionali a casa o in ufficio. Capire di possedere le risorse per farcela, poi, regala sicurezza e autostima, due potenti incentivi per lavorare meglio».


È un nuovo tipo di welfare aziendale

Prendersi cura della felicità dei propri dipendenti è dunque un investimento utile per le aziende. E se un tempo c’erano gli asili interni e altri servizi di welfare aziendale, oggi si punta a migliorare il rapporto che le persone hanno con se stesse e con il mondo esterno.

Nella sede milanese del gruppo farmaceutico Sanofi, per esempio, sono anni che un assistente sociale di Issim collabora come consulente, ha un suo ufficio nel quale riceve chiunque voglia essere aiutato a superare una difficoltà: da un problema con un collega alla gestione familiare, ai disagi con i figli, da un momento di depressione a una malattia grave.

«I nostri dipendenti ricorrono al servizio con fiducia, certi dell’assoluta riservatezza del consulente», spiega Laura Bruno, direttore risorse umane di Sanofi Italia e Malta. «I risultati riscontrati a livello di coinvolgimento e produttività ci dicono che questa è la strada giusta: non solo i casi di assenteismo sono pochissimi, ma ogni giorno riceviamo mail di ringraziamento».


Più ansiose le donne

Il dato è preoccupante, anche se non stupisce: lo stress “lavoro correlato” colpisce soprattutto le donne.

Sono oltre 3,2 milioni le lavoratrici con problematiche e disagi psichici. Di queste, 500mila hanno disturbi d’ansia, 230mila soffre di insonnia, 220mila di depressione, oltre 2 milioni quelle che denunciano disturbi transitori di irritabilità e mancanza di concentrazione. Sono i risultati emersi nel corso dell’ultima Giornata mondiale della salute mentale.

Anche l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ha lanciato l’allarme: la percentuale di chi soffre di questi disturbi, in Europa, è del 60% con un impatto sul Pil intorno al 4%.




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Articolo pubblicato sul n. 17 di Starbene in edicola dal 10/04/2018



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