MALATTIE DEL CONNETTIVO

Le malattie del connettivo, o connettiviti, sono classificate fra le malattie reumatiche che interessano tutto l’organismo (sistemiche) e costituiscono un gruppo di affezioni correlate a processi autoimmuni che coinvolgono numerosi organi e apparati, in quanto il processo infiammatorio cronico che le caratteriza coinvolge un tessuto, come quello connettivo, che è largamente diffuso nell’organismo. I primi […]



Le malattie del connettivo, o connettiviti, sono classificate fra le malattie reumatiche che interessano tutto l’organismo (sistemiche) e costituiscono un gruppo di affezioni correlate a processi autoimmuni che coinvolgono numerosi organi e apparati, in quanto il processo infiammatorio cronico che le caratteriza coinvolge un tessuto, come quello connettivo, che è largamente diffuso nell’organismo.

I primi a riunire le connettiviti in un unico gruppo furono Klemperer, Pollak e Baher, che nel 1942 coniarono il termine di malattie del collagene o collagenopatie; poiché tale denominazione si adattava bene solo alla sclerodermia, in seguito essa fu sostituita con quella attualmente in uso.

Le principali connettiviti sono il lupus eritematoso sistemico, la sclerosi sistemica (sclerodermia), la polimiosite-dermatomiosite, la sindrome di Sjögren, le connettiviti indifferenziate e le connettiviti da sovrapposizione; tra queste ultime le più importanti sono la connettivite mista (sindrome di Sharp) e la sindrome da anticorpi anti t-RNA sintetasi. La sindrome da anticorpi antifosfolipidi non è una vera connettivite, ma viene classificata in questo gruppo perché si osserva molto spesso in associazione con queste malattie.


Malattie rare o frequenti?

La frequenza delle connettiviti è probabilmente in aumento, anche per una migliore capacità e precisione diagnostica dovuta soprattutto alla puntualizzazione della tecnica di rilevazione degli anticorpi antinucleo ed antinucleo specifici. L’aumentata frequenza appare peraltro anche un dato reale in assoluto ed è stato osservato che, con il calo delle malattie infettive, sono andate emergendo malattie di altra origine, ivi comprese quelle a patogenesi autoimmune come appunto le connettiviti.
Il lupus eritematoso sistemico (LES) è la connettivite più frequente (12-36 casi per 100.000 abitanti a seconda del gruppo etnico considerato), seguito dalla sclerosi sistemica (10-15 casi), dalla polimiosite-dermatomiosite (5-10 casi) e dalla connettivite mista (3-5 casi per 100.000 abitanti). Non vi sono dati affidabili sulla frequenza della sindrome di Sjögren primitiva, anche se essa sembra piuttosto elevata e stimata attorno ai 10-15 casi per 100.000 abitanti. Nonostante il loro aumento di frequenza, queste patologie rimangono comunque delle “malattie rare”.


Qual è la causa?

La causa delle connettiviti non è ancora completamente nota, benché si ritenga che vi contribuiscano diversi fattori concomitanti, alcuni predisponenti e altri scatenanti. Tra i fattori predisponenti hanno grande importanza quelli genetici, oggi sempre meglio delineati, e quelli ormonali, mentre tra i fattori scatenanti sono stati chiamati in causa soprattutto i virus.

Grande interesse ha suscitato in questi ultimi anni l’aspetto genetico di queste malattie, essendo emerso che le connettiviti colpiscono con frequenza più elevata determinati gruppi etnici e spesso si manifestano in più membri di una stessa famiglia.

Per molte di esse, inoltre, è stata descritta l’associazione con specifici geni coinvolti nella regolazione della risposta immunitaria.

Le connettiviti hanno alcune caratteristiche comuni e tra queste la netta prevalenza nel sesso femminile, in particolar modo nell’età fertile. Gli ormoni sessuali, infatti, sono in grado di influenzare il sistema immunitario in quanto gli estrogeni esercitano un’azione immunostimolante e gli androgeni una immunosoppressiva. Queste osservazioni trovano conferma nell’aumentato numero di riacutizzazioni di alcune connettiviti durante la gravidanza, un periodo in cui vengono prodotte grandi quantità di estrogeni.


Come insorgono le lesioni nelle connettiviti?

Più nota della causa è la patogenesi, vale a dire la serie di meccanismi attraverso i quali le ipotetiche cause provocano le lesioni. Tutte le connettiviti, come molte altre malattie reumatiche e non reumatiche, sono oggi attribuite a disordini immunologici, in particolare allo sviluppo di reazioni autoimmunitarie. Nella maggior parte delle connettiviti le lesioni sono di natura infiammatoria, mentre nella sclerosi sistemica sembrano giocare un ruolo fondamentale l’alterazione dell’endotelio vascolare e l’attivazione dei fibroblasti, sempre peraltro di origine autoimmune. Le lesioni vascolari determinano danni ischemici a causa della formazione di microtrombi e fenomeni di “spasmo vascolare”, seguiti dall’aumento di spessore (ipertrofia) della parete del vaso e dall’occlusione del suo lume.

L’attivazione dei fibroblasti determina fibrosi. In tutti i casi, i danni ai tessuti hanno un andamento cronico e colpiscono, oltre all’apparato muscoloscheletrico e cutaneo, anche gli organi interni: cuore, reni, polmoni, sistema gastroenterico e sistema nervoso centrale.

Questo diffuso coinvolgimento dell’organismo giustifica l’ampio spettro di manifestazioni cliniche che si osservano nei pazienti affetti da queste malattie, che sono in qualche caso peculiari di una singola connettivite (per esempio l’eritema a farfalla per il lupus eritematoso sistemico, la sclerodermia per la sclerosi sistemica ecc.), mentre in altri casi sono relativamente aspecifiche e quindi possono essere osservate in più malattie del gruppo (fenomeno di Raynaud, fibrosi polmonare ecc.) e in altri ancora sono del tutto aspecifiche, cioè presenti anche in malattie non di natura immunitaria (febbre, dolori articolari, stanchezza ecc.).


Classificazione delle connettiviti

Quando un medico esamina un paziente nel sospetto di una connettivite, il suo compito è relativamente semplice se si trova di fronte a manifestazioni “specifiche” di una connettivite; in caso contrario può essere davvero difficile dirimere una forma dall’altra.

È per questo motivo che per ognuna di queste malattie sono stati elaborati degli strumenti, chiamati criteri classificativi, aventi lo scopo di uniformare le osservazioni dei vari studiosi nel mondo (si rammenti che si tratta pur sempre di malattie rare).

Talvolta accade che alcuni pazienti, pur presentando delle manifestazioni suggestive di una connettivite, non possono essere inquadrati in maniera precisa in una di queste malattie per almeno due motivi: 1) non soddisfano il numero minimo di criteri necessari per poter affermare con certezza che il paziente sia affetto proprio da una certa forma di connettivite; 2) i disturbi presentati sono inquadrabili in più di una connettivite. Nel primo caso i medici parlano di connettivite indifferenziata, nel secondo di connettivite da sovrapposizione.


Lupus eritematoso sistemico (LES)

Il lupus eritematoso sistemico è una delle connettiviti più frequenti e può essere considerato, per la molteplicità e varietà delle manifestazioni, il paradigma di questo gruppo di malattie. Colpisce con netta prevalenza le donne con età di insorgenza più frequente tra i 20 e i 30 anni. Si presenta con un arrossamento (eritema) localizzato in particolare al volto, dolori articolari, interessamento del rene con comparsa di proteine nelle urine, pleurite, pericardite, endocardite e vari disturbi del sistema nervoso. Può determinare febbre, debolezza, calo di peso, anemia e riduzione dei globuli bianchi (leucopenia). Tutti questi quadri possono essere concomitanti oppure comparire in varia associazione tra loro, in tempi diversi e con diversa gravità: dai casi lievi con prevalente impegno della cute e delle articolazioni ad altri più gravi con coinvolgimento renale e del sistema nervoso centrale.

La diagnosi si basa sul quadro clinico e su peculiari reperti di laboratorio: leucopenia, presenza di anticorpi antinucleo specifici (anti-DNA nativo, anti-Sm, anti proteina P ribosomiale).

Una volta fatta la diagnosi, non bisogna pensare che tutto il trattamento sia orientato al solo impiego di farmaci: è opportuno infatti ricordare che gli studiosi raccomandano alcune misure di carattere generale quali evitare l’eccessiva esposizione ai raggi ultravioletti, che possono riaccendere la malattia; evitare farmaci (quelli contenenti gruppi sulfidrilici, le tetracicline), e il fumo di sigaretta che è in grado di provocare alcune alterazioni immunologiche potenzialmente responsabili dell’induzione o del peggioramento del LES.

Trovano impiego nel trattamento del lupus eritematoso sistemico gli antinfiammatori non steroidei (FANS), il cortisone, l’idrossiclorochina e la clorochina, gli immunosoppressori (ciclofosfamide, azatioprina, ciclosprina A e micofenolato mofetile). Nei casi resistenti si sono ottenuti buoni risultati con le immunoglobuline endovena o la plasmaferesi.

L’evoluzione nel tempo e le prospettive per il futuro un tempo erano fonte di grande preoccupazione, mentre al giorno d’oggi sono decisamente più tranquillizzanti se la terapia viene assunta razionalmente e si effettua uno stretto controllo mirato alla prevenzione delle complicanze a lungo termine della malattia, in particolare infezioni e aterosclerosi.


Sclerosi sistemica o sclerodermia

La sclerosi sistemica, o sclerodermia, si manifesta con indurimento più o meno esteso della cute cui si accompagnano alterazioni dei vasi sanguigni di minimo calibro (microcircolo) e, con frequenza e intensità variabili, dell’esofago, del polmone, del cuore e del rene; quasi sempre e fin dall’esordio si manifesta il fenomeno di Raynaud. Sotto la cute si possono riscontrare piccoli depositi di calcio e sul volto si vedono le teleangiectasie, cioè minuscoli “reticoli” vasali di colore rosso vivo che occupano piccole aree più o meno numerose. Le dita delle mani col passare del tempo possono rimanere stabilmente flesse e talora si può avere l’amputazione spontanea delle falangi. Anche la sclerodermia prevale nettamente nel sesso femminile. L’evoluzione nei casi con prevalente interessamento della cute delle parti estreme del corpo (viso, mani e piedi) è molto lenta (qualche decennio), mentre in caso di lesioni cutanee più diffuse e di impegno di vari organi interni è più rapida e più seria.

La terapia della sclerosi sistemica prevede l’impiego di farmaci che interferiscono a vari livelli nella patogenesi della malattia, che è caratterizzata da alterazioni vascolari, immunitarie e fibrotiche. Pertanto si utilizzano i farmaci vasodilatatori (calcio-antagonisti, ACE-inibitori, sartanici e prostanoidi, soprattutto iloprost), gli immunosoppressori (ciclofosfamide, ciclosporina, methotrexate e micofenolato mofetile) e i farmaci antifibrotici (D-penicillamina, colchicina, griseofulvina e relaxina umana ricombinante).

In pazienti con malattia molto aggressiva e complicanze gravi degli organi interni è stato a volte necessario ricorrere alla plasmaferesi e al trapianto autologo di cellule staminali.


Polimiosite

La polimiosite è caratterizzata da lesioni infiammatorie e necrotiche della muscolatura scheletrica, che comportano accentuata debolezza muscolare, ma possono essere interessati vari organi come polmone e cuore. Nella dermatomiosite sono invece coinvolti muscoli e cute, con arrossamento al volto e sulle superfici estensorie delle articolazioni. Recentemente è stata individuata una nuova entità nosologica, la miosite da corpi inclusi, caratterizzata da “debolezza” di alcuni muscoli degli arti e scarsa risposta alla terapia. Una volta accertata la spiccata debolezza muscolare, il medico orienta la sua diagnosi verso una forma di polimiosite-dermatomiosite in base all’aumento nel sangue degli enzimi muscolari, ai risultati della elettromiografia e della biopsia muscolare, che dimostra infiammazione e fenomeni di “morte cellulare” (necrosi) del muscolo prelevato. I corticosteroidi sono i farmaci impiegati in prima scelta in quasi tutte le forme di polimiosite-dermatomiosite ma, in mancanza di miglioramento con questi farmaci, i medici possono decidere di aggiungere gli immunosoppressori. La somministrazione prolungata di cortisone in alte dosi può peraltro esporre a un’ulteriore sofferenza muscolare che i medici sono comunque in grado di sospettare e diagnosticare (peggioramento della forza muscolare senza contemporaneo aumento degli enzimi).

Tra gli immunosoppressori, i più utilizzati sono il methotrexate, l’azatioprina, la ciclofosfamide e il micofenolato mofetile. Nei casi resistenti alle terapie tradizionali sono state impiegate con successo le immunoglobuline endovena ad alte dosi e, più recentemente, i farmaci “biologici” (inibitori del TNF-a, anti-CD20).


Sindrome di Sjögren

La sindrome di Sjögren si manifesta con ridotta o abolita produzione di lacrime e di saliva a causa di lesioni infiammatorie delle ghiandole lacrimali (ne consegue occhio secco, o xeroftalmia) e delle ghiandole salivari (con conseguente bocca secca, o xerostomia). Si tratta di una malattia abbastanza frequente, a netta prevalenza nel sesso femminile e con esordio nell’età adulta. Si distinguono una forma primitiva, caratterizzata dal solo interessamento delle ghiandole, e una forma associata ad altre connettiviti.

Oltre alla secchezza oculare e del cavo orale si possono avere lesioni a carico della cute e di vari organi interni, tra cui il polmone.

Il medico basa la diagnosi, nel paziente con sintomi che orientano verso questa malattia, con esami del sangue in cui ricerca la positività degli anticorpi anti-nucleo con specificità per l’anticorpo anti-SSA o anti-SSB.

Dato il carattere di relativa benignità della sindrome di Sjögren, l’atteggiamento terapeutico sarà tendenzialmente orientato ad alleviare i disturbi: trattamento locale della cheratocongiuntivite secca (instillazione frequente nel sacco congiuntivale di lacrime artificiali) e della xerostomia (frequente assunzione di liquidi, uso di chewing-gum o di spray o gel idratanti del cavo orale, ma anche una frequente e accurata igiene orale, soprattutto per la prevenzione della candidosi, e la costante sorveglianza dell’odontostomatologo per la facile insorgenza di carie dentarie). Di una certa utilità si è rivelato l’uso di farmaci capaci di stimolare la secrezione salivare (bromexina e più di recente pilocarpina), anche se la loro efficacia è condizionata dal grado di atrofia ghiandolare.

La terapia delle eventuali manifestazioni extraghiandolari concomitanti prevede l’uso di antinfiammatori non steroidei, cortisonici e idrossiclorochina. Gli immunosoppressori, in particolare ciclosporina A, ciclofosfamide e methotrexate, sono indicati nel trattamento delle manifestazioni extraghiandolari più severe della malattia.


Connettiviti indifferenziate

Le connettiviti indifferenziate sono entità cliniche sfumate, caratterizzate dai disordini tipici delle connettiviti sistemiche che si manifestano però in numero o in combinazione tale da non consentire la loro classificazione in una forma definita quale, per esempio, il lupus eritematoso sistemico, la sclerosi sistemica, la polimiosite-dermatomiosite, la sindrome di Sjögren o l’artrite reumatoide. Manifestazioni cliniche più frequenti di tale gruppo di affezioni sono dolori articolari, fenomeno di Raynaud, riduzione dei globuli bianchi (leucopenia), anemia, xerostomia e xeroftalmia.

Il profilo clinico delle connettiviti indifferenziate è quindi caratterizzato dall’assenza di rilevanti compromissione di organi interni, in particolare renale e neurologico.

Il 90% circa dei pazienti affetti da connettivite indifferenziata presenta, all’esame del sangue, gli anticorpi antinucleo; tra gli anticorpi anti-nucleo specifici sono osservati con maggiore frequenza gli anticorpi anti-SSA e gli anti-U1RNP.

Analizzando i risultati degli studi scientifici effettuati sui pazienti affetti da questa patologia, è possibile osservare che, a distanza di dieci anni dalla diagnosi di connettivite indifferenziata, la situazione tende a rimanere stabile nella metà dei casi, a evolvere verso una connettivite definita in un quarto circa dei casi e a scomparire (remissione) in un quarto circa dei casi. Nei pazienti in cui viene osservata un’evoluzione, sembra prevalere il passaggio verso un lupus eritematoso sistemico, ma è anche possibile l’evoluzione verso la sindrome di Sjögren, la sclerosi sistemica e l’artrite reumatoide. Per quanto riguarda il trattamento di queste forme, esso dipende in larga parte dalle manifestazioni in atto al momento dell’osservazione. Per il fenomeno di Raynaud e la sclerodattilia sono indicati provvedimenti di natura comportamentale (per esempio evitare l’esposizione al freddo e al fumo di sigaretta) associati alla somministrazione di farmaci vasodilatatori tra i quali sono considerati di prima scelta i calcioantagonisti e gli α-adrenergici. Tra gli altri farmaci i più impiegati sono gli analgesici, gli antinfiammatori non steroidei, il cortisone e gli antimalarici di sintesi. Gli immunosoppressori sono impiegati solo nei rari casi in cui sia presente impegno viscerale, per esempio in caso di polmonite interstiziale cronica.


Sindromi overlap (connettiviti da sovrapposizione)

Questo gruppo di malattie, classificato tra le connettiviti sistemiche, è caratterizzato dalla sovrapposizione nello stesso paziente dei quadri clinici di varie forme morbose, tra cui lupus eritematoso sistemico, sclerosi sistemica, polimiosite-dermatomiosite, sindrome di Sjögren e artrite reumatoide. Questi quadri, detti embricati, sebbene rari, rappresentano per gli studiosi un capitolo estremamente interessante, dal momento che costituiscono da una parte un anello di congiunzione tra le diverse connettiviti sistemiche che ne giustifica la trattazione in un unico capitolo, dall’altra la conferma all’ipotesi di comuni meccanismi patogenetici.


Connettivite mista o sindrome di Sharp

Consiste nella presenza contemporanea di manifestazioni proprie del lupus eritematoso sistemico, della sclerosi sistemica e della polimiosite ed è caratterizzata da un particolare elemento che si ritrova nel sangue (marker sierologico): l’anticorpo anti-U1RNP. Il quadro clinico della connettivite mista è caratterizzato da alcuni sintomi non tipici della malattia, comuni cioè anche ad altre connettiviti, come il fenomeno di Raynaud, il gonfiore (edema) alle dita delle mani e la poliartrite, frequentemente presenti all’esordio di malattia, cui si associano manifestazioni cliniche caratteristiche di altre connettiviti. L’evoluzione della connettivite mista è di due tipi. Nella maggior parte dei casi la malattia va in remissione o viene controllata da basse dosi di cortisone associate o meno ad antimalarici di sintesi o methotrexate. Nel 10-20% dei casi si assiste invece a un’evoluzione verso una franca connettivite (più spesso la sclerosi sistemica). In questi pazienti la mortalità è più elevata, specie a causa dell’ipertensione polmonare.


Sindrome da anticorpi anti-tRNA sintetasi

Entità clinica di recente definizione, è caratterizzata dal punto di vista laboratoristico dalla presenza nel sangue degli anticorpi anti-tRNA-sintetasi e dal punto di vista clinico da alcune manifestazioni della polimiosite-dermatomiosite, della sclerosi sistemica o dell’artrite reumatoide. Tra queste rientrano la miosite, la pneumopatia interstiziale, l’artrite, il fenomeno di Raynaud, la sclerodattilia e altre alterazioni cutanee. L’esordio della malattia si manifesta più spesso con artralgie/artrite o con fenomeno di Raynaud, mentre la miosite e la pneumopatia interstiziale si sviluppano generalmente dopo un periodo variabile di 1-3 anni. La terapia si basa sull’uso del cortisone che è sufficiente a controllare l’artrite, gli improvvisi arrossamenti (rash) cutanei e in alcuni casi la sofferenza dei muscoli (miosite). Le manifestazioni polmonari e muscolari che non vengono controllate dal cortisone, necessitano di un trattamento aggiuntivo con immunosoppressori quali ciclofosfamide, methotrexate, azatioprina o ciclosporina A.


Sindrome da anticorpi antifosfolipidi

Caratterizzata dalla comparsa di trombosi nei vasi sanguigni o da aborti spontanei, è associata alla presenza nel sangue degli anticorpi antifosfolipidi. Le trombosi possono avvenire sia a livello venoso sia arterioso, e a seconda del distretto e del vaso colpito possono determinare quadri clinici variabili e di diversa gravità. Gli aborti spontanei sono generalmente tardivi e tendono a ripetersi. La sindrome da anticorpi antifosfolipidi viene definita secondaria se si associa a un’altra connettivite (generalmente il lupus eritematoso sistemico), primitiva se invece non si associa ad alcuna di queste malattie.

Gli anticorpi antifosfolipidi sono un gruppo eterogeneo di autoanticorpi (anticorpi anti-cardiolipina e anticorpi anti-β2glicoproteina I).

In alcuni pazienti si può dimostrare la presenza del lupus anticoagulant (vedi voce corrispondente) con un esame molto sensibile che risulta positivo in presenza di alcuni autoanticorpi diretti contro fattori coinvolti nel processo della coagulazione, per esempio la β2glicoproteina I, la protrombina e l’annessina V.

Va sottolineato tuttavia che le metodiche per la determinazione e lo studio di anticorpi antifosfolipidi e lupus anticoagulant non sono ancora standardizzate, per cui esiste ancora, sia pur in maniera molto ridotta rispetto al passato, una certa variabilità nei risultati di questi test di laboratorio.

Nella gestione dei pazienti con sindrome da anticorpi antifosfolipidi è buona regola innanzitutto procedere all’eliminazione o al controllo dei fattori di rischio per le trombosi: alterazioni emocoagulative congenite o acquisite della coagulazione, immobilizzazione protratta, allettamento nel periodo postoperatorio, insufficienza cardiaca congestizia, contraccettivi orali, gravidanza, puerperio, sindrome nefrosica, iperomocisteinemia, ipertensione arteriosa, aumento dei grassi del sangue, fumo, diabete, fibrillazione atriale, stati di infiammazione cronica ecc.

La terapia in corso di evento trombotico o tromboembolico è praticamente identica a quella che si applica nelle trombosi da altre cause, ovvero la somministrazione di eparina.

Nella profilassi dopo evento trombotico è consigliato l’uso a lungo termine (o anche indefinitamente) degli anticoagulanti orali, mentre nella profilassi delle complicanze ostetriche si impiega come trattamento di scelta eparina a basso peso molecolare, da assumere da sola oppure in associazione a basse dosi di acido acetilsalicilico. [A.D.]