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Mal di schiena: per curarlo serve (anche) la psicoterapia

L’approccio più avanzato promuove l’abbinamento di una riabilitazione “attiva”, che sciolga la corazza di muscoli irrigiditi, alla terapia cognitivo-comportamentale, per combattere lo stress e la paura che il movimento possa scatenare il dolore

credits: iStock



Il mal di schiena guida la classifica del Global Burden Disease Study, rapporto annuale che fornisce la graduatoria del “peso” dei diversi problemi di salute che affliggono la popolazione mondiale. Ben pochi, per altro, i fortunati che ne sono immuni, anche se in oltre il 90% dei casi il mal di schiena è aspecifico: non ha una vera e propria causa e non nasconde malattie.

«È favorito da sedentarietà, sovrappeso e cattive posture, elementi tipici del vivere odierno», sottolinea la dottoressa Giulia Rebagliati, specialista in medicina fisica e riabilitativa dell’Istituto scientifico italiano colonna vertebrale (Isico).

«Le ultime evidenze dimostrano che il mal di schiena va a braccetto anche con la psiche e che la mente ha il suo peso sia nell’innescare un attacco acuto, sia nell’autoalimentare il mal di schiena cronico, tanto che oggi la lombalgia (la forma più frequente) è ormai considerata una patologia bio-psico-sociale», aggiunge il professor Marco Monticone, fisiatra, docente di Medicina fisica e riabilitativa dell’Università di Cagliari e membro di Spine Society of Europe.

«Alla base di un mal di schiena aspecifico c’è sempre una componente biologica come una debolezza dei muscoli paravertebrali e/o addominali, una rigidità della colonna, o una degenerazione dei dischi o delle vertebre. A far da detonatore al dolore, però, spesso sono proprio stress, ansia, preoccupazioni, come se i cattivi pensieri trovassero la loro via di sfogo sulla colonna vertebrale», spiega il professor Monticone.

«Di fatto, chi è preoccupato o in ansia tende a incurvarsi e a ingobbirsi, assumendo malposizioni che mettono sotto carico la schiena. Nel suo organismo aumenta anche il cortisolo, ormone che ha tra i suoi effetti quello di mandare in tensione i muscoli, compresi quelli che sostengono la colonna che, contratti, non ricevono più un adeguato apporto di ossigeno. Accumulano perciò tossine e il dolore ha via libera».


Così si scivola nella cronicità

La mente entra in gioco anche nell’aumentare i rischi che una lombalgia o una cervicalgia acuta possa trasformarsi in cronica: «Succede se dopo un primo attacco molto intenso, nella paura che si ripeta, si risparmia la schiena da ogni sollecitazione e ci si mette a riposo», spiega il professor Monticone.

«Oppure, se ci si fa condizionare a tal punto dal dolore da limitare progressivamente ogni attività sociale: si rinuncia a fare sport, anche leggero, a uscire o addirittura a prendere in braccio il proprio bambino, sentendosi “inabili”, e quindi in una situazione che abbatte ulteriormente la psiche e l’umore. Il rischio: imboccare il tunnel della kinesiofobia, una paura inconscia a muoversi che autoalimenta il mal di schiena. Più fermi si sta, minori sono le possibilità di recupero».


La cura è “multimodale”

La soluzione per uscire da questo circolo vizioso? «Rivolgersi a un ortopedico, a un fisiatra o a un neurochirurgo che, anche con l’aiuto di esami mirati, può inquadrare il problema e poi suggerire gli interventi più adatti che, per le forme croniche, oggi sono multimodali», spiega la dottoressa Rebagliati.

«Nei centri più avanzati per la cura dei disturbi della colonna e nelle unità di medicina fisica e riabilitativa, attive nei maggiori ospedali pubblici, il nuovo orientamento è quello di intervenire sul fronte fisico, su quello mentale (soprattutto quando la psiche rema inconsciamente contro la guarigione) e sulla riduzione del dolore», conferma il professor Monticone. Obiettivo: promuovere un ricondizionamento della colonna vertebrale, ma anche del cervello.

«Per raggiugere il primo scopo la fisioterapia è la strada che a oggi ha dimostrato la maggior efficacia: deve però essere personalizzata e soprattutto funzionale e attiva», spiega la dottoressa Rebagliati. «Ok, perciò, a esercizi e tecniche precise che, apprese da un fisioterapista, migliorano coordinazione, forza e resistenza dei muscoli che controllano e sostengono la colonna: rimettono in moto la schiena in modo lento, progressivo e graduale, agendo anche da analgesico. Nello stesso tempo permettono di riappropriarsi di movimenti e posture anti-lombalgia. Dopo ogni seduta, della durata di circa un’ora e il cui numero varia a seconda del singolo problema, gli esercizi vanno messi in atto quotidianamente per almeno 20 minuti, nella vita di tutti i giorni: quando si sta in piedi, ci si siede, si sale una scala o si solleva un peso, sinché non diventano automatici, trasformandosi in un antidoto anche contro le ricadute».


Per ricondizionare la psiche

Per intervenire sulla mente, invece, l’ideale è la terapia cognitivo comportamentale oppure la mindfulness, entrambe promosse a pieni voti da una recentissima revisione sulle terapie non farmacologiche per il mal di schiena, pubblicata su Annals of Internal Medicine.

«La psicoterapia con approccio cognitivo comportamentale insegna a gestire meglio il dolore e lo stress, a eliminare i pregiudizi ( “questo mal di schiena non mi mollerà mai”, “nasconde una brutta malattia”) e a gestire meglio lavoro e tempo libero per avere una vita sociale gratificante», spiega la dottoressa Rebagliati.

Risultato: stando a una ricerca della Cleveland Clinic (Ohio) il mix terapia fisica e cognitivo-comportamentale porta a una riduzione del dolore e della disabilità nel giro di tre mesi. Buoni risultati anche con la mindfulness che insegna a usare la mente per modulare l’esperienza dolorosa, riducendone l’intensità», aggiunge il professor Monticone.

In genere bastano 8 settimane di pratica meditativa per riuscirci e, stando a una ricerca condotta dall’Università dello Utah, la meditazione associata alla fisioterapia arriva a ridurre sino al 70% il dolore cronico.


Il ruolo circoscritto dei farmaci

Anche i farmaci fanno parte della task force per mettere alle corde il mal di schiena. «Gli antinfiammatori, da soli o in associazione ai miorilassanti (che aiutano i muscoli a rilassarsi), hanno un ruolo nel mettere alla corde il dolore acuto: vanno però usati per periodi limitati e sempre sotto controllo medico», spiega la dottoressa Rebagliati.

«Non è confermata, invece, l’azione dei miorilassanti per il dolore cronico: uno studio pubblicato su European Journal of Pain, conclude che al momento la capacità di questa classe di farmaci di controllarlo resta dubbia. Anche il paracetamolo, sino a oggi considerato una delle principali molecole contro il dolore cronico perde il suo primato: una recente revisione sistematica suggerisce che è inefficace nel ridurre dolore e disabilità. Cortisone e oppiodi, vanno invece riservati a casi selezionati e usati per periodi limitati: il primo per i suoi molteplici effetti collaterali, i secondi per il noto rischio di dipendenza».

«Promosse, invece, le terapie fisiche passive (tecarterapia, massoterapia, chiropratica, agopuntura & co): riducono il dolore e aiutano ad assumere meno farmaci o addirittura a farne a meno», aggiunge il professor Monticone. «Non tutti i pazienti rispondono però in ugual maniera a queste tecniche e, soprattutto, nessuna terapia fisica passiva ha dimostrato di avere effetti duraturi o di essere curativa. Insomma un valido aiuto in più, ma non l’unico a cui affidarsi», conclude l’esperto.



L'attività aerobica evita nuovi attacchi

«Qualsiasi sia la terapia adottata, o il mix di cure messe in campo, una volta che la schiena ha ripreso un minimo di funzionalità è fondamentale fare regolarmente attività fisica aerobica come camminare, nuotare, far corsa leggera, andare in bicicletta, o praticare nordic walking», mette in guardia la dottoressa Giulia Rebagliati. «Importante, però, attenersi ai suggerimenti del medico e del fisioterapista, per essere aiutati nella ripresa dell’attività».

I risultati non mancheranno: una revisione di vari studi condotti su oltre 30mila persone pubblicata su Jama Internal Medicine, afferma che è un antidoto contro le ricadute. Dopo un mal di schiena acuto il rischio di averne un altro nel giro di un anno oscilla fra il 24 e l’80%, ma se ci si allena con regolarità la probabilità si dimezza.

Non solo: stando a una revisione di diversi studi, pubblicata sull’American Journal of Epidemiology, il mix tra gli esercizi di riabilitazione e l’attività aerobica hanno la potenzialità di proteggere la schiena dal dolore, riducendo, nel caso insorga la lombalgia o la cervicalgia, l’intensità dell’attacco e il grado di disabilità.



Vino e tabacco mandano in cenere la colonna

Sedentarietà, stress e sovrappeso sono i nemici giurati della salute della schiena, ma attenzione anche agli alcolici e al fumo: facilitano la degenerazione dei dischi intervertebrali, aprendo la strada alla lombalgia cronica, e vanno perciò banditi.

Il suggerimento vale anche per i teenager: un recente studio australiano pubblicato sul Journal of Public Health dimostra che quelli che fumano e bevono drink soffrono di dolori alla schiena più di una volta alla settimana e sono soggetti ad andare incontro a un dolore cronico, anche se giovanissimi.



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Articolo pubblicato sul n. 6 di Starbenein edicola dal 21 gennaio 2020


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