Per dimagrire è utile calcolare le calorie? Rispondono 5 esperti

Per dimagrire non è importante il calcolo aritmetico di ciò che consumi ma la qualità nutrizionale di quello che mangi. Ecco il parere di cinque esperti



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Le calorie, che indicano l’apporto medio di energia fornita da una quantità specifica di un alimento, possono diventare un vero incubo per chi vuole perdere peso. Bilance, grammature, dosi e porzioni diventano dei segnavia in un labirinto di informazioni in cui spesso non riusciamo a orientarci. Ma ci serve davvero tutta questa fatica per far scendere l’ago della bilancia? Calcolare le calorie è utile, inutile o dannoso?

Ecco le opinioni dei nostri esperti.


  • Meglio regolarsi con le porzioni

Diana Scatozza, Medico chirurgo specialista in scienza dell’alimentazione e in farmacologia a Milano

Se ho davanti a me un paziente che ha un’idea verosimile delle proporzioni cibo/energia, evito di fare riferimento al mero computo calorico. Mi affido alle porzioni. Però quando una persona mi dice che mangia un piatto di spaghetti, devo capire se intende 80, 100 o 150 grammi di pasta. A volte si mente, perché ci si vergogna, altre volte invece non si ha proprio idea delle quantità di cibo da consumare. Allora mi viene in aiuto l’Atlante ragionato dell’alimentazione dell’Istituto Scotti Bassani: qui i pazienti possono orientarsi sulle porzioni perché fornisce indicazioni visive. Si trovano le foto con i piatti, proposti in tre quantitativi diversi, divisi per portate: antipasti, primi, secondi e dolci. In questo modo è facile capire quali sono le quantità giuste.

Inoltre, nei miei piani alimentari preferisco “blindare” i condimenti e i carboidrati e lasciare “liberi” carne, pesce e verdure (con l’eccezione delle più zuccherine, come le barbabietole rosse). Molto dipende anche dall’età: con le adolescenti non parlo mai di calorie perché può diventare l’anticamera di un disturbo alimentare: se vogliono mangiare un gelato per esempio devono poterlo fare. Magari solo due palline in coppetta ma senza divieti. L’approccio strettamente calorico lo utilizzo solo per chi ha problemi di salute e ha bisogno di una restrizione perché, per esempio, deve affrontare un intervento ortopedico; oppure per i diabetici (non gli insulinodipendenti) che devono perdere peso rapidamente. Per tutti invece può essere efficace guardare le calorie sui prodotti confezionati, oltre all’elenco degli ingredienti.


  • Le calorie non sono tutte uguali


Massimo Spattini, medico specializzato in scienza dell’alimentazione e medicina dello sport


Se si vuole perdere grasso corporeo, dobbiamo creare un deficit energetico e il conteggio delle calorie è utile, perché se se ne assumono troppe non è possibile dimagrire. Per creare un deficit calorico bisogna agire su due fronti: il primo è creare una leggera sottonutrizione (senza malnutrizione) e l’altro è incrementare l’attività fisica anche con l’allenamento coi pesi che, sviluppando la massa muscolare, aumenta il metabolismo di base. Però è anche vero che dipende da come assumiamo queste calorie: non è la stessa cosa se le prendiamo sotto forma di zuccheri oppure sotto forma di proteine, i primi esercitano un effetto ormonale che facilita l’aumento del grasso, le seconde invece il contrario.

Questo per dire che, in fondo, una caloria non è semplicemente una caloria, ossia i messaggi molecolari inviati alle nostre cellule derivanti da un pasto con riso venere e salmone selvaggio con broccoli, non sono i medesimi di un panino con salume, formaggio e cocacola, a parità di calorie. Con il cibo non introduciamo semplicemente energia e macro e micro nutrienti, bensì vere e proprie informazioni (come un software). Queste informazioni sono in grado di accendere o spegnere determinati geni. Possiamo così avere alimenti (o combinazioni di essi) che saranno pro o anti infiammatori, pro o anti diabetici, pro o anti depressivi, pro o anti cancro. Come ci insegna l’epigenetica (e la recentissima branca della biologia quantistica) che è la scienza che studia come l’ambiente interno ed esterno può modificare l’espressione dei nostri geni, noi nasciamo come siamo, coi geni ereditati dai nostri genitori, ma “diventiamo come mangiamo, come beviamo, come ci muoviamo, come respiriamo e come pensiamo”.


  • Bisogna affidarsi a un professionista


Carla Lertola, medico dietologo specialista in scienza dell’alimentazione a Milano, Torino e Savona

Calcolare le calorie è dannoso. Innanzitutto occorre fare una premessa: con tutte queste diete fai-da-te che si trovano in giro è importante affidarsi a un professionista; che sia un medico dietologo come me o un nutrizionista o un dietista, è necessario farsi seguire da un esperto per conoscere il proprio fabbisogno calorico, perché un errore all’interno di un piano alimentare diventa un’abitudine sbagliata. In generale io sono contraria a contare le calorie, perché è il classico modo per perdere peso velocemente, che poi si riprende in modo altrettanto repentino. Fare una dieta è come investire dei soldi. Il successo dell’operazione non dipende solo da quanto capitale investi, ma da come lo fai fruttare. Devi differenziare e variare. Le persone spesso esagerano con la quota proteica abbattendo i carboidrati, ma è un errore grossolano: la corretta quota proteica giornaliera è il 12-15% del totale.

Più che contare le calorie, bisogna imparare a gestirle, ovvero occorre stare attenti alle proporzioni perché una dieta è salutare e l’altra non lo è. Per esempio, se un paziente impara che le calorie del pesce sono inferiori a quelle della pasta ed elimina i carboidrati, non sta facendo un favore alla sua salute. Allo stesso modo se si pensa che mangiare solo frutta (quella di questa stagione non è tanto calorica, apporta circa dalle 30 alle 40 calorie all’etto) eliminando i carboidrati complessi (come pane e pasta) faccia dimagrire, si commette un grave errore. Si sa che il fruttosio mangiato in quantità eccessive dà una deposizione maggiore di grasso sulla pancia, fa aumentare i trigliceridi e fa produrre aria, gonfia la pancia.

Occorre andare oltre la quota calorica: se stai seguendo una dieta da 1.400 calorie e fai un piccolo sgarro, arrivando a 1.600 ma compensi poi con l’attività fisica, va bene lo stesso, cali ugualmente. Se conto invece ossessivamente le calorie, rischio di seguire un piano alimentare mangiando solo quello che mi piace ma che non è nutrizionalmente valido. Un altro esempio malsano? Due bicchieri di vino sono 160 calorie: se rinuncio a 4 etti di frutta da 40 calorie l’una posso bere il vino e non sforo. Ma è evidente che non fa bene. Per essere più chiara, faccio un’ultima equivalenza: una banana pesa mediamente un etto e apporta 76 calorie, quindi è meno calorica di una mela di 200 grammi che apporta 42 calorie all’etto. Chiaro no? Io credo sia necessario assumere in ogni pasto la corretta quantità di nutrienti, mangiare di tutto e nelle giuste proporzioni.


  • È più utile puntare sull’educazione alimentare

Cristina Amianti, biologa nutrizionista a Milano e a San Donato

In generale contare le calorie è uno strumento utile perché ci dà cognizione del percorso che dobbiamo intraprendere con il paziente. È vero però che è essenziale contestualizzare caso per caso. Direi che tenere sott’occhio le calorie serve più al nutrizionista che al paziente. Con le ragazze per esempio non do mai le informazioni sulle calorie da assumere perché potrebbe rinforzare il carattere ossessivo di un piano alimentare: è uno strumento utile per me ma lo tengo sotto traccia. Gli adolescenti e i giovani, più spesso le ragazze (possono iniziare anche a 12 anni fino ai 30) tendono a sviluppare più facilmente un ipercontrollo sulla loro alimentazione e da lì a sviluppare un disturbo alimentare il passo è breve. Con loro punto più su un’educazione alimentare, dove si abbandonano le calorie e si punta sugli aspetti qualitativi del cibo e sugli orari: cosa e quando mangiare.

Il computo calorico può essere efficace invece con le persone che hanno poca consapevolezza del loro comportamento alimentare e non riescono a raggiungere i loro obiettivi di peso. In questo caso io utilizzo il diario alimentare dove il paziente deve trascrivere i pasti e le attività che si compiono durante la giornata. È uno strumento di lavoro molto valido: ogni pasto può essere calcolato in termini di apporto calorico e ogni attività fisica in termini di dispendio energetico.


  • Rinunciare al controllo calorico ci rende più felici


Patrizia Vaccaro, psicologa e psicoterapeuta a Milano

Spesso chi è ossessionato dalle calorie soffre di dismorfismo: ha un’immagine distorta del proprio corpo e quindi in generale di se stesso. È molto comune in chi soffre di disturbi alimentari: le persone anoressiche per esempio si vedono sempre grasse e indossano costantemente degli occhiali contacalorie con cui misurano il mondo. Lo stesso vale per i vigoressici, che hanno un culto ossessivo per il loro corpo e si infliggono diete strettissime dopo estenuanti ore di attività fisica. Ma anche senza parlare di casi così estremi, chi esagera nel contare le calorie denota una personalità un po’ rigida e perfezionista e questa smisurata attenzione verso ciò che si mangia può diventare una gabbia emotiva da cui è difficile scappare.

Il lavoro del terapeuta, di comune accordo con il nutrizionista, deve essere allora focalizzato su una nuova educazione alimentare. Occorre insegnare a queste persone non solo a mangiare correttamente, quindi a conoscere il valore nutrizionale e la composizione degli alimenti, ma anche a riportare l’attenzione sul cibo e non sulle calorie che apporta. È importante tornare ad apprezzare il sapore, il gusto, l’odore, il colore e la forma degli alimenti. In questo modo si riesce a smorzare quell’atteggiamento controllante su quello che si ingerisce e a spostare l’attenzione verso la cura di sé e il proprio benessere. Il cibo ha una grande valenza simbolica: è ciò che ci tiene in vita e che ci regala energia e piacere, per cui affamarsi o irrigidirsi su numeri e tabelle è un modo per colmare un vuoto, un disagio, in maniera disfunzionale. Nutrirsi bene invece significa ascoltarsi, prendersi cura di sé e imparare a “riempire” quella mancanza in modo salutare.


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