Trapianto di rene

Con un intervento chirurgico di trapianto renale un rene vitale viene inserito in un organismo affetto da una grave insufficienza renale (definita uremia) e già in trattamento con dialisi oppure in fase pre-dialitica. Cenni storici La possibilità di sostituire organi malati trapiantandone altri sani ha da sempre acceso la speranza umana, alimentando miti e leggende […]



Con un intervento chirurgico di trapianto renale un rene vitale viene inserito in un organismo affetto da una grave insufficienza renale (definita uremia) e già in trattamento con dialisi oppure in fase pre-dialitica.


Cenni storici

La possibilità di sostituire organi malati trapiantandone altri sani ha da sempre acceso la speranza umana, alimentando miti e leggende fin dall’antichità. Secondo la tradizione l’origine dei trapianti viene attribuita ai Santi Cosma e Damiano (III secolo d.C.), i quali avrebbero miracolosamente sostituito l’arto inferiore di un loro sacrestano, colpito da gangrena, con quello di un uomo appena deceduto. In realtà è solo nel 1902, con la messa a punto da parte di Alexis Carrel della tecnica chirurgica per collegare tra loro i vasi sanguigni, che furono eseguiti i primi trapianti documentati su animali. Questi tentativi si scontrarono però subito con un grave ostacolo: il “rigetto” dell’organo donato da parte del ricevente. Peter Medawar dimostrò successivamente, negli anni della seconda guerra mondiale, che questo fenomeno era causato da un’incompatibilità genetica dei tessuti trapiantati con l’organismo del ricevente il quale, non riconoscendo come proprio l’organo trapiantato, scatena una reazione immunitaria che ha come risultato finale la “morte” dell’organo trapiantato. Per aggirare questo enorme problema, il primo trapianto sull’uomo, realizzato nel 1954 a Boston da Harrison e Murray, avvenne tra gemelli identici (omozigoti): essendo dotati dello stesso patrimonio genetico, l’organo trapiantato non veniva riconosciuto dal ricevente come “estraneo” e quindi non si produceva alcuna reazione di rigetto. In effetti, in quella circostanza il rene trapiantato mantenne la sua funzione per circa 10 anni senza necessità di alcuna terapia immunosoppressiva.

Questa esperienza aprì la strada a numerosi altri trapianti da vivente, soprattutto negli Stati Uniti. Agli inizi degli anni sessanta del Novecento si iniziò a eseguire anche trapianti di organo da donatore cadavere, utilizzando come farmaci antirigetto il cortisone e l’azatioprina. Nel 1963 fu eseguito il primo trapianto di fegato, nel 1966 quello di pancreas, nel 1967 quello di cuore.

Una vera rivoluzione fu rappresentata, agli inizi degli anni ottanta, dall’introduzione di un farmaco, la ciclosporina, che consentì di abbattere la probabilità del rigetto acuto, anche se al prezzo di una certa tossicità renale.

Nuovi farmaci hanno ulteriormente arricchito la terapia antirigetto negli anni novanta: il tacrolimus (appartenente alla medesima classe della ciclosporina, ma più potente), il micofenolato-mofetil (derivato dall’azatioprina), vari anticorpi policlonali e monoclonali. Negli ultimi anni è entrata nell’uso la rapamicina, farmaco con interessanti proprietà antiproliferative e antitumorali. In effetti, mentre grandi progressi sono stati conseguiti nella prevenzione e nella terapia del rigetto acuto, i problemi che limitano ancora la sopravvivenza del trapianto renale sono il rigetto cosiddetto cronico, (una complessa forma di “consumo” progressivo della funzione dell’organo) e l’aumentata mortalità dei pazienti riceventi come conseguenza di malattie cardiovascolari e tumori, soprattutto a distanza di anni dal trapianto. Quest’ultima rappresenta il “prezzo” biologico di un impiego a lungo termine di potenti farmaci immunosoppressori. Per questo la ricerca si sta indirizzando verso terapie più selettive nel ridurre le difese immunitarie.

Un’affascinante prospettiva è rappresentata dalla possibilità di indurre nel ricevente la tolleranza verso l’organo trapiantato, che consentirebbe di minimizzare o persino eliminare del tutto la terapia immunodepressiva; si sono aperti diversi possibili scenari legati all’impiego delle cellule staminali, con la possibilità di riuscire, in futuro, a ricostituire un tessuto renale sano con cellule geneticamente identiche a quelle del ricevente e quindi perfettamente compatibili.


I vari tipi di trapianto renale

  1. Trapianto da cadavere, con impiego di organi di soggetti in stato di morte cerebrale segnalati dai reparti di rianimazione; il trapianto può essere singolo (ossia di un solo rene) o doppio (di tutti e due i reni).
  2. Trapianto da vivente, nel qual caso il donatore è una persona dotata di una buona compatibilità con il ricevente; può trattarsi di un parente, il coniuge o convivente, o addirittura in alcuni casi, di una persona che abbia dimostrato un legame affettivo con il ricevente.
  3. Trapianti combinati: rene-pancreas (praticato nel paziente affetto da gravi forme di diabete di tipo 1); cuore-rene (nei pazienti con grave insufficienza cardiaca e renale); fegato-rene (nei pazienti affetti da cirrosi epatica e insufficienza renale).
  4. Trapianto pre-emptive, ossia trapianto da donatore vivente, avente le caratteristiche sopra elencate al punto 2, in un paziente che non abbia ancora iniziato la dialisi; in alcune Regioni è possibile eseguire il trapianto pre-emptive da donatore cadavere non apparentato.


Come e quando si esegueil trapianto

Per essere eseguito in sicurezza, il trapianto renale richiede un grado variabile di compatibilità tissutale, in particolare deve esservi compatibilità sia di gruppo sanguigno (A,B, 0 e Rh) sia compatibilità tissutale (sistema HLA).

L’uso di farmaci immunosoppressori sempre più potenti e la “personalizzazione” della terapia immunosoppressiva hanno consentito una minore rigidità nella selezione effettuata sulla base degli antigeni di istocompatibilità.

Per accedere al trapianto renale in Italia è necessario essere iscritti in una Lista Trapianto gestita da un determinato Centro Trapianti, che valuta l’idoneità clinica del paziente al trapianto renale ed esegue uno studio genetico in collaborazione con gli specialisti in immunologia dei trapianti (tipizzazione HLA); una volta ritenuto idoneo al trapianto renale, il paziente viene iscritto nella lista d’attesa per trapianto renale. Attualmente i tempi medi di attesa sono di 2-3 anni.

Da un punto di vista chirurgico, l’organo trapiantato viene posto in basso nell’addome (una o entrambe le fosse iliache nei casi di doppio trapianto), viene quindi eseguito il collegamento vascolare, in genere con l’arteria e la vena iliaca esterna, e infine viene collegato l’uretere del rene trapiantato alla vescica del ricevente. L’organo trapiantato generalmente inizia subito a funzionare producendo abbondante urina, anche se in alcuni casi la ripresa funzionale può essere tardiva e richiedere ancora qualche trattamento dialitico.


Complicanze

Dopo il trapianto possono insorgere complicanze immediate e a distanza di tempo. Nell’immediato periodo post-trapianto può verificarsi una trombosi dell’arteria o della vena renale, possono formarsi dei collegamenti anomali (fistole urinose) tali da determinare spandimenti di urina nell’addome o raccolte di urinone (urinoma); può anche avvenire la rottura del rene, fenomeno dalle cause non chiare (forse una forma di rigetto precoce), gravato da un’elevata mortalità; possono infine insorgere complicanze infettive precoci di origine batterica, virale o da funghi, in particolare infezioni da Cytomegalovirus, Pseudocystis carinii, Criptococcus, Toxoplasma, Listeria, Istoplasma, Legionella.

A distanza di tempo dal trapianto (complicanze tardive) possono insorgere un rigetto acuto (sempre meno frequente quanto più aumenta l’anzianità di trapianto) o un rigetto cronico, che consiste in un lento deterioramento della funzione renale e ipertensione arteriosa da cause immunologiche. La glomerulopatia da trapianto consiste in un lento deterioramento della funzione renale la cui origine è da riferire a un complesso di cause: immunologiche, da tossicità farmacologica, ma anche da ipertensione, diabete, dislipidemia, non adeguatamente corrette. Possono poi insorgere infezioni delle vie urinarie a volte sostenute da reflusso vescica-ureterale del rene trapiantato, glomerulonefrite sul rene trapiantato sia recidiva sia de novo, restringimento (stenosi) dell’arteria renale, conseguenza della retrazione cicatriziale del punto in cui il chirurgo ha effettuato il collegamento (anastomosi) dei vasi arteriosi del ricevente e del rene trapiantato. Possono poi verificarsi altre due complicanze: restringimento (stenosi) dell’uretra, caratterizzata da un deterioramento funzionale lento e da dilatazione delle vie escretrici urinarie (complicanza urologica più frequente) e un linfocele, ovvero una raccolta linfatica dovuta a lesione dei vasi linfatici durante l’intervento, che si può presentare anche dopo anni dal trapianto.

Esistono anche complicanze di carattere generale in parte legate alla terapia: diabete insorto dopo il trapianto, ipertensione arteriosa, iperparatiroidismo precedente al trapianto e non corretto, obesità, dislipidemia, maggiore suscettibilità alle infezioni, in particolare virali e micotiche, e a tumori, soprattutto della cute (epiteliomi) e linforeticolari (linfomi), anche se l’utilizzo di alcuni farmaci (rapamicina, everolimus) ha evidenziato un’attività antineoplastica.


Farmaci immunosoppressoriin uso nel trapianto di rene

Il cardine della trattamento finalizzato a garantire il mantenimento del trapianto renale è la terapia immunosoppressiva. Inizialmente i farmaci in uso erano molto pochi (alte dosi di cortisonici, azatioprina, siero antilinfocitario nella prima fase del trapianto) e gravati da numerosi effetti collaterali, soprattutto per quanto riguarda i cortisonici (diabete, osteoporosi, problemi vascolari, ipertensione arteriosa, obesità, cataratta e depressione) e oltretutto l’efficacia in termini di protezione dal rigetto dell’organo trapiantato era effettivamente scarsa: si consideri infatti che prima degli anni ottanta sopravviveva dopo 3 anni solo 1 trapianto su 2. Dagli anni ottanta la riduzione del dosaggio dei cortisonici e l’avvento della ciclosporina hanno cambiato completamente il quadro clinico del trapianto renale riducendo gli episodi di rigetto e aumentando la sopravvivenza dell’organo fino a superare il 90% dopo 4 anni dal trapianto. Attualmente i farmaci più usati nella terapia anti-rigetto a lungo termine sono la ciclosporina, il tacrolimus, la rapamicina, l’everolimus, gli antiproliferativi (micofenolato mofetile, micofenolato sodico, azatioprina) e naturalmente i cortisonici. Questi farmaci vengono variamente associati tra loro in base ai protocolli messi a punto dagli studiosi; la tendenza è comunque di utilizzare farmaci che, somministrati insieme, siano particolarmente efficaci (azione sinergica) in modo da ridurne il dosaggio e i conseguenti effetti indesiderati e sospendere precocemente i cortisonici per evitare tutti gli effetti collaterali della terapia steroidea a lungo termine.


Riabilitazione e qualità di vita

Il trapianto renale consente una riabilitazione socio-lavorativa totale e una qualità di vita buona; il paziente trapiantato di rene con un organo ben funzionante si sottopone periodicamente a controlli laboratoristici e strumentali e assume quotidianamente la terapia immunosoppressiva e di supporto.

Egli può svolgere tutti i lavori evitando però quelli particolarmente faticosi o che si svolgono in ambienti sporchi o polverosi. Può praticare tutti gli sport con qualche cautela nel caso di sport a rischio di gravi traumi.

Può viaggiare senza problemi particolari, utilizzando tutte le precauzioni igieniche quando si tratta di recarsi in paesi con infezioni endemiche, ed evitando i paesi in condizioni sanitarie degradate. L’affrancamento dalla dialisi solleva il paziente anche sotto il profilo psicologico facendolo sentire autonomo e più libero.

[A.R., M.B., M.Q., U.M.]