Martina Trevisan, campionessa di tennis: così ho vinto l’anoressia

La numero 4 del tennis femminile italiano ci racconta l’importanza di ammettere anche le sconfitte. E di farsi aiutare per tornare a essere una campionessa



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“La borsa da tennis assomiglia molto al tuo cuore: devi sapere in ogni momento cosa c’è dentro”. A dirlo è un grande campione, Andre Agassi, nella sua autobiografia Open (Einaudi), il più bel libro mai scritto su questo sport. E cosa c’è nel cuore di Martina Trevisan, la campionessa numero quattro del nostro tennis femminile? A vederla arrivare sul set di Starbene con il fidanzato si scopre che c’è un’immensa voglia di vita. Bella, vincente e innamorata cosa potrebbe desiderare di più questa ventiseienne nata a Firenze, con un sorriso che spiazza e un diritto mancino che non perdona? Eppure anche il cuore di Martina è stato il campo per un duello contro un’avversaria malefica e insidiosa come l’anoressia. Per Martina la malattia oggi è un ricordo lontano. La numero 157 della Classifica Mondiale WTA ha appena vinto con il suo circolo, il Tc Prato, il campionato di serie A e si sta preparando per gli Australia Open di gennaio, come ci racconta dalla poltrona del trucco dove, nonostante la levataccia da Pontedera dove vive e il viaggio in treno, si siede fresca e scanzonata.


Sei nata con la racchetta in mano
Sì, sono cresciuta sulla terra rossa! Da figlia di una maestra di tennis ho cominciato a girare per i circoli che avevo il ciuccio in bocca. Anzi, con una racchettina colorata in mano con cui imitavo gli allievi della mamma o mio fratello maggiore (Matteo, altro asso del nostro tennis, ndr). È stato subito chiaro che avevo stoffa. Questione di Dna. Anche il babbo è uno sportivo: era un calciatore e si difende mica male anche sul campo di tennis.


Non avevi ancora 16 anni e giocavi regolarmente gli Slam junior. Nel 2009 in doppio hai raggiunto le semifinali al Roland Garros Juniores e Wimbledon Juniores. Poi cosa è successo?
Ho cominciato a non starci più dentro. Da una parte sentivo i riflettori puntati addosso, dall’altra in casa c’era tensione, perché i miei si stavano separando. Aggiungiamoci un paio d’incidenti fisici. Stavo male e l’anoressia ha trovato in me un’avversaria spiazzata. Ripensandoci a distanza è stato forse un modo per farmi prendere sul serio, per urlare quanto profondo fosse il mio malessere. Non mi piaceva più giocare a tennis, non mi sembrava che ne valesse più la pena. Non è certo stata una decisione presa per la paura di un confronto, venivo da un momento di grandi vittorie.


Che consiglio daresti oggi alla ragazza che eri allora?
Fare quello che ho fatto: cercare aiuto. Inutile contare solo sulle proprie forze, parlare con un esperto è fondamentale per uscirne fuori, un po’ come con il tennis. In quel caso il mio coach è stata una bravissima psicoterapeuta con cui ho messo a nudo le mie ferite e che mi ha aiutato a medicarle.


Sei stata lontana dalle competizioni per quattro anni: che facevi?
L’unica cosa che so fare bene: giocare a tennis. Insegnavo e, in quella dimensione non competitiva, lo sport mi rilassava: il ritmo dei palleggi, i progressi degli allievi, la pratica vissuta nella sua dimensione più umana e generosa, quella di trasmettere conoscenza.


Detta così sembra una meraviglia
Ero serena ma a un certo punto mi sono resa conto che non ero davvero felice. Poco alla volta ha cominciato a rifarsi sentire la voglia di vincere. Ho tentennato un po’, mi spiaceva lasciare gli allievi.


Si saranno disperati…
Disperati? Erano tutti strafelici. Appena si è saputo che volevo tornare all’agonismo nemmeno uno ha provato a farmi cambiare idea. È stato come se per anni tutti fossero rimasti in attesa di quel momento. La gioia sincera di chi mi stava intorno mi ha fatto davvero capire che riprendere era la strada giusta. Un mio allievo si è subito offerto di aiutarmi con i social. E quindi eccomi qui: ex ragazza prodigio, ex maestra e ora di nuovo in campo, grazie anche all’amore di chi mi circonda.


Anche l’amore per il tennis è contraccambiato: che caratteristiche ha il tuo sport?
È molto solitario. Durante il match sei solo in campo, in un corpo a corpo che ricorda quello del pugilato, con la differenza che il boxeur può parlare con il suo allenatore, il tennista no. La partita ti mette a nudo svelando e amplificando tutte le tue debolezze. Non hai uno spogliatoio dove rifugiarti o un angolo in cui nasconderti: sei lì in perfetta solitudine ma sotto gli occhi di tutti.


Come tieni sotto controllo tutto questo stress?
Le tisane non bastano! Sono costantemente seguita da un mental coach che mi aiuta sia nel contenimento dello stress, sia nella gestione della partita. Giocare a tennis è potenza, certo, ma soprattutto strategia. Non a caso si dice che in questo sport s’impara più dalle sconfitte che dalle vittorie. Perdere è un ottimo motivo per ripensare alle varie fasi del match e capire quando, dove e perché hai sbagliato.


Sei scaramantica?
Non molto, però ammetto che qualche volta cado anch’io in qualche rituale propiziatorio, come fare gli stessi gesti quando scendo in campo, indossare la stessa divisa o avere la stessa panchina. Piccole sciocchezze che servono ad attenuare la tensione dell’incontro. La partita che non dimenticherai mai? È stata agli US Open 2018, quando a New York ho battuto l’americana Varvara Lepchenko: 6-2/1-6 e poi un meraviglioso 7-5.


Chi è la tua tennista-mito?
È un’italiana, Flavia Pennetta: una grande campionessa che ha saputo conciliare con serenità l’attività sportiva e la sua dimensione di donna, senza rinunciare a nulla.


Sei su Facebook e Instagram: che rapporto hai con i social?
Marco, il mio fidanzato, mi rimprovera perché sostiene che dovrei dedicarmici di più. Prometto solennemente che lo farò, perché c’è tanta gente che mi segue con grande affetto. Come al solito è un problema di tempi, la sveglia in casa suona alle 6 e 30, poi c’è la palestra, la corsa, lo stretching, gli allenamenti…


Però la sera ti rilasserai anche tu! Cosa fai?
Sto a casa. Da settembre sono andata a vivere da sola e tornarmene nella mia nuova casa è la cosa che mi rasserena di più. Il massimo della mondanità è uscire con Marco a cena per un sushi. Quando invece stiamo a casa so esattamente cosa mangiare: ho fatto un particolare test genetico che individua la relazione tra Dna e nutrizione, metabolismo e performance fisica. È semplicissimo, basta un po’ di saliva per scoprire quali vitamine, minerali e nutrienti funzionano bene per il tuo corpo.


Quando esci al posto della tuta t’infili…
Un abito carino, elegante e non casual. Vivo però sempre un dilemma: adoro le gonne, stravedo per i tacchi ma detesto le calze, mi danno proprio fastidio. Quindi sono spesso a gambe nude: ci vuole proprio un clima artico per farmi gettare la spugna davanti a un paio di collant.


Anche il tuo fidanzato è un tennista?
No, no, il nostro è un amore che risale ai tempi del liceo. Da allora ci siamo presi e mollati un paio di volte. Evidentemente non era ancora il momento giusto… che poi è arrivato (Marco conferma con un sorriso, ndr).


Se potessi cambiare qualcosa del tuo corpo cosa vorresti nuovo di zecca?
A volte desidero cosce meno “agonistiche”, lunghe e affusolate. Però poi penso che le mie gambe sono fondamentali per gli scatti brucianti e gli stop improvvisi e mi pento della mia vanità. Va bene così.


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Articolo pubblicato sul n. 3 di Starbene in edicola dal 31 dicembre 2019

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