Storia vera, Sindrome da Iper igD: “Ho avuto la febbre per 24 anni”

Alice è affetta di una patologia che causa continui rialzi della temperatura. Un calvario iniziato a pochi mesi di vita e ora finito grazie a un nuovo farmaco



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Capita a tutti di avere la febbre, ma quella di Alice Mancin, 25 anni, milanese, per anni è stata un enigma. Oggi sta bene, fa una vita normale e lavora come receptionist in una multinazionale, ma ha passato tutta l’infanzia e l’adolescenza a fare i conti con un serio problema di salute.

«Era un incendio che mi bruciava dentro: si spegneva per qualche giorno, per poi tornare puntualmente a tormentarmi», ricorda. Colpa di una malattia rara, la Sindrome da Iper igD, legata a un’alterazione di un gene che i genitori, ignari di esserne portatori sani, le hanno trasmesso.

Il primo attacco si manifesta quando ha pochi mesi di vita: febbre che supera i 38 gradi, mal di pancia, la pelle coperta da macchie rosse dolenti e una stanchezza che non allenta la morsa. Poi, puntuali, le crisi si ripetono di continuo, sempre uguali, rubandole l’infanzia: niente gite perché è malata, no alle feste con gli amichetti perché ha la febbre, sempre sotto una campana di vetro perché lei è una bambina “fragile”, schiava di un letto che periodicamente la incatena a sé.

«Non ho potuto frequentare l’asilo e anche alle elementari ero quasi sempre assente», ricorda con amarezza. «Ricordo che i miei genitori le tentarono tutte per venirne a capo. Hanno battuto anche la strada della medicina ayurvedica: forse era colpa del blocco di un chakra che creava un corto circuito energetico... Non era così e io continuavo a stare male».


Una diagnosi senza cura

A 6 anni, i medici riescono a dare un nome alla sua malattia ma, nonostante la diagnosi, per la sindrome da Iper igD non c’era una cura specifica: si utilizzava il cortisone che tiene a bada lo stato infiammatorio ma agisce ben poco sulla stanchezza.

Per Alice, dunque, continua il calvario dei controlli, dei brevi ricoveri, delle visite specialistiche: «Mi sentivo una “cavia”, dentro e fuori da un ambulatorio, come un pacchetto, senza che chi mi visitava si prendesse la briga di chiedermi cosa provavo, come mi sentivo: eppure vivevo tutto sulla mia pelle», commenta amara. «Ho cominciato a odiare i camici bianchi e “l’indifferenza professionale” con cui mi liquidavano».

Le cose iniziano a cambiare nel 2009: è in cura all’ospedale di Brescia e si affida a un centro di riferimento per la sua malattia, dove inizia a essere seguita da un medico “speciale”.

«È il primo che si mette veramente nei miei panni e che mi ascolta», racconta. E, tra i due, si consolida un patto terapeutico che dura ancora oggi. Lo specialista le propone di abbandonare il cortisone per una cura biologica, un’iniezione sottocutanea al giorno, che Alice impara a farsi da sola: «Mitigava la fatica, ma poi bastava un mal di testa, un po’ di stress o essere alla vigilia del ciclo perché la febbre si rifacesse strada, anche se con meno violenza rispetto a quando ero piccola», ricorda. Non era ancora fuori dal tunnel.


Il farmaco che le cambia la vita

Circa un anno fa, il medico le propone di passare a un altro farmaco biologico, ancora più innovativo: i dubbi sono tanti, ma accetta.

«È una fiala che mi inietto ogni 7 settimane, garantendomi protezione da febbre e stanchezza», racconta. «Vado all’ospedale di Brescia a prenderla e quando torno a Milano, in treno, la stringo forte, temendo di poterla perdere: quel piccolo tesoro vale più della mia vita».

E, di fatto, la vita gliel’ha cambiata. Oggi, quasi a volersi rifare del tempo perduto, Alice è sempre in moto: otto ore di lavoro, serate con gli amici, mille attività. «La sera vado finalmente a letto per la stanchezza data da una giornata piena, e mi fanno sorridere quelli che si sentono affaticati solo perché hanno fatto una lunga fila a uno sportello, o hanno lavorato qualche ora più del solito», commenta.

Ma, soprattutto, Alice sta facendo pace con la sua malattia, imparando a non soffocare o a negare questa parte di se stessa: «La sindrome mi ha tolto molto, ma mi ha dato tanto», osservaa. «È anche grazie a lei che sono quella che sono: spigolosa in certi tratti del mio carattere, empatica con chi soffre e con chi sta male».

E poi agguerrita e pronta a non arrendersi mai: «Oggi mi sento un drago, come se il mio fuoco si fosse trasformato in energia pura». Lo si vede: è un vulcano di progetti: riprendere la scuola che ha dovuto interrompere, avere una casa tutta sua e trovare un “vero amore”, un uomo che sappia accettarla per quella che è, compresa la sua malattia, una presenza che non la abbandonerà mai.



La Sindrome da Iper igD

«Alice ha una malattia rara: affligge meno di 1000 persone al mondo. Otre alla febbre, può causare danni ad articolazioni, organi interni (come cuore, polmoni, milza) e pelle», spiega Marco Cattalini, responsabile della reumatologia pediatrica degli Spedali Civili a Brescia.

«Oggi si cura grazie a farmaci che bloccano l’interleuchina 1, mediatore dell’infiammazione che la causa».

I medicinali sono prescritti da Centri di riferimento di terzo livello, di reumatologia pediatrica (li trovi sul sito della Paediatric Rheumatology International Trials Organization: printo.it) o di reumatologia esperti in sindromi autoinfiammatorie.

«La febbre e sintomi come il mal di pancia, sono comuni a molte malattie frequenti in età pediatrica, ma è il caso di insospettirsi quando episodi simili a quelli di Alice si manifestano dai primi mesi di vita e si ripetono».

Ci sono anche associazioni a cui rivolgersi come leoncinicoraggiosi.it.



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Articolo pubblicato nel n° 23 di Starbene in edicola dal 21 maggio 2019

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