Storia vera: ho ricominciato a sentire grazie all’impianto

Barbara ha iniziato ad avere problemi di udito a 6-7 anni, fino a perdere completamente l’orecchio sinistro due anni fa. Ma la sua storia, che ci ha raccontato lei stessa, è finalmente giunta a un lieto fine, grazie a un impianto cocleare



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Testo raccolto da Rossella Briganti


Ho cominciato a perdere l’udito verso i 6-7 anni, senza una causa apparente, ci racconta Barbara (nella foto qui sopra). A scuola andavo bene ma sempre più spesso non riuscivo a capire le domande della maestra, storpiavo le canzoncine e non ero in grado di captare le parole durante il dettato: scambiavo “Roma per toma” e la pera diventava mela.

Lì per lì pensavano che fossi un’alunna un po’ distratta. Ma poi la maestra cominciò a intuire che qualcosa non andava. Segnalò i suoi dubbi ai miei genitori che mi portarono a fare l’esame audiometrico: avevo già una perdita di udito bilaterale tra i 40 e i 50 decibel! Per di più anche la mia sorellina di 4 anni cominciava a non sentire bene. Non vi dico la disperazione di mia mamma: apprendere che le sue bimbe stavano per diventare sorde aggravò lo stato depressivo in cui già versava.

Inoltre non si riusciva a capire quale fosse la causa dei nostri disturbi. All’inizio pensarono a una malattia di origine genetica, ereditata da me e mia sorella. Ma i test genetici risultarono negativi. E poiché i medici brancolavano nel buio, mi sottoposero a delle cure infruttuose, anche chirurgiche: mi asportarono le adenoidi e mi misero dei drenaggi all’interno del condotto uditivo, per “liberare” le orecchie e ripulirle da un eventuale tappo interno. Una tortura che si rivelò del tutto inutile.


Il primo aiuto: le protesi acustiche

Poiché la situazione non migliorava, anzi peggiorava gradualmente (si sarebbe arrestata solo a 40 anni, con la sordità totale da un orecchio), a 9 anni mi prescrissero le protesi acustiche, che indossavo tutto il giorno come un ausilio indispensabile. Grazie a esse riuscivo a raggiungere circa l’80% della normale percezione uditiva.

Per il resto mi aiutavo con la lettura labiale, l’intuito, la buona volontà. Non ho mai fatto logopedia perché, nonostante le cellule ciliate della coclea (le nostre “antenne riceventi”) fossero diventate insensibili e quindi il mio udito fosse debole, continuavo a parlare perfettamente.

A scuola andavo bene, avevo ottimi voti e, poiché a me piacciono le sfide, alle superiori cominciai a studiare le lingue: inglese, francese, persino un corso di cinese. Dove non arrivavano le protesi acustiche subentrava la lettura delle labbra e io non mi sono mai arresa al mio handicap: ho sempre viaggiato da sola, fatto sport e condotto una vita normale, rifiutando l’idea di essere confinata in una bolla di silenzio.

Assunta in banca, ho fatto per tre anni la cassiera, a contatto diretto con il pubblico. Poi, però, ho dovuto chiedere il trasferimento in un ufficio interno perché la perdita uditiva si era accentuata e iniziavo a essere in difficoltà con i clienti. Ma, a parte qualche piccolo scoglio, avevo una vita piena e realizzata. Nel 2014 ho conosciuto Paolo, che è di Roma, e ho chiesto il trasferimento per andare a vivere con lui. Ma una brutta sorpresa mi aspettava dietro l’angolo.


La perdita irreversibile dell'udito da un orecchio

Due anni fa, nel maggio del 2016, improvvisamente il mio orecchio sinistro smise del tutto di sentire. Non capii che avevo completamente perso il residuo uditivo. All’inizio pensai che la protesi acustica si fosse rotta, non trasmettendomi più alcun suono. Per questo non chiesi subito aiuto.

Semplicemente, smisi di indossare la protesi sull’orecchio sinistro, perché non solo non serviva a nulla ma mi procurava mal di testa, nausea, vertigini e acufeni. Mi limitai a metterla sull’orecchio destro, cercando di “sfruttare” al massimo il minuscolo margine uditivo residuo. Ma fu un duro colpo e capii che non potevo andare avanti così. Nonostante le terapie, la perdita fu irreversibile e al Policlinico Gemelli di Roma mi prospettarono l’applicazione di un impianto cocleare come un’unica soluzione per risolvere il mio caso di sordità profonda.


La “scatolina magica”: l'impianto cocleare

Avevo qualche resistenza all’intervento, anche se mi avevano dato ottime probabilità di riuscita. Mi impressionava l’idea di fare un taglio dietro all’orecchio e fissare l’impianto cocleare nell’osso della scatola cranica. Ma il 6 giugno scorso, il mio personalissimo D-Day, ho messo l’impianto all’orecchio sinistro, sordo da circa un anno, ed è filato tutto liscio nonostante sia rimasta in sala operatoria per quattro ore

Dopo un mese, l’11 luglio, è stato attivato, in seguito al test di calibrazione che sonda la trasmissione e la percezione dei suoni sul singolo paziente. La prima cosa che mi arrivò fu l’applauso dell’audiologo quando gli dissì che sì, ci sentivo. Ma la cosa più bella è stata sentire il “ti amo” di Paolo, sussurrato dolcemente, invece di leggerlo sillabato sulle labbra.


Come funziona la coclea artificiale

«Sono diverse le cause che possono determinare un danno irreversibile alla coclea, l’organo uditivo situato nell’orecchio interno la cui forma ricorda il guscio di una chiocciola», premette il dottor Enrico Fagnani, otorinolaringoiatra e audiologo presso il Policlinico di Milano, tra i primi in Italia a realizzare impianti cocleari 26 anni fa.

«L’organo serve ad analizzare e codificare le onde sonore, convertendole in impulsi elettrici da inviare al nervo acustico. Un compito simile a quello svolto dalla retina nei confronti del nervo ottico. Il danno può essere congenito, legato ad esempio alla prematurità del neonato o a infezioni virali contratte dalla madre in gravidanza (come quella da Citomegalovirus), di origine genetica oppure subentrare nell’infanzia a causa di malattie virali come il morbillo e la parotite».

Se l’iniziale deficit uditivo non viene diagnosticato subito e non si interviene con le cure (cortisone, antivirali, antibiotici...), le cellule ciliari della coclea, che si comportano da “microfoni” riceventi, entrano in sofferenza e perdono sensibilità.

In questi casi di sordità profonda si ricorre all’impianto cocleare che è composto da due parti: quella interna, ovvero un apparecchietto di titanio grande circa 3X4 cm posizionato dietro all’orecchio, in quel segmento dell’osso temporale chiamato mastoide, e una parte esterna che viene collegata circa un mese dopo l’intervento. «Quella interna funge da ricevitore-stimolatore e ha un conduttore multipolare che trasporta i segnali ai 22 elettrodi, ognuno codificante suoni diversi, collegati alle fibre del nervo acustico», prosegue il dottor Fagnani. «La componente esterna, invece, è un piccolo congegno elettronico che cattura i suoni e li trasmette all’interno».


Dalla parte di chi non sente


  • Affrontiamo la sordità insieme è il nome della pagina Facebook creata per chi soffre di ipoacusia grave e per i suoi familiari. Qui è attivo un forum dedicato all’impianto cocleare, con scambi di esperienze tra i diversi fruitori.


  • Ascolta e vivi è il nome della Onlus creata nel ’98 per portare avanti in Italia e nei Paesi in via di sviluppo (Congo, Kenia, Nicaragua e India) progetti tesi a combattere e curare tutte le forme di sordità. Sul sito aevo.it potrai conoscere tutte le iniziative attualmente in corso.


  • Cliccando su sordita.it troverai tutte le soluzioni hi-tech per affrontare il deficit uditivo, con un focus dedicato alle protesi acustiche più all’avanguardia, che fanno 500 scansioni sonore al secondo.



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Articolo pubblicato sul n. 21 di Starbene in edicola dal 08/05/2018



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