La gestione del dolore post operatorio in Italia

Secondo i dati a disposizione, la gestione del dolore post operatorio in Italia risulta al di sotto degli standard europei



Uno studio recentemente pubblicato sulla rivista European Review for Medical and Pharmacological Sciences, condotto presso l’Università la Sapienza di Roma raffrontando i dati raccolti attraverso due survey, del 2006 e del 2012, su un campione rappresentativo di oltre il 40% degli ospedali pubblici italiani, ha concluso che in Italia si gestisce male il dolore post operatorio.


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Soltanto la metà degli ospedali che hanno aderito alle survey hanno potuto vantare l’attivazione del Servizio del dolore acuto post-operatorio, un modello organizzativo coordinato dall’anestesista che si occupa di gestire il dolore nel paziente da poco operato.

Come logica conseguenza, solo il 10% dei pazienti sottoposti a intervento chirurgico hanno ricevuto un trattamento del dolore post-operatorio rispondente alle linee guida vigenti.

Le linee guida sull’argomento insistono sul fatto che il dolore post-operatorio venga affrontato personalizzando il trattamento sul tipo di paziente e sul dolore che denuncia, mentre in Italia si ricorre quasi esclusivamente all’utilizzo di presidi a infusione fissa e continua.

La terapia quindi, non è affatto impostata tenendo conto dell’intervento subito, della massa corporea, del metabolismo e del sesso del paziente.

È bene sottolineare poi, che occuparsi della salute di un paziente non significa solo risolvere un disturbo o un malfunzionamento, ma prestare anche l’attenzione a quella che è la sua qualità e dignità di vita, fattore che implica una grande attenzione anche al dolore che prova, che non va mai banalizzato, dato per scontato o, peggio, trattato con superficialità, tanto più che i mezzi per affrontare il dolore sono numerosi e diversi.

Come sottolinea il professor Guido Fanelli, Direttore della U.O.C. di Anestesia e Rianimazione e del Centro Hub di terapia del Dolore dell’A.O.U. di Parma, Direttore scientifico Biogenap del CNR e Direttore Scientifico di Fondazione ANT, «la sfida che dobbiamo affrontare è quindi innanzitutto di natura culturale: tutti i professionisti della salute, dal chirurgo all’anestesista, senza tralasciare l’infermiere, devono convincersi che l’analgesia personalizzata, che contempli anche il coinvolgimento del paziente, non rappresenta un maggior dispendio di risorse e di energie, ma al contrario un efficientamento economico e un’ottimizzazione, in termini di appropriatezza terapeutica, della gestione del paziente post chirurgico».

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