Fumo di tabacco e salute

Il fumo di tabacco è stato considerato per decenni come una semplice abitudine voluttuaria o come un “vizio”: in realtà si tratta di una dipendenza, e come tale nel 1994 è stata inserita a pieno titolo dall’American Psychiatric Association tra le malattie psichiatriche. Il Manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali (DSM, dall’acronimo inglese), stilato […]



Il fumo di tabacco è stato considerato per decenni come una semplice abitudine voluttuaria o come un “vizio”: in realtà si tratta di una dipendenza, e come tale nel 1994 è stata inserita a pieno titolo dall’American Psychiatric Association tra le malattie psichiatriche. Il Manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali (DSM, dall’acronimo inglese), stilato dall’associazione, classifica la dipendenza da nicotina a fianco delle altre dipendenze da droghe poiché anche questa sostanza, al pari di tutte quelle che provocano dipendenza, possiede la capacità di indurre un senso di piacere, che comporta il desiderio di riprovare l’esperienza e di aumentare la dose per ottenere i risultati sperati; inoltre è ben conosciuta la sindrome di astinenza da nicotina, che comprende quattro o più dei seguenti sintomi: umore inquieto, insonnia, irritabilità, impazienza, aggressività, aumento dell’ansia, difficoltà di concentrazione, irrequietezza, rallentamento del battito cardiaco, aumento dell’appetito o del peso. La nuova consapevolezza raggiunta circa i pericoli del fumo di tabacco è importante sia per i fumatori stessi sia per la società, che ha cambiato il suo atteggiamento verso quest’abitudine e considera ora il fumatore più come un malato che come un “colpevole”. Inoltre è noto che il fumo è una patologia pediatrica: infatti, si diventa spesso fumatori nella prima adolescenza, quando la pressione dei pari e dell’ambiente sociale (dove spesso il fumo è tollerato), unita alla curiosità di nuove esperienze caratteristica di questa età, incoraggia a primi tentativi che spesso si concludono con il reclutamento di un nuovo fumatore nella già ampia schiera di tabagisti.


Epidemiologia della malattia

Il fumo di tabacco è considerato come una vera e propria malattia epidemica, un contagio che si trasmette attraverso canali culturali, sociali ed economici con una progressione tipica delle malattie contagiose: presenta infatti una fase di diffusione moderata, seguita da una fase di ascesa costante fino al raggiungimento di un plateau di stabilizzazione, quando il ricambio dei nuovi entrati corrisponde approssimativamente all’uscita degli “anziani”, cioè al numero degli ex-fumatori.

I dati statistici più recenti in merito alla diffusione del fumo in Italia indicano che dal 1997 al 2004 si è assistito a una lenta ma progressiva riduzione della percentuale di fumatori, nel 2004 attestatasi attorno al 23% degli italiani con età superiore ai 14 anni. La tendenza è proseguita nel 2005 dopo l’introduzione della legge 3/2003 (legge Sirchia) sul divieto di fumo nei locali pubblici, mentre nel 2006 si stima un leggero rialzo dei consumi di sigarette, correlato a un lieve aumento nel numero dei fumatori. La fascia di età in cui il fumo è più diffuso è quella compresa tra i 24 e i 44 anni, anche se va sottolineato che la percentuale di ragazze fumatrici di 15-23 anni è in continua ascesa e sta per oltrepasssare l’altro sesso. Particolare attenzione va posta sugli ex-fumatori, che in Italia sono ben 9,1 milioni (5,8 maschi e 3,3 femmine), un numero elevatissimo che dimostra come smettere di fumare sia possibile: se sommati al numero degli italiani che non hanno mai fumato (29 milioni), si ottiene una stima di 38 milioni di cittadini che non fumano, cioè il 75% della popolazione di età superiore ai 15 anni. Questo dato può essere utile quando si confrontano le opinioni degli adolescenti, che spesso si giustificano sostenendo che fumare sia un’abitudine maggioritaria cui occorre adeguarsi.


Esposizione al fumo di tabacco

Il fumo di tabacco ha una composizione molto simile a tutti gli altri prodotti della combustione, siano essi carburanti per motori, gasolio per riscaldamento o legna per stufe e caminetti. Il processo di combustione dei materiali carboniosi porta alla disgregazione delle molecole in frammenti piccolissimi che si ricompongono in tempi molto brevi (stimati attorno ai millisecondi). In questo processo di riaggregazione della materia si formano circa 4000 sostanze diverse, di cui molte sono dotate di attività cancerogena, ossidante e irritante.

Nel fumo di tabacco, come in tutti gli altri fumi, si distinguono una parte gassosa (vapore acqueo, ossidi di azoto e di zolfo, composti organici volatili come benzene e diossine) e una corpuscolata, detta Particulate Matter (PM); quest’ultima è composta da un aerosol di polveri finissime, che rimangono sospese a lungo nell’aria perché dotate di un tempo di sedimentazione molto lento e, proprio per questo, rappresentano un elemento di particolare preoccupazione per la salute della popolazione. Il PM2.5 (con dimensioni inferiori ai 2,5 micrometri) è pericoloso perché sulla superficie delle particelle di polvere si depositano sostanze cancerogene e ossidanti che possono essere inalate e, quindi, possono raggiungere le parti più periferiche dei polmoni, depositandovisi e rimanendovi per periodi molto lunghi.

In questo modo i bronchi e i polmoni subiscono l’impatto più importante del PM, e ciò spiega le conseguenze del fumo (ma anche quelle dell’inquinamento atmosferico) sull’apparato respiratorio, in termini di rischio aumentato di bronchite cronica, enfisema, tumore del polmone. Esiste però anche un rischio cardiovascolare connesso al PM2.5, in quanto le sostanze tossiche che si depositano nel polmone diffondono nel sangue e vanno a colpire il sistema circolatorio, comportando lesioni soprattutto a livello endoteliale, responsabili delle arteriopatie a loro volta alla base di patologie come l’infarto miocardico e l’ictus cerebri. Va sottolineato che recentemente è stato dimostrato come le polveri ultrafini, caratterizzate da diametri inferiori a 0,1 micrometri, si comportano come gas, riuscendo a oltrepassare la barriera alveolare e trasferendosi direttamente nel sangue.

L’assorbimento dei prodotti del fumo da parte dell’organismo è dimostrato dalla presenza nelle urine dei fumatori di elevate quantità di cancerogeni come nitrosamine e benzopirene. Un altro marker del fumo di sigaretta (una sostanza, cioè, usata come indicatore dell’esposizione o dell’assunzione di tabacco) è il monossido di carbonio, che ha un’emivita di circa 5 ore e si può misurare facilmente nel respiro esalato: una concentrazione pari o superiore a 10 ppm (parti per milione) di monossido individua, per definizione internazionale, un fumatore abituale. Anche la nicotina, naturalmente, è un marcatore del fumo di tabacco, e nei fumatori è presente nel sangue in elevate concentrazioni, mentre nelle urine e nella saliva si riscontra il suo metabolita, la cotinina.

Va notato come lo studio dei marcatori di esposizione abbia permesso di verificare la reale efficacia dei cosiddetti PREP (Potential Reduced Exposure Products), ovvero i prodotti del tabacco potenzialmente meno pericolosi come le famose sigarette light: si è osservato allora che i fumatori di sigarette che nominalmente avrebbero dovuto produrre concentrazioni di catrame e di monossido di carbonio inferiori a quelle standard, in realtà avevano livelli di cancerogeni nelle urine e di monossido di carbonio nel sangue addirittura più elevati rispetto a quelli rilevati nei fumatori di sigarette standard.


Fumo attivo e fumo passivo

Generalmente si pensa che il fumo passivo sia molto meno pericoloso del fumo attivo. In realtà, anche se le sostanze sono più concentrate nella colonna di fumo che si aspira direttamente, gran parte della boccata non si deposita nei polmoni, ma viene espirata nell’ambiente, come si può verificare osservando un fumatore. La somma degli inquinanti del fumo terziario (quello che il fumatore espelle) e del fumo secondario (quello rilasciato dalle sigarette lasciate consumare nel posacenere o tra le dita) vanno a costituire il fumo passivo, che può raggiungere livelli così alti all’interno delle abitazioni da superare anche di cento volte i livelli di soglia del particolato stabiliti per l’ambiente esterno (50 mcg/m3) arrivando a 5000 mcg/m3, un valore pericolosissimo per la salute. Questa situazione, sommata al fatto che il fumo passivo è scarsamente diffusibile e può essere respirato per molte ore nei locali chiusi, comporta un’esposizione continuativa a ogni respiro, che può perdurare per un’intera giornata. Ciò spiega anche l’aumento del rischio di infarto e di tumore polmonare a causa del fumo passivo, e chiarisce il significato delle leggi che vietano il fumo nei locali pubblici, intese a proteggere l’intera popolazione, e in particolare i bambini e le persone affette da patologie cardiovascolari o respiratorie, dai danni del fumo.

Nella tabella della pagina precedente vengono riassunte le caratteristiche dei due tipi di inquinanti, con il fumo passivo che si discosta molto poco dal fumo attivo per molti dei parametri considerati. È interessante notare come nel fumo attivo gli inquinanti risultino meno concentrati in quanto la temperatura della colonna di fumo è molto più elevata nella boccata di sigaretta (circa 800 °C), il che comporta la distruzione di molte delle sostanze che invece si conservano nel fumo passivo (che ha una temperatura di circa 600 °C). Tipico del fumo passivo è il fattore di moltiplicazione, per cui l’esposizione viene a interessare molte più persone che non il fumo attivo, così come l’involontarietà, che vede i non fumatori esposti agli inquinanti non per propria scelta.

Infine, tra i non fumatori esposti al fumo passivo, vanno considerate le persone affette da patologie, per le quali l’esposizione a inquinanti può essere particolarmente pericolosa (donne in gravidanza, bambini).


Patologie associate

Si è dimostrato che il fumo di sigaretta è responsabile di oltre 25 patologie, di cui le più importanti sono a carico del sistema cardiovascolare (infarto miocardico, angina pectoris, arteriopatie ostruttive, ictus) e dell’apparato respiratorio, con patologie infiammatorie (bronchite cronica, bronchite cronica ostruttiva, asma) e tumorali (tumore della laringe e dei bronchi); altri tumori frequenti nei fumatori colpiscono la lingua, lo stomaco e la vescica. Il rischio attribuibile per alcune patologie è elevatissimo: 80% circa per la bronchite cronica ostruttiva e per il tumore polmonare, il che equivale a dire che nell’80% di questi casi, il fumo di tabacco è l’unico fattore responsabile; per la cardiopatia ischemica (infarto e angina pectoris) la percentuale di rischio attribuibile è del 40% circa. Va inoltre ricordato che il fumo di sigaretta è un fattore di rischio anche per asma e diabete.


Carico di sofferenza

La mortalità da fumo calcolata per l’Italia è di circa 90.000 morti all’anno, quella per l’Europa di circa 500.000. La morbilità, cioè il numero di persone affette da malattie legate al fumo, è ancora più elevata: è stato calcolato che il 50% delle visite ambulatoriali siano legate a una malattia legata al fumo.

Il 20% dei fumatori è destinato a sviluppare la bronchite cronica ostruttiva (BPCO), malattia per la quale esiste un solo rimedio efficace, la cessazione dal fumo. La BPCO è una malattia che progredisce lentamente: nei casi moderati comporta dispnea con limitazione delle attività quotidiane (salire le scale, fare la spesa, andare in bicicletta ecc.), nei casi severi comporta invece un’insufficiente ossigenazione anche a riposo, con la necessità di ossigenoterapia a lungo termine. La mancanza di respiro persistente compromette la vita sociale ed è associata a disturbi depressivi che abbassano parecchio la qualità di vita. Naturalmente anche altre patologie da tabacco molto frequenti, come il tumore del polmone o le malattie coronariche, gravano pesantemente sulle famiglie, con conseguenze economiche spesso notevoli.


Cessazione dal fumo

Smettere di fumare è possibile. Lo dimostrano i 9 milioni di ex-fumatori stimati dall’indagine Doxa-Istituto Superiore di Sanità 2006, ma lo dimostrano anche centinaia di studi clinici controllati, che negli ultimi 20 anni hanno messo in evidenza numerosi metodi efficaci per smettere raccolti nelle linee guida nazionali e internazionali: consiglio minimale dato dal medico di fiducia o dall’infermiera, supporto psicologico-comportamentale, terapia di gruppo, terapie farmacologiche come la terapia nicotinica sostitutiva, il bupropione e la vareniclina.

Le percentuali di cessazione sono diverse a seconda del metodo, ma tutte hanno una valenza indiscutibile: per fare un esempio, il consiglio di minima ha un efficacia molto limitata (circa il 2%), richiede un tempo brevissimo (2-3 minuti), ha costi ridottissimi ma un numero elevatissimo di fumatori trattati (dato che ogni medico dovrebbe somministrarlo a tutti i propri pazienti fumatori, il che significa raggiungere ogni giorno migliaia di fumatori e somministrare migliaia di terapie), e proprio questo fattore di moltiplicazione porta il numero assoluto di successi a valori importanti. Le terapie farmacologiche, combinate con il supporto motivazionale, sono coronate da successo in una percentuale che si aggira attorno al 30-40%. [G.I.]