Trombofilia

È la tendenza ereditaria e/o acquisita a sviluppare tromboembolismo venoso. L’attenzione che viene negli ultimi anni rivolta a tale condizione è legata sia al tentativo di svelare precocemente alcune anomalie della coagulazione in senso pro-trombotico, presenti geneticamente e che possono rivelarsi in presenza di situazioni o abitudini di vita favorenti oppure in seguito all’assunzione di […]



È la tendenza ereditaria e/o acquisita a sviluppare tromboembolismo venoso.

L’attenzione che viene negli ultimi anni rivolta a tale condizione è legata sia al tentativo di svelare precocemente alcune anomalie della coagulazione in senso pro-trombotico, presenti geneticamente e che possono rivelarsi in presenza di situazioni o abitudini di vita favorenti oppure in seguito all’assunzione di farmaci (trombofilia ereditaria) sia all’evidenza che molte condizioni intercorrenti (obesità, fumo, trattamenti ormonali, neoplasie) possono favorire uno stato di maggior coagulabilità del sangue (trombofilia acquisita o di altri fattori elencati nella tabella a fianco).

Esempio classico di valutazione nella donna dello stato trombofilico è la prescrizione di esami di laboratorio in occasione di un trattamento con estroprogestinici (EP): in tale evenienza si procede allora ad accertare lo stato di alcuni elementi rilevanti per il loro ruolo nella cascata coagulativa quali la proteina S (PS), la proteina C (PC) e la aPCR resistenza alla proteina C attivata).


Trombofilie ereditarie

Le condizioni trombofiliche ereditarie riconoscono una trasmissione genetica di tipo autosomico dominante e si caratterizzano clinicamente per l’insorgenza di episodi trombotici prevalentemente venosi, più frequenti al di sotto dei 40-45 anni, spesso ricorrenti e associati alla presenza di una storia familiare di trombosi.

La penetranza (espressione o non-espressione di un fenotipo, è massima quando il fenotipo si esprime ogni volta che è presente il corrispondente genotipo) di queste condizioni può però essere, a seconda dei casi, molto diversa e risulta per esempio del 60-70% per il deficit di Antitrombina III (ATIII) e solo dell’8-10% nei soggetti portatori della mutazione FVL (fattore V di Leiden); tale valore cresce però notevolmente in questi soggetti se assumono contemporanemente estroprogestinici.

I possibili meccanismi di trombofilia ereditaria sono riconducibili a perdita della capacità di inibizione della coagulazione (come accade nei casi di alterata funzionalità di ATIII, PC o PS), ad aumento di funzione (come nella mutazione del gene della protrombina G 20210) o ad altri meccanismi riferibili alla funzione endoteliale o all’iperomocisteinemia (Hcy).

La causa ereditaria più comune di tendenza trombotica (riscontrata dal 2 al 7% della popolazione) è l’aPCR, dovuta per circa il 90% alla mutazione del gene del FVL.


Sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi (APA)/anticoagulanti di tipo lupico (LAC)

Gli APA sono anticorpi che compaiono isolatamente, in assenza di ogni altra condizione morbosa (sindrome primaria), oppure (forma secondaria) nel corso di malattie autoimmuni, mielo/linfoproliferative, neoplastiche, virali, nell’epatite cronica attiva o con l’assunzione di determinati farmaci (idralazina, clorpromazina).

Il riscontro occasionale di APA/LAC in soggetti per altro normali (specie se in giovane età), senza storia di trombosi né piastrinopenia, non è sufficiente a evocare il rischio trombotico.

Iperomocisteinemia (Hcy)

È presente nel 5-10% della popolazione complessiva. Un aumento dell’omocisteina (di base o dopo carico con metionina) è comunemente provocato dalla concomitante presenza di alterazioni ereditarie (deficit enzimatico) e acquisite: particolari abitudini di vita (dieta ricca di proteine, consumo di alcolici e caffeina, fumo), assunzione di determinati farmaci (methotrexate, antiepilettici, ciclosporine, corticosteroidi ecc.), altre patologie in atto (per esempio malattie renali, tumori e ipotiroidismo) possono indurre una condizione di iperomocisteinemia anche in assenza di alterazioni genetiche. Il meccanismo per cui le trombosi (prevalentemente arteriose) si associano a iperomocisteinemia non è ancora completamente chiarito, anche se sembra avere a che fare con una disfunzione endoteliale.


Trombofilie acquisite

Il 33% dei pazienti che sviluppa tromboembolia nervosa (TEV) ha un fattore di rischio acquisito: tra questi, assume particolare rilevanza l’obesità in quanto favorisce la trombofilia sia per azione diretta (mediante l’accentuata aggregazione piastrinica e l’ipercoagulabilità) sia a seguito di fattori predisponenti (minore attività fisica, ridotta motilità in seguito ad alterazioni degenerative delle ginocchia o all’abitudine di stazionare per lunghi periodi a letto o in poltrona, insufficienza respiratoria frequente, e all’origine di policitemia, disfunzione endoteliale e ridotta velocità di flusso).

Nelle donne, per esempio, il rischio di sviluppare la patologia raddoppia se il valore dell’indice di massa corporea (BMI) è superiore a 30, con un ulteriore aumento proporzionale al numero di sigarette fumate. Inoltre, nelle donne obese, una terapia ormonale può fare aumentare il rischio di 10 volte. L’obesità grave è un fattore di esclusione dalle grandi rilevazioni statistiche: nei soggetti che ne sono affetti, quindi, la reale incidenza della tromboembolia venosa non è nota, non vi sono dati sufficienti sull’efficacia dei diversi protocolli di profilassi e non sono disponibili linee guida ma solo suggerimenti.

La situazione non cambia se si prendono in esame donne in sovrappeso (indice di BMI da 25 a 30 o superiore a 30) che avevano manifestato una TVP mentre erano in trattamento ormonale sostitutivo (HRT): le trombosi erano più frequenti nelle donne in HRT e inoltre in modo direttamente proporzionale al BMI.

Nel paziente obeso andrebbe quindi considerata, sia nella chirurgia sia in caso di degenze a letto, una profilassi basata sull’impiego combinato di mezzi fisici (calze elastiche graduate, compressione pneumatica intermittente) e di eparine a basso peso molecolare (EEBPM), queste ultime a dosaggio (non esistono linee guida in proposito) prudenzialmente superiore di circa il 25% rispetto a quello previsto per il normopeso.


Linee guida per l’esecuzione dei test per la diagnosi di trombofilia

Le condizioni in cui è opportuno effettuare dei test per la trombofilia sono elencate nella pagina a fianco (l’elenco dei test che dovrebbero essere eseguiti è invece riportato a pag.36, ma la lista ha solo valore indicativo in quanto la decisione di procedere o no all’esecuzione di tali indagini deve essere influenzata dalla valutazione che il medico fa dell’utilità relativa dei risultati per il paziente.

È necessario tenere presente che, a differenza dei test genetici, i test funzionali per alterazioni trombofiliche risultano spesso alterati in modo aspecifico nelle seguenti condizioni:

L’opportunità di eseguire accertamenti per trombofilia nelle condizioni suddette va valutata caso per caso; si consiglia comunque di eseguire lo screening per trombofilia a distanza di almeno 3 mesi da un evento tromboembolico venoso acuto, dopo la sospensione (da almeno 15-20 giorni) del trattamento anticoagulante e dopo almeno 2 mesi dalla sospensione degli estroprogestinici.


Viaggi in aereo

Nei viaggi a lunga distanza (per esempio un volo aereo che duri più di 6 ore) le persone a rischio di tromboembolia venosa devono evitare di indossare abiti stretti in vita o agli arti inferiori, la disidratazione e le tensioni muscolari derivanti dallo stare a lungo fermi nella stessa posizione. Si consiglia in questo caso l’elastocompressione con gambaletto (15-30 mmHg) o una singola dose profilattica di EBPM prima della partenza; non è raccomandato l’uso dell’aspirina. Nelle gravide con deficit di ATIII o con eterozigosi combinata per mutazione protrombina e FVL od omozigosi per una di queste, con storia personale di TEV, sono suggerite dosi intermedie di EBPM per profilassi attiva.


Neoplasie

Nei pazienti affetti da neoplasia (quindi con rischio aumentato) sono consigliabili misure di profilassi come la somministrazione di EBPM a basse dosi o l’utilizzo di mezzi fisici di prevenzione, se tali soggetti sono allettati per qualsiasi motivo o sottoposti a procedure chirurgiche; la profilassi con basse dosi di EBPM è inoltre raccomandata in pazienti con scompenso cardiaco, processi broncopneumonici o con fattori di rischio aggiuntivi; dosi più elevate di EBPM sono infine consigliate se sopravvengono delle affezioni acute. [A.F.]