Sindrome metabolica

L’espressione sindrome metabolica o più precisamente sindrome plurimetabolica fu usata per la prima volta in Italia a metà degli anni sessanta del Novecento dai professori Avogaro e Crepaldi per descrivere in alcuni pazienti la contemporanea presenza di un aumento dei grassi nel sangue (iperlipidemia, sinonimo in questo caso di aumento dei trigliceridi), di obesità e […]



L’espressione sindrome metabolica o più precisamente sindrome plurimetabolica fu usata per la prima volta in Italia a metà degli anni sessanta del Novecento dai professori Avogaro e Crepaldi per descrivere in alcuni pazienti la contemporanea presenza di un aumento dei grassi nel sangue (iperlipidemia, sinonimo in questo caso di aumento dei trigliceridi), di obesità e di diabete, ai quali si associava aumento della pressione arteriosa e, meno frequentemente, la cardiopatia ischemica.


Perché interessarsi di sindrome metabolica

L’interesse verso questa sindrome è motivato da due ordini di fattori.

Il primo è la sua frequenza, che è particolarmente alta nelle popolazioni evolute del mondo occidentale e che è facile prevedere sia destinata ad aumentare in modo esponenziale nei prossimi anni, a causa di una serie di abitudini di vita che ne favoriscono la comparsa anche in soggetti di giovane età.

Il secondo motivo di interesse sta nel fatto che questa sindrome comporta un aumento del rischio di andare incontro a diabete e a malattie cardiocircolatorie, per cui la sua prevenzione diviene essenziale se si intende combattere questo tipo di malattie.

In anni recenti si sono sviluppate numerose discussioni circa la definizione più appropriata per questa sindrome e si è visto come organismi scientifici diversi di volta in volta abbiano proposto criteri leggermente differenti per definire le alterazioni che rientrano in questa sindrome. I criteri oggi maggiormente seguiti sono quelli della American Heart Association.

Le caratteristiche fondamentali di questa sindrome sono essenzialmente quattro: il diabete, l’obesità, l’ipertensione e le alterazioni dei grassi (lipidi) del sangue. La causa comune a tutte queste alterazioni si ritiene essere la resistenza che l’organismo oppone all’azione dell’insulina, un ormone che nel soggetto normale produce diversi effetti, tra cui i più significativi sono la riduzione della produzione di glucosio da parte del fegato e del rene e la facilitazione dell’utilizzo del glucosio stesso da parte dei tessuti insulino-sensibili, come il muscolo e il tessuto adiposo.

Caratteristiche genetiche, associate all’aumento di peso, fanno sì che nei pazienti con sindrome metabolica l’insulina non riesca più a svolgere normalmente queste funzioni, con progressivo peggioramento della situazione nel tempo.


Insulina e sindrome metabolica

Per sopperire alla riduzione dell’attività dell’insulina, il pancreas ne produce progressivamente di più, con conseguente aumento della sua concentrazione nel sangue (condizione di iperinsulinemia); poi nel tempo, tuttavia, il pancreas non riesce più a controllare la glicemia, la quale finisce per aumentare esponenzialmente, fino a provocare una condizione di vero e proprio diabete di tipo 2 (noto come il diabete dell’età matura). Prima di giungere allo stadio di diabete vero e proprio si possono rilevare glicemie elevate a digiuno (alterate, ma non ancora indicative di diabete) o dopo un carico orale di glucosio (condizione denominata di “alterata tolleranza al glucosio”).

L’insulina, tra le sue azioni, produce anche l’aumento del deposito degli acidi grassi nel tessuto adiposo e l’inibizione della liberazione degli stessi acidi grassi da parte del tessuto adiposo. In presenza di insulino-resistenza, queste due azioni vengono meno e si verifica una maggiore liberazione di acidi grassi da parte del tessuto adiposo, in particolare di quello addominale, che accentuano la condizione di insulino-resistenza. Il tessuto adiposo diviene in tal modo un importante fattore favorente dell’insulino-resistenza e, come diremo tra poco, anche delle alterazioni dei grassi tipiche della sindrome metabolica. Le ricerche hanno dimostrato che il sovrappeso e l’obesità sono strettamente correlati con l’insulino-resistenza così che queste due caratteristiche sembrano essere indissolubilmente legate tra loro: l’alterazione del metabolismo degli acidi grassi appena descritta contribuisce a chiarire i motivi fisiopatologici di tali legami.

Anche l’ipertensione appare essere collegata con l’insulino-resistenza attraverso meccanismi multipli che coinvolgono sia i vasi arteriosi, sia il rene, sia il sistema nervoso simpatico. Nei pazienti con sindrome metabolica l’elevata pressione arteriosa costituisce comunque un importante fattore di rischio di malattie cardiovascolari.

Tra le caratteristiche della sindrome metabolica rientrano poi due alterazioni lipidiche particolari, e cioè l’aumento dei trigliceridi e la riduzione del colesterolo delle HDL (il cosiddetto “colesterolo buono”). In presenza di queste alterazioni dei lipidi plasmatici si verificano anche delle significative modificazioni delle LDL, le lipoproteine che trasportano la maggior parte del colesterolo del plasma e che sono quelle più importanti nel provocare l’aterosclerosi: queste diventano più piccole e più pesanti delle normali LDL e si fanno maggiormente tossiche per il rivestimento interno delle arterie (l’endotelio), favorendo la formazione delle placche aterosclerotiche.

Nei pazienti con sindrome metabolica si verificano varie altre anomalie quali l’aumento dell’acido urico, di alcuni fattori che favoriscono la coagulazione del sangue (come il fibrinogeno) e della viscosità del sangue; compaiono piccole quantità di albumina nelle urine (microalbuminuria) e aumenta il contenuto di grasso nel fegato (steatosi epatica); possono infine comparire apnee nel sonno.

Ancora, nei pazienti con sindrome metabolica si registra l’aumento di alcune sostanze espressione di fenomeni infiammatori, correlato con l’aumento del tessuto adiposo, in particolare di quello addominale. A queste alterazioni si associa la riduzione di un fattore (adiponectina) prodotto normalmente dal tessuto adiposo e che ha un effetto insulino-sensibilizzante e antinfiammatorio.


Una vera epidemia?

Si è detto della notevole frequenza nelle popolazioni occidentali della sindrome metabolica e del fatto che nei prossimi decenni è prevista una sua ulteriore importante diffusione. Tali previsioni si basano sul fatto che il sovrappeso e l’obesità si stanno facendo sempre più frequenti e, secondo qualche autore, negli ultimi anni la loro diffusione è stata tale da far pensare a una “epidemia”: certamente le mutate abitudini di vita (minore attività fisica e cambiamento delle abitudini alimentari con aumento delle calorie introdotte giornalmente) negli ultimi decenni hanno fortemente contribuito all’accumulo di tessuto adiposo tra le popolazioni evolute. Questo problema diviene oggi particolarmente serio, dal momento che anche in età pediatrica si riscontrano i segni di un incremento della frequenza del sovrappeso e dell’obesità, talora con alcune delle caratteristiche della sindrome metabolica. Nel valutare la frequenza di questa sindrome occorre tenere conto che le singole caratteristiche che la compongono aumentano di frequenza con l’età, così che anche la sindrome metabolica aumenta progressivamente con l’aumentare dell’età: si tratta quindi di una forma morbosa tipica della maturità. Attualmente, si stima che nella popolazione italiana di età adulta questa sindrome sia presente nel 15-24% degli uomini e nel 18-27% delle donne.


Quali sono i pericoli della sindrome metabolica?

Nei soggetti con sindrome metabolica la probabilità di andare incontro a diabete conclamato è cinque volte più alta che nei soggetti senza la sindrome, mentre la probabilità di contrarre malattie cardiovascolari è di due volte maggiore. Il riconoscere e trattare questa sindrome (e i suoi fattori) costituisce quindi un mezzo importante per prevenire sia il diabete sia le malattie cardiovascolari. Si è discusso molto se l’aumentato rischio di malattie cardiovascolari di questi soggetti fosse da attribuire alla somma dei singoli rischi legati ai diversi fattori della sindrome metabolica o se vi fosse un maggiore effetto legato alla sindrome di per sé. La questione non appare avere ricevuto risposte chiare, anche se è certo che la presenza di più fattori di rischio vascolari comporta un effetto non semplicemente additivo sul rischio globale.


Cosa fare?Cambiamento dello stile di vita

La terapia nei pazienti con sindrome metabolica deve iniziare da una revisione delle abitudini di vita: non fumare, fare attività fisica e controllare il peso corporeo sono provvedimenti che concorrono a ridurre sia il rischio di malattie vascolari sia la progressione verso il diabete (tutti questi provvedimenti concorrono anche a migliorare l’insulino-resistenza).

La riduzione del peso corporeo e il mantenimento della perdita di peso (ottenibili con la riduzione delle calorie ingerite associata all’incremento dell’attività fisica) hanno come obiettivo a breve termine una riduzione del peso del 7-10 % del peso iniziale, in un periodo di 6-12 mesi. L’attività fisica consigliata comprende un esercizio di circa 30 minuti al giorno di intensità moderata, associato a comportamenti più attivi durante il tempo libero.


Farmaci solo in seconda istanza

Se questi fondamentali provvedimenti non sono sufficienti, o se vi sono gravi alterazioni, si ricorrerà alla terapia farmacologica dei singoli fattori compresi nella sindrome metabolica utilizzando farmaci che riducano i lipidi, la pressione arteriosa o la glicemia a seconda dei casi.

Nel caso della terapia farmacologica finalizzata a ridurre i grassi del sangue (terapia ipolipidemizzante) innanzitutto si mira a raggiungere valori ottimali del colesterolo LDL che va portato al di sotto dei 70-100 mg/dl.

Per la terapia dell’ipertensione arteriosa, la preferenza va data a farmaci che non abbiano effetti dannosi sui valori lipidici e sulla insulino-resistenza. Tra i farmaci in grado di ridurre gli elevati tassi di glucosio nel sangue (farmaci ipoglicemizzanti) sembra particolarmente utile la metformina che ha dimostrato non solo di migliorare l’insulino-resistenza, ma anche di prevenire il diabete nei soggetti a rischio. [E.M.]