Fegato grasso (steatosi epatica): perché il nuovo farmaco non basta

Sta per arrivare in Italia la prima e unica molecola specifica per combattere la steatosi epatica. Ma servirà a poco se non ci abituiamo a consumare meno grassi e zuccheri. Una regola fondamentale per la salute del nostro organo filtro



305436

La steatosi epatica (o fegato grasso) è una malattia silente, che non dà sintomi e viene in genere scoperta casualmente nel corso di accertamenti diagnostici prescritti per altre ragioni, come l’ecografia addominale. E anche quando lancia segnali, si tratta di disturbi modesti e aspecifici come tensione addominale, alito pesante, digestione lenta, difficoltà a smaltire le tossine (pelle spenta, ritenzione idrica, cellulite), grasso accumulato intorno al girovita nonché stanchezza cronica.

La steatosi epatica è una patologia molto diffusa nella società occidentale (colpisce il 30% della popolazione secondo l’AISF, Associazione Italiana per lo Studio del Fegato), comunemente definita “fegato grasso” perché il tessuto epatico appare infarcito di lipidi: negli epatociti, le sue cellule, si riscontra infatti un eccessivo accumulo di trigliceridi, pronti a minacciarne la funzionalità.

La novità? Sta per arrivare un farmaco specifico per la steatosi epatica non alcolica che, insieme alla correzione della dieta e dello stile di vita (due punti essenziali), promette di far “dimagrire” un fegato grosso e affaticato. Ne parliamo con il professor Luca Valenti, docente di medicina interna all’Università degli Studi di Milano-Ospedale Policlinico.


Professor Valenti, il fegato grasso interessa solo gli obesi?

«Niente affatto. Occorre distinguere tra due forme di steatosi epatica: quella alcolica, che riguarda i soggetti inclini a fare uso di bevande alcoliche, dal vino a tavola agli aperitivi fino al bicchierino di amaro o di superalcolico bevuto con la scusa che “fa digerire”, e la forma “non alcolica” che miete vittime anche tra gli astemi, perché legata alle cattive abitudini alimentari. È infatti tipica di chi segue una dieta ipercalorica sbilanciata a favore di cibi ultraprocessati, pieni di grassi e di zuccheri, e in più non si muove abbastanza.

Nel primo caso, la steatosi si manifesta anche in soggetti magrissimi, soprattutto ragazzi e ragazze che magari non toccano un triangolo di focaccia ma passano da uno spritz all’altro all’ora dell’aperitivo. Oppure bevono birre a gogò, senza pensare che anche una modesta quantità di alcol, ripetuta nel tempo, può portare a un danno cumulativo dal momento che si tratta pur sempre di una sostanza epatotossica. La steatosi epatica non alcolica, invece, è peculiare dei soggetti obesi, in forte sovrappeso o affetti da diabete, ma oggigiorno si riscontra anche nei “normopeso” che però mangiano male e conducono una vita sedentaria».


Per “far dimagrire” il nostro fegato bisogna ridurre i grassi?

«Sì ma non solo. È innegabile che consumare troppa carne rossa, insaccati (prosciutto, salame, salsicce, mortadella, speck e wurstel), formaggi a pasta filante e alimenti ricchi di burro e di strutto, come l’insospettabile piadina, determini sia un aumento di colesterolo e di trigliceridi nel sangue sia un maggiore spessore del grasso viscerale, il più pericoloso. Oggi però sappiamo che non bisogna puntare l’indice solo sui grassi animali, perché gli zuccheri assunti in eccesso sono altrettanto responsabili.

Gli elevati livelli di insulina, conseguenti al carico glicemico, stimolano infatti alcuni enzimi che innescano la produzione endogena di trigliceridi, colesterolo e altri grassi pro-infiammatori da parte del fegato. Stimolato dagli zuccheri, il nostro “laboratorio chimico” lavora di più e produce esso stesso una maggiore quantità di lipidi, non sempre evidenziabili dagli esami del sangue. A volte, infatti, i valori relativi a colesterolo e trigliceridi sono solo leggermente alti, ma possono anche essere nella norma. Però l’ecografia addome completo, che non mente mai, rivela già un quadro di steatosi epatica lieve o moderata: gli epatociti, divenuti ipertrofici, segnalano un anomalo accumulo di trigliceridi al loro interno.

Prima di puntare sui nuovi farmaci, visti come la scorciatoia che deresponsabilizza e indicati solo nei casi più severi, occorre mettersi a dieta, perdere i chili di troppo tagliando sia i grassi di origine animale sia gli zuccheri semplici, quali glucosio, fruttosio e saccarosio, legati a triplo filo a tutti i dolciumi industriali come snack, merendine, biscotti, panettoni, caramelle, dessert pronti, cioccolato e creme spalmabili, alla nocciola o al pistacchio.

Il fruttosio, in particolare, è nemico del fegato perché viene metabolizzato in modo analogo all’alcol, causando alla lunga le stesse problematiche. Il nostro organismo, infatti, è programmato per sopportare il carico di fruttosio di uno o due frutti al giorno (consumati preferibilmente lontano dai pasti) o di un cucchiaino di miele, ma non è pronto a smaltirne le megaquantità dovute al suo uso come dolcificante industriale, dagli yogurt ai soft-drink passando per i dolci vari».


Il nuovo farmaco: qual è la sua efficacia e sicurezza?

«Premesso che non è possibile ridurre la quota di grasso “nascosto” senza modificare le proprie abitudini alimentari e incrementare l’attività fisica, lo specialista potrà a breve prescrivere un molecola farmacologica specifica per la steatosi epatica non alcolica, già approvata dalla FDA e in uso negli Usa mentre è in corso l’iter di approvazione da parte dell’Ema, l’Agenzia Europea del Farmaco. Questa molecola si chiama resmetirom ed è tecnicamente un agonista del recettore beta degli ormoni tiroidei.

In pratica, mimando gli effetti degli ormoni secreti dalla tiroide, a livello del fegato si dà una spinta al metabolismo lipidico e, di riflesso, si riduce l’accumulo di trigliceridi negli epatociti. La sua efficacia è stata testata su centinaia di pazienti e i risultati, pubblicati nel 2024 sul New England Journal of Medicine, dimostrano che l’assunzione di 80 o 100 mg al giorno (in base al peso) è in grado di migliorare l’infiammazione e la fibrosi epatica, evitando che evolva in cirrosi.

Oltretutto si tratta di un farmaco ben tollerato che solo in una piccola percentuale di casi può provocare nausea e diarrea, e in più riduce i livello di colesterolo e trigliceridi nel sangue.

In attesa del suo lancio in Italia, lo specialista può comunque prescrivere alle persone con fegato grasso, diabete e/o obesità un altro medicinale che svolge più azioni: abbassa la glicemia, aiuta a perdere peso e migliora il profilo cardiometabolico, contribuendo a ridurre il grasso fuori e dentro il fegato. Mi riferisco alla semaglutide, farmaco inizialmente impiegato soltanto per la cura del diabete di tipo 2 ma il cui campo di applicazione si è allargato».


Quali rimedi fitoterapici possono venirci in auto?

«Benché l’offerta on line pulluli di integratori alimentari che promettono di depurare il fegato, va precisato che vi sono scarse evidenze scientifiche sulla loro reale efficacia. In linea generale possono supportare la salute del fegato, e il tentativo di “ripulirlo” da scorie e lipidi in eccesso, tutte le piante medicinali colagoghe e coleretiche come il carciofo, il boldo, il tarassaco, il cardo mariano, il rabarbaro e altre erbe dalla funzione epatoprotettrice, anche se blanda.

Tra gli attivi vegetali il più accreditato è la silimarina, una sostanza estratta dal cardo mariano appartenente alla famiglia dei flavonolignani: una recente meta-analisi di tutti gli studi a riguardo pubblicata dalla Cochrane Library conferma la sua capacità di abbassare gli enzimi epatici e la componente fibroadiposa del fegato.

Possono essere utili, per ridurre il rischio di incidenti cardiovascolari, anche gli integratori tesi ad abbassare la quota di colesterolo LDL, quello “cattivo” che si deposita nelle pareti delle arterie. In farmacia ne esistono diversi a base di monacolina K, una molecola che si ottiene dalla fermentazione del riso rosso e che vanta una naturale azione anticolesterolo.

Per abbassare i trigliceridi, invece, è indicato assumere gli Omega-3, acidi grassi polinsaturi preziosi per tenerli sotto controllo, oltre a svolgere azione antinfiammatoria contrastando sia i radicali liberi sia l’ossidazione lipidica. Insomma, oggi abbiamo tante armi a disposizione. L’importante è capire che la salute è nelle nostre mani: correggere lo stile di vita, perdere i chili di troppo, muoversi, rinunciare a fritti, dolciumi e alcolici, assumere qualche fitoterapico che abbia dimostrato avere un tropismo sul fegato...

Tutti buoni propositi che aiutano il nostro “filtro” a rimuovere le endotossine e ad autorigenerarsi. Un messaggio importante da dare perché, tra tutti i visceri, il fegato è quello che ha una capacità di rigenerazione maggiore. Molto più dei reni, dei polmoni, della pelle e degli altri organi emuntori. Dipende da noi se continuare ad avere un fegato striato di grasso o rimettersi al timone della propria vita».


Fegato grasso, quali esami bisogna fare

Ecografia addome

Consigliata a tutte le persone in sovrappeso o affette da ipertensione e dislipidemia, ma ancora di più a quelle che soffrono di obesità, diabete e alterazione degli enzimi epatici (transaminasi e GGT): l’ecografia addome completo è necessaria per testare la salute del fegato. Può mostrare un fegato più o meno ingrossato di dimensioni e iperriflettente perché l’infiltrazione di grasso, che è leggermente traslucido, lo rende più brillante del normale. Il referto ecografico indica anche il grado di steatosi epatica: di primo grado significa lieve, di secondo grado moderata, di terzo grado severa.

Fibroscan

Nei casi a rischio di malattia epatica importante (emersi anche dagli esami del sangue, in particolare dal calcolo della probabilità di fibrosi) occorre eseguire un secondo esame, che non sempre viene prescritto dal medico ma è fondamentale per una diagnosi precisa: il Fibroscan, o elastosonografia epatica. Anche in questo caso si posiziona sul lato destro dell’addome, in corrispondenza del fegato, una sonda a ultrasuoni diversa da quella ecografica, che genera una sequenza di impulsi definiti onde elastiche (ovvero tanti piccoli colpetti che attraversano il tessuto epatico per sondarne il grado di elasticità).

Più questo è rigido e fibrotico, più ci troviamo di fronte a uno stadio avanzato della malattia, che necessita un trattamento immediato per evitare che la steatosi progredisca verso la cirrosi epatica, che a sua volta può degenerare in un tumore primitivo del fegato (epatocarcinoma) o in un quadro di insufficienza epatica tale da richiedere anche il trapianto d’organo.


Fai la tua domanda ai nostri esperti

Leggi anche

3 ricette detox con i carciofi, amici del fegato e della linea

Fegato e reni: 4 esercizi di zen stretching

Malattie del fegato, un nuovo farmaco per la colestasi intraepatica familiare