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Covid-19: in aumento reflusso e bruciori di stomaco

Complici lo stress, la dieta sbagliata e l’uso improprio dei farmaci, reflusso esofageo e bruciori di stomaco sono in aumento. Dal commercio, inoltre, è stato ritirato un medicinale specifico per questi disturbi. Come gestire le gastriti in tempi di Covid

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In questo periodo da emergenza Covid 19 i pazienti che si sono rivolti al gastroenterologo per dolori retrosternali, bruciore di stomaco, risvegli in piena notte con tosse e mal di gola sono aumentati del 15%. In sintesi, per i sintomi classici del cosiddetto reflusso gastroesofageo, che i tecnici chiamano, nel caso in cui i comuni antiacidi non bastino più, malattia da reflusso. Un fenomeno dai numeri importanti e in crescita, che vede come responsabile indiretto il Covid 19 e, soprattutto, il periodo del fermo in casa in quarantena.


Quando la gastrite dipende dall'isolamento

Ma cosa c’entra la iperproduzione di acido cloridrico nello stomaco e la sua risalita nell’esofago (ecco il dolore) con il virus pandemico? «Il Sars CoV 2 produce reflusso in modo diretto solo nell’1% dei casi ma, in modo indiretto, colpisce anche chi non ha contratto l’infezione», spiega Marco Dal Fante, gastroenterologo e responsabile del Servizio di endoscopia e gastroenterologia di Humanitas San Pio X. «Se analizziamo infatti i comportamenti delle persone “recluse” per mesi in lockdown, vediamo che questa situazione anomala ha portato innanzitutto un aumento dello stress, ma anche una rivoluzione in negativo nell’alimentazione e una maggiore sedentarietà, tutti fattori che determinano l’aumento di gastriti».


Perché lo stress aumenta l’acidità

Diversi studi, asiatici ed europei, condotti sull’impatto del lockdown a livello di equilibrio mentale, hanno dimostrato l’innescarsi, in quei mesi, di una spirale di ansietà, senso di solitudine, insonnia. Secondo uno studio del dipartimento di psicologia dell’Università Reale Juan Carlos di Madrid, condotto su 1310 individui dai 18 agli 88 anni, le persone che hanno subito lo stress maggiore sono le donne single fra i 18 e i 44 anni.

«Insomma, un crescendo emotivo negativo che ha prodotto tanta tensione, e noi gastroenterologi vediamo in ospedale esattamente i pazienti descritti dallo studio spagnolo, ma sappiamo anche, da prima dell’era Covid, che lo stress è direttamente correlato alla produzione di acido cloridrico, fino a provocare l’ulcera», commenta Dal Fante. «Non solo: lo stress diminuisce anche la produzione di muco e prostaglandine, che sono fattori protettivi intragastrici. Dunque, questo bruciore di stomaco è dominato dal cervello che, con i suoi impulsi nervosi, può interferire anche negativamente sugli equilibri di tutto l’apparato digerente».


Colpa dell'alimentazione disordinata

Grande impatto sulla salute gastrointestinale dell’era Covid lo ha avuta anche la corsa ad accaparrarsi generi di prima necessità in quantità superiori al fabbisogno reale. Lievito, pasta, persino gli alcolici sono stati acquistati e consumati in quantità maggiori per più di due mesi, rivoluzionando il normale regime alimentare.

«Quello che vediamo negli ospedali sono due situazioni diametralmente opposte: le persone o hanno perso o aumentano di netto il loro peso, sempre per ansia e stress: a certi pazienti si “chiudeva” lo stomaco per la paura altri raddoppiavano il consumo di carboidrati. In più si è aggiunto lo smartworking: niente pausa pranzo, ma un continuo mangiucchiare per tutta la giornata snack e altro.

Alcol, cioccolata e caffè sono fra le abitudini proibite per chi ha il reflusso. «Occhio soprattutto alla birra, erroneamente stimata come alcol “minore” (ha in genere gradazioni contenute), ma che di solito viene consumata in quantità tali da dare fastidio allo stomaco, dove sviluppa molta aria», avverte il nostro gastroenterologo. Attenzione anche alle bevande gassate e che contengono menta.


Perché chi si ammala di Covid può avere disturbi gastroentestinali

Che il Coronavirus avesse un legame con intestino e dintorni è stato fra i primi sospetti dei medici, visto che in diversi casi si era annunciato con sintomi quali diarrea e nausea, facendolo scambiare per infezione gastrointestinale. «Ormai sappiamo che si tratta di un virus prevalentemente respiratorio: agisce sul polmone attaccandosi a dei recettori che si chiamano Ace2» spiega Marco Dal Fante.

«Queste antenne riceventi sono molto diffuse nei polmoni, ma anche nell’apparato gastrointestinale. Ecco perché il 50% di chi si ammala per Covid 19 può avere anche disturbi gastrointestinali: non a caso, il virus è eliminato dalle feci.

Per quanto riguarda il reflusso invece, è l’acido cloridrico a essere più protagonista. Si tratta di un acido prodotto nello stomaco da parte di alcune cellule che ricevono un segnale ormonale per avviarne il rilascio».


Gastrite e Covid: che cosa fare

Che cosa devono fare queste persone alle prese con le “gastriti da lockdown”? «Sottoporsi a una visita medica visita, anche per un check dei farmaci da utilizzare», spiega Dal Fante. «Spesso gli antiacidi da banco non bastano più, e bisogna passare agli inibitori di pompa protonica. Ma anche questi possono risultare non abbastanza efficaci, perché il tipo di medicinale non è giusto o è usato male.

Gli errori più comuni? Spezzare la pastiglia per prendere metà dose: in questo caso, essendo questi farmaci a rilascio modificato, non riescono ad arrivare indenni 40 cm dopo il duodeno, perdendo efficacia. Ciò può succedere anche con certi generici, che non hanno sempre un guscio protettivo adatto a superare il duodeno: in questi casi il medico cambia marca. Infine, occorre sempre prendere il medicinale a stomaco vuoto, mezz’ora prima della colazione, non di sera».


Il ritiro dal commercio della ranitidina

A complicare la situazione si è aggiunto il ritiro dal commercio della ranitidina da parte della Fda, l’Autorità di vigilanza sui farmaci Usa (disposizione operativa anche in Italia) per il rischio cancerogeno, mediato da una sostanza che si chiama nitrosodimetilamina, i cui livelli ematici risulterebbero troppo elevati.

«La ranitidina è un inibitore della produzione di acido cloridrico che si usa da anni, e blocca i recettori che le cellule usano per produrre gli acidi», spiega il dottor Marco Dal Fante. «Nata anni fa, era stata quasi abbandonata come cura quando avevano fatto il loro ingresso sul mercato gli inibitori di pompa protonica, farmaci più potenti perché non si limitano a bloccare i recettori delle cellule, ma hanno un’azione intracellulare. In questo caso la cellula riceve il segnale di produrre acido, ma quando lo trasmette all’interno della cellula alla “fabbrica” che deve produrlo, questa fabbrica viene spenta.

La maggiore potenza dei nuovi farmaci rispetto alla ranitidina ha permesso dosaggi minori (in genere 40 mg contro 150- 300 mg), e anche minori effetti collaterali. La ranitidina era però tornata in auge per tutte quelle persone intolleranti agli altri farmaci (con effetti collaterali rari quali l’osteoporosi, i polipi gastrici di tipo cistico, eruzioni cutanee, orticaria e allergie). Una fetta di pazienti piccola che, dopo il ritiro, si è però trovata completamente disarmata: ecco perché si è tornati indietro di 30 anni circa riesumando un farmaco che si chiama famotidina, che era quasi uscito dalla produzione. Si tratta di un medicinale simile a quest’ultima, sul quale però non ci sono state segnalazioni della farmacovigilanza». Chi usava la ranitidina oggi deve quindi chiedere al medico e allo specialista se può usufruire di questa alternativa.


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Articolo pubblicato sul n. 22 di Starbene in edicola a ottobre 2020



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