Tumore al seno metastatico: come si sentono le donne

Dalle testimonianze delle pazienti, è nata la prima guida che spiega cosa sentono le donne con un tumore al seno avanzato, circa 37 mila in Italia



A volte, la vita toglie il tappeto da sotto i piedi e ci fa lo sgambetto. E dopo essere cadute, mentre siamo doloranti, spaventate e bisognose di una mano tesa, la cosa peggiore è sentirsi dire: “Sei forte, ti rialzerai” o “Sei una combattente, questo inciampo non è nulla”. È quello che accade alle donne con un tumore al seno metastatico, 37 mila solo in Italia, che vengono spesso etichettate come guerriere, scordando che il dolore è dolore. Non c’è chi lo sopporta di più. Non c’è chi lo vive con meno peso sul cuore. Si soffre, punto. Da questa osservazione è nata “Note di Vita”, la prima guida che vuole aiutare a capire in profondità gli stati d’animo, i pensieri e le emozioni delle donne che convivono con questa diagnosi. Nato dalla campagna “È Tempo di Vita”, promossa da Novartis Italia in collaborazione con Salute Donna Onlus, questo vademecum (qui sotto i 10 punti) si ispira ai pensieri e alle esperienze delle pazienti per spiegare come ci si sente quando arriva la diagnosi, quali parole e quali gesti sono di aiuto, quali invece non portano alcun beneficio.


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Lotta alla solitudine

«In passato, le donne con tumore metastatico venivano lasciate sole, private di ogni speranza, come se la diagnosi coincidesse con una sentenza di morte», commenta Anna Maria Mancuso, presidente di Salute Donna Onlus. «Da qualche anno, invece, anche per la malattia avanzata esistono terapie curative, il cui obiettivo è prolungare il più possibile la vita delle pazienti, migliorarne la qualità, minimizzare gli eventuali sintomi e trasformare queste forme così aggressive in una patologia cronica, da controllare per un lungo periodo di tempo. È stata la ricerca scientifica a cambiare la storia delle donne metastatiche, ma adesso tocca a noi fare un passo in più».

La stessa campagna di Salute Donna Onlus si è trasformata dall’iniziale “Tutta la vita che c’è” all’attuale “È Tempo di Vita”, un cambio di dicitura che dimostra proprio il nuovo sguardo verso il futuro: «Dopo la diagnosi bisogna tornare a vivere, amare, progettare, lavorare, relazionarsi con gli altri, per cui è fondamentale curare anche l’anima, anch’essa ferita».


Non chiamiamole guerriere

Quando si riceve una diagnosi difficile come quella di carcinoma mammario metastatico, la mente – sempre abile a eludere il pensiero della nostra natura mortale – inizia a percepire la “fine” come una prospettiva concreta e niente appare più come prima.

«In quel momento, ricevere da famigliari e amici l’etichetta di combattente non rappresenta un incoraggiamento. Innanzitutto perché sminuisce il dolore provato a ogni controllo, a ogni Tac, a ogni colloquio con il medico. E poi perché carica la donna di un ulteriore peso emotivo, come se bisognasse essere forti a ogni costo, come se provare rabbia o tristezza non fosse giusto, come se un eventuale peggioramento della malattia fosse una colpa, come se affrontare un tumore fosse una questione di eroismo», sottolinea Mancuso.


Rivalutiamo il tempo

Grazie ai progressi della scienza, oggi una donna con tumore metastatico può guardare al futuro e riappropriarsi del concetto del tempo: «Spesso nella vita corriamo come se ci trovassimo su un tapis roulant, che scorre sotto i nostri piedi senza portarci verso una meta precisa. La malattia costringe a fare una sosta forzata, a rivedere le priorità e a restituire il giusto valore al tempo, che va riempito con tutto ciò che fa stare bene, selezionando gli impegni e le persone», precisa la presidente Mancuso.

«Tra l’altro, il tempo rappresenta anche una cura: più aumenta, più fa crescere la speranza. Quindi non sprechiamolo fingendo che vada tutto bene: esprimiamo quello che abbiamo dentro, condividiamo il nostro peso con gli altri, non creiamo “silenzi sospesi” pensando di proteggere le persone che amiamo». Al contrario, la vicinanza dei propri cari è fondamentale per affrontare il percorso terapeutico: può essere un amico, un famigliare, qualcuno che aiuti a vivere bene il presente, in maniera più intensa rispetto a prima e quindi senza finzione.


Non ci sono regole universali

Lo psichiatra Milton Erickson diceva che “in un giardino puoi scegliere se guardare i fiori oppure le erbacce”. Ecco, in qualsiasi occasione spetta a noi decidere su cosa concentrarci: «Ancora di più nella malattia non esiste un modo giusto per accettarla: non ci sono regole adatte per tutti, ognuno deve concentrarsi sul proprio mondo interiore e maturare il corretto grado di consapevolezza grazie agli strumenti giusti, attraverso i canali di informazione e il supporto degli specialisti capaci di rispondere a qualsiasi domanda», suggerisce Anna Maria Mancuso.


Non cambiamo atteggiamento

Una donna con tumore avanzato non è la sua malattia, ma una persona viva, a cui va riconosciuta un’identità complessa e sfaccettata: «La cosa peggiore è essere guardata con pietà, essere trattata diversamente rispetto a prima, non sentirsi mai chiedere “come stai?” ma restare avvolta in un silenzio carico di imbarazzo e compassione», ammette Mancuso.

Per questo, può essere utile aderire alle associazioni di pazienti, perché il confronto con chi vive la stessa situazione può aiutare a gestire più serenamente il proprio percorso: «È un modo per condividere emozioni e stati d’animo senza il timore del giudizio e senza la paura di non essere capiti dagli altri, che nel frattempo non devono cambiare atteggiamento. Si è sempre quelle di prima, solo con un’esperienza in più».


Non smettiamo di meravigliarci

La malattia non deve togliere la voglia di fare, scoprire, imparare, progettare. Non deve rappresentare un tabù neppure l’intimità, che mette in contatto con il proprio corpo cambiato eppure va affrontata con serenità, trovando la forza di chiedere e ricevere aiuto.

«Ricevere una diagnosi di tumore non deve interrompere la vita di prima. Avvalendosi della consulenza di uno specialista, se necessario, bisogna mettersi nelle condizioni di continuare a essere la donna di prima», conclude Mancuso. «Questo significa continuare a guardare il mondo con meraviglia e stupore: la straordinaria architettura dei fiocchi di neve, il rosso intenso delle foglie autunnali, un tramonto sul mare. Tutto fa pensare alla presenza di una mente superiore, a una perfezione che va oltre la nostra stessa comprensione. Anche noi ne facciamo parte e, pertanto, nessuna malattia può renderci meno perfette».


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