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La telemedicina ci proteggerà dalle epidemie come il Coronavirus

Ha salvato la vita di un astronauta in orbita, ci difende a distanza dall’infarto e ora permette di fare la dialisi a casa. Ecco realtà e potenzialità (persino per gestire il Coronavirus) della telemedicina

Getty



L’astronauta della stazione spaziale internazionale Iss, addetto alle sperimentazioni mediche, aveva appena applicato il manipolo dell’ecografo alla sua giugulare. A 400 km di distanza, sulla Terra, i medici della Nasa assistevano in tempo reale all’esperimento grazie al collegamento video digitale.

L’immagine ad alta definizione non lasciava dubbi: l’astronauta aveva la vena del collo quasi completamente ostruita da un trombo. La decisione è stata fulminea quanto la diagnosi in diretta: immediata iniezione di eparina per sciogliere l’ostruzione prima che potesse staccarsi e finire nel cuore o nei polmoni. Missione compiuta grazie alle tecnologie, senza bisogno di mandare scialuppe spaziali di salvataggio, far rientrare l’astronauta e compromettere le attività dell’Iss.

«Accadeva solo un mese fa, e l’episodio è stato pubblicato come caso di successo della telemedicina dalla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine», commenta Vincenzo La Milia, direttore del reparto di nefrologia e dialisi dell’Azienda socio sanitaria territoriale di Lecco, uno dei primi centri in Italia che permette ai pazienti in dialisi a casa di essere monitorato grazie alla teledialisi. «Riuscire a eseguire e leggere un’ecografia sull’Iss, che viaggia a 30mila km l’ora a centinaia di chilometri d’altezza, fa effetto, ma è solo la dimostrazione più scenografica della telemedicina, che già gestisce migliaia di malati, anche gravi, a distanza».


Teledialisi, l’ultimo progresso
L’ultima novità riguarda i pazienti con problemi renali. In Italia le persone che devono ricorrere alla dialisi per insufficienza renale sono più di 50mila, e il trend è in crescita. «Sono malati che a giorni alterni devono recarsi in ospedale, qualunque sia la loro età e condizione fisica (non pochi devono utilizzare un’ambulanza) e rimanere fuori di casa per ore», spiega La Milia. «Il nostro Centro dialisi, fra i più importanti del nord, è anche il primo ad aver realizzato un progetto di teledialisi a casa e in centri satellite. Abbiamo infatti reso operative tre stazioni remote, gestite dal Centro della Asst di Lecco in tre Cal (Centri di assistenza limitata, più vicini e comodi per i malati), più uno presso l’abitazione di un paziente 82enne (presto ne installeremo altri 2).

Queste stazioni sono dei “trolley” (Totem donati dal Rotary) che l’assistito attiva due volte al giorno: hanno una videocamera, uno schermo nel quale il paziente vede l’infermiere o il medico che dirigono le operazioni per effettuare la dialisi (attacco e riattacco della sacca con il liquido per “depurare” l’organismo e molto altro). Due appuntamenti giornalieri semplificati ma con la stessa qualità della dialisi in ospedale, che però rendono autonomo (anche psicologicamente) il paziente. 30 minuti alle 8 e alle 15 a casa o al Cal e poi si è liberi».


L’esempio del Coronavirus
In questi giorni di emergenza gli esperti stanno dibattendo sulle applicazioni delle telemedicina per far fronte all’epidemia. «Il problema del Ssn è evitare l’espandersi del contagio da Coronavirus e gestire migliaia di persone in quarantena a casa. In fondo è quello che già fanno cardiologi e medici di base utilizzando strumenti diagnostici collegati alle app, capaci di monitorare le funzioni cardiache ma anche in grado di attivare a distanza minidefribillatori impiantati nei pazienti a rischio. Sono già realtà, basterebbe solo potenziarne la diffusione per aiutare a gestire a casa epidemie come questa», conclude il dottor La Milia.


Un po' di numeri

1976 Viene realizzato il primo esperimento di telemedicina: un cardiotelefono trasmette un Ecg a distanza.

35% La percentuale di ospedali che fanno uso costante del consulto a distanza con altri centri. È il servizio di telemedicina più utilizzato.

7 miliardi È la somma in euro che risparmierebbe il Ssn se si riuscisse a diffondere servizi come la teleassistenza, oggi usata solo dal 9% degli specialisti e medici di base.


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Articolo pubblicato sul n. 12 di Starbene, in edicola dal 3 marzo 2020

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