Carne sintetica, pro e contro: tutta la verità

La sua definizione corretta è coltivata, perché ha origine dalle cellule embrionali degli animali. Ma, al di là del nome, sono molte le polemiche che questo alimento ha recentemente suscitato. Facciamo chiarezza



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Il dibattito è più che mai aperto: carne “sintetica”, quali sono i pro e i contro? L’Italia, come annunciato dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, «è la prima nazione che dice no al cibo sintetico», prodotto in laboratorio a partire da cellule embrionali.

Ma questa carne è già disponibile altrove, per esempio a Singapore, dove nel raffinato ristorante “1880” si può mangiare sotto forma di crocchette prodotte da Good Meat al costo di 23 €. E negli Stati Uniti la Food and Drug Administration ha dato il proprio via libera alla produzione. Ma perché tante polemiche? Come si realizza? Quali sono le differenze rispetto a quella ottenuta dagli animali al pascolo e alla carne vegetale? Lo abbiamo chiesto ai nostri esperti.


Carne sintetica, i pareri sono discordanti

«Innanzitutto, va detto che non è corretto chiamarla carne “sintetica”, ma coltivata: il termine sintetico, infatti, indica qualcosa che non esiste in natura e viene preparato unendo sostanze diverse, come la plastica per esempio. Nel caso della carne, invece, si parte da cellule di animali allo stato embrionale, che dunque già esistono in natura. Semplicemente si nutrono e si fanno replicare su un terreno di coltura», spiega il dottor Giorgio Donegani, tecnologo alimentare a Milano.

A schierarsi contro la carne coltivata è la Coldiretti, che in una nota afferma: «Non è carne, ma un prodotto sintetico e ingegnerizzato», spiegando che «non salva gli animali perché viene fabbricata sfruttando i feti delle mucche, non salva l’ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali; non aiuta la salute perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare; non è accessibile a tutti poiché è nelle mani delle grandi multinazionali».

Da qui anche il rischio per la filiera del Made in Italy, paventato da allevatori e agricoltori. Tra i favorevoli, invece, ci sono alcune associazioni come Gaia ed Eurogroup for animals, che la sostengono soprattutto per ridurre gli allevamenti intensivi e il loro impatto ambientale, insieme al consumo di carni rosse che diversi report associano a un aumento del rischio di tumori.


Perché l’Italia dice no alla carne sintetica

Il Governo ha invocato il «principio di precauzione» per «tutelare la salute umana e il patrimonio agroalimentare». Prevede multe da 10mila a 60mila euro (o fino al 10% del fatturato annuale) per chi impiega, vende, importa, produce o somministra cibo oppure mangimi «isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati».

Ma secondo il dottor Giorgio Donegani si tratta di una decisione immotivata, perché questi alimenti non sono ancora stati autorizzati in Europa: «Ogni novel food deve prima essere approvato dall’Ue, conducendo studi accurati per dimostrare che non sia dannoso per la salute e l’ambiente. Se l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, dovesse dare parere positivo, gli Stati avrebbero quattro mesi di tempo per eccepire, ma solo su base scientifica, non su motivazioni legate a ragioni industriali come la salvaguardia della filiera degli allevatori nazionali».


Che cosa cambia dal punto di vista nutrizionale

Il metodo utilizzato per ottenere la carne in laboratorio non è nuovo, ma finora era stato impiegato soprattutto in ambito medico-sanitario, per i vaccini e la ricostruzione dei tessuti nelle persone ustionate.

«A livello alimentare, fra i prodotti realizzati con tecniche analoghe ci sono i probiotici, inseriti, per esempio, in yogurt o latte, ottenuti dalla coltivazione di batteri e poi immessi nei cibi. Anche il lievito di birra è frutto di un processo simile», spiega Donegani.

Differente, invece, quello usato per realizzare la “carne” vegetale: «È un prodotto completamente diverso, costituito da un mix a base “green” (solitamente legumi, soia, avena ecc.), cui sono aggiunti altri ingredienti ed eventualmente additivi, per ottenere una consistenza, un aspetto e un gusto il più possibile simili a quelli della carne tradizionale», chiarisce Agostino Macrì, docente di Ispezione degli Alimenti presso il Campus Biomedico di Roma.

«Al contrario, la carne coltivata (oggi più facilmente ottenibile in forma simile al macinato che non alla bistecca), è sostanzialmente analoga alla carne tradizionale, anche se ne differisce un po' nel colore (più sbiadito) e nella consistenza (più cedevole)», aggiunge Donegani.

E per quanto riguarda la qualità? Potrebbe dipendere dall’animale da cui derivano le cellule embrionali: «Già oggi sappiamo che a fare la differenza è, tra gli altri, il fatto che un animale sia allevato al pascolo, a terra o in gabbia, perché consistenza e gusto dipendono da come si alimenta e vive. In futuro potrebbero contare due fattori: l’animale da cui si prelevano le cellule staminali e le sostanze nutritive fornite per riprodurle», prosegue il tecnologo alimentare.

Non ci sarebbero pesticidi, invece, come potrebbe accadere nella “carne”vegetale, né antibiotici, perché quella coltivata non deriverebbe da animali che rischiano di ammalarsi, come accade oggi.


Cibo in provetta: tanti gli investimenti

Carne e pesce coltivati sono già stati autorizzati dalla Food and Drug Administration negli Usa dove alcune aziende, come Upside Foods, li producono in vari formati, con un investimento complessivo nel settore di quasi 700 milioni di dollari. A seguire si trovano Israele con 475 milioni di dollari e Olanda, con finanziamenti statali per 57 milioni di dollari.

Intanto, a Singapore è già in commercio da tempo, mentre l’Ue ha investito 7 milioni di euro nell’ambito del programma Horizon Europe (Orizzonte Europa): il piano biennale prevede studi su “Carne sintetica e prodotti ittici sintetici – situazione attuale e prospettive future nell’Ue”.


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