Ipertensione arteriosa

Il sangue, per circolare nei vasi sanguigni all’interno del corpo, necessita di una pressione che lo spinga in avanti, esattamente come l’acqua nei tubi delle nostre abitazioni non arriverebbe mai a destinazione se la pressione nei tubi fosse bassa o nulla. Il termine ipertensione arteriosa, in questo senso, indica una condizione in cui la pressione […]



Il sangue, per circolare nei vasi sanguigni all’interno del corpo, necessita di una pressione che lo spinga in avanti, esattamente come l’acqua nei tubi delle nostre abitazioni non arriverebbe mai a destinazione se la pressione nei tubi fosse bassa o nulla. Il termine ipertensione arteriosa, in questo senso, indica una condizione in cui la pressione del sangue è sempre troppo elevata: questa precisazione è molto importante, perché in alcune circostanze (per esempio in occasione di sforzi fisici, in stati d’ansia o dopo l’assunzione di determinati farmaci) l’innalzamento della pressione sanguigna costituisce una risposta normale dell’organismo.

Questo fenomeno non deve stupire: quando ci si sottopone a uno sforzo, infatti, i muscoli hanno bisogno di più sangue per ricevere l’ossigeno e il nutrimento necessario, e questo è possibile se il sangue viene spinto con più forza nelle arterie, cioè se si aumenta la pressione. Per questo motivo la pressione deve essere misurata in condizioni di riposo, in assenza di stress di qualsiasi tipo.


Perché la pressione troppo alta è pericolosa?

Ancora richiamando l’esempio del-l’impianto idraulico di casa, si può notare che i tubi sono stati costruiti per sopportare un certo livello di pressione: se questi tubi sono costretti a sopportarne una maggiore per molti anni, si possono deteriorare e danneggiare, mentre se si applica loro improvvisamente una pressione altissima, per molte ore o giorni, si corre addirittura il rischio di farli rompere.

La situazione descritta si verifica anche nei vasi sanguigni: se la pressione è eccessiva per anni, le arterie si deteriorano, subendo i danni dell’aterosclerosi e, di conseguenza, gli organi che maggiormente dipendono da un regolare afflusso di sangue (cervello, cuore, reni) ne soffrono; se invece il rialzo pressorio avviene rapidamente e a livelli estremamente elevati, i danni possono svilupparsi anche in tempi molto più brevi.

Quest’ultima eventualità è d’altra parte molto rara e, comunque, le terapie disponibili possono riportare i valori di pressione entro limiti accettabili in poco tempo.

Il riscontro di ipertensione arteriosa è tutt’altro che raro nei Paesi occidentali: in Italia, per esempio, gli ipertesi sarebbero oltre dieci milioni. Il fenomeno si manifesta più frequentemente in età avanzata, al punto che la maggior parte dei soggetti anziani ne è affetto. Nella maggior parte dei casi non è nota una causa specifica dell’aumento pressorio (ma lo stile di vita occidentale gioca sicuramente un ruolo molto importante): in queste situazioni si parla di ipertensione essenziale, un disturbo che si può curare ma non guarire definitivamente.

Più raramente (in meno del 10% dei casi) è possibile trovare una malattia che provoca direttamente o indirettamente l’aumento della pressione: si parla allora di ipertensione secondaria, un disturbo che è possibile guarire se si riesce a curare la malattia che l’ha provocato.


Quando si può dire di essere in presenza di ipertensione arteriosa?

Finora si è parlato di pressione alta, ma quanto deve essere alta per poter parlare d’ipertensione? Prima di rispondere a questa domanda, può essere utile ricordare che la pressione viene espressa in millimetri di mercurio (in sigla mmHg); questa singolare unità di misura deriva direttamente dall’apparecchio originariamente utilizzato per la misurazione stessa. Considerando che una pressione di 130 mmHg equivale alla pressione esercitata da una colonnina di mercurio alta 130 mm, e anche se ogni valore limite ha in sé una componente di arbitrarietà, attualmente si sono stabiliti come normali i valori che sono inferiori o uguali a 120 mmHg di “massima” e 80 mmHg di “minima”; si considerano invece troppo elevati valori superiori o uguali a 140 mmHg di “massima” e a 90 mmHg di “minima”.

Come si può notare esiste una zona intermedia, di attenzione, in cui la pressione è più alta dei valori ottimali, ma non ancora così alta da parlare d’ipertensione. Chi si trova in questa situazione ha maggiori probabilità di sviluppare una vera ipertensione arteriosa col passare degli anni.

Nonostante si siano stabiliti limiti di normalità, è ben noto che qualsiasi aumento della pressione rispetto ai valori ideali comporta un aumento del rischio di incorrere in eventi cardiovascolari. Naturalmente questo rischio è tanto maggiore quanto più elevato è il valore pressorio, per cui si ritiene valga la pena d’intervenire con farmaci solo quando si superano i 140/90 mmHg. Se però una persona ha già un rischio di per sé maggiore, anche valori inferiori a 140/90 mmHg possono rappresentare un elemento non trascurabile di rischio aggiuntivo. Questo è il motivo per cui si consiglia a determinati soggetti di mantenere la pressione a livelli più bassi: per esempio, i valori consigliati ai diabetici sono inferiori a 130/80 mmHg, e quelli indicati alle persone affette da insufficienza renale sono ancora più bassi.

Per stabilire la presenza d’ipertensione arteriosa non è sufficiente una singola misurazione fuori norma, ma una (o meglio più di una) misurazione ripetuta in tempi diversi. Ciò è necessario perché, come già detto, la pressione non è sempre uguale, ma varia in funzione delle necessità dell’organismo, quindi può elevarsi per stimoli di vario genere (ansia, dolore, sforzo fisico ecc.).


Ipertensione da camice bianco e automisurazione

Nel 10% circa dei casi, il solo fatto
di misurare la pressione nello studio medico è sufficiente per generare
uno stress (spesso non avvertito dal-l’interessato/a) che causa un aumento della pressione: si parla in questi casi di ipertensione da camice bianco. In questa situazione, il medico può rilevare pressioni sempre o spesso anormali a fronte di valori normali o, comunque, molto inferiori quando la pressione viene misurata a domicilio (dallo stesso interessato/a o dai suoi familiari). Diventa allora indispensabile comprendere bene quali sono i valori pressori “reali” prima d’intraprendere una terapia farmacologia o, nel caso sia già stato iniziato un trattamento, di aumentare il numero delle pastiglie.

Le possibilità in questo senso sono essenzialmente due: l’automisurazione domiciliare e il monitoraggio automatico nelle 24 ore. L’automisurazione viene attualmente considerata una modalità affidabile, in grado di sostituire la misurazione da parte del medico soprattutto in caso di reazione da camice bianco (eventualità in cui costituisce anzi l’unica modalità di misurazione); in questo frangente occorre però ricordare che i valori di riferimento sono lievemente differenti rispetto a quelli che derivano da misurazioni in ambulatorio e che, quindi, a una misurazione dal medico di 140/90 mmHg corrisponde un valore di 135/85 mmHg misurato dal paziente a domicilio.

Il monitoraggio della pressione (solitamente della durata di 24 ore) utilizza un apparecchio automatico: è sempre presente il manicotto intorno al braccio, collegato con un piccolo apparecchio (solitamente portato in cintura o a tracolla) che gonfia e sgonfia il manicotto e, rilevando le pulsazioni dell’arteria del braccio, misura la pressione, conservandola nella sua memoria elettronica.

Durante il monitoraggio vengono eseguite numerose determinazioni, ripetute in circostanze diverse (durante le normali attività quotidiane, il riposo, il sonno ecc.): l’insieme di queste informazioni consente di avere una valutazione più accurata della pressione. Si tratta però di una tecnica decisamente più costosa rispetto alla misurazione “classica”, e inoltre di un procedimento più fastidioso a causa della presenza dell’apparecchio e del periodico gonfiarsi e sgonfiarsi del manicotto. Per questo motivo il monitoraggio della pressione viene riservato a casi particolari, quando le informazioni ottenibili misurando la pressione in ambulatorio (o a casa) non sono sufficienti per prendere le decisioni necessarie: stabilire se si è di fronte a vera ipertensione o solo a una reazione di allarme dovuta alla misurazione stessa, comprendere se la terapia assicura un controllo adeguato in tutte le fasi della giornata e della notte ecc.


Conseguenze dell’ipertensione arteriosa

Poiché in genere l’aumento della pressione non provoca alcun disturbo avvertibile, è stata definita con un termine a effetto silent killer, cioè “assassino silenzioso”. L’eccessiva pressione del sangue danneggia nel tempo le arterie, potenzia l’effetto di altri elementi pericolosi per la salute (colesterolo elevato, fumo ecc.) e favorisce la comparsa di malattie gravi e a volte fatali quali l’infarto cardiaco e l’ictus cerebrale; oltre a eventi così drammatici, vi possono essere problemi meno evidenti ma sicuramente importanti quali l’insufficienza renale e il deterioramento, nel tempo, delle facoltà mentali. È quindi sbagliato attendere di avere disturbi o problemi per valutare se è presente un’ipertensione e curarla. Fortunatamente sapere se la pressione è troppo alta è facilissimo: basta misurarla (più volte se i risultati sono fuori norma)! Una volta stabilita la presenza d’ipertensione arteriosa si eseguono generalmente alcuni esami (elettrocardiogramma, esame delle urine e del sangue) che mirano a verificare sia la presenza di cause specifiche d’ipertensione sia, soprattutto, la presenza di danno “silente” in organi (cuore e rene) particolarmente sensibili alla pressione alta. Se questi organi risultano già danneggiati, il rischio di peggioramento e di eventi gravi (ictus e infarto miocardico) è particolarmente elevato e richiede quindi un intervento deciso non solo sulla pressione, ma su tutti gli altri fattori di rischio cardiovascolare (colesterolo, fumo, inattività fisica ecc.).


Cura dell’ipertensione arteriosa

Alla base di qualsiasi strategia di trattamento dell’ipertensione vi sono alcuni provvedimenti che riguardano lo stile di vita, quindi interventi di natura non farmacologica ma efficaci sia per ridurre da soli i valori elevati sia per favorirne il controllo insieme ai farmaci nei casi in cui questi ultimi non si dimostrino sufficienti. È dunque importante:

  • evitare la sedentarietà facendo attività fisica moderata (per esempio camminare a passo veloce) almeno 3 volte alla settimana (molto meglio tutti i giorni o quasi);
  • ridurre il sovrappeso (anche perdere pochi chilogrammi ha un effetto favorevole);
  • ridurre il consumo di sale non aggiungendo sale agli alimenti, scegliendo cibi che ne contengono quantità ridotte e, in generale, cucinando con poco sale;
  • aumentare il consumo di frutta e, soprattutto, verdura.

Nei casi (purtroppo numerosi) in cui questi provvedimenti non siano sufficienti da soli, occorre integrarli con il ricorso ad alcuni farmaci.

Fino ad alcuni decenni fa, le cure farmacologiche per l’ipertensione arteriosa erano limitate a pochi prodotti, non sempre efficaci e sicuri; fortunatamente, però, sono stati fatti progressi enormi in questo campo e ora sono disponibili terapie efficaci e sicure. In primo luogo è necessario stabilire l’obiettivo pressorio da ottenere: normalmente si dovrebbe cercare di scendere sotto i 140/90 mmHg, ma in presenza di rischio elevato (diabete, insufficienza renale, eventi ischemici cardiaci o cerebrali ecc.) occorre raggiungere valori anche minori. Arrivare a questi obiettivi o almeno cercare di raggiungerli comporta spesso il ricorso a più farmaci tra loro associati; non è quindi raro che sia necessario modificare la terapia sia all’inizio della cura sia col passare del tempo. Va da sé che le medicine sono efficaci solo se assunte in modo corretto e regolare: una delle cause più frequenti di insuccesso nella cura dell’ipertensione arteriosa è purtroppo proprio l’uso scorretto dei farmaci, con interruzione del trattamento, assunzione irregolare, autoriduzioni dei dosaggi ecc.


Pressione minima e pressione massima

Il flusso del sangue nelle arterie non è continuo come quello dell’acqua da un rubinetto aperto ma è pulsante, proprio perché la pompa del nostro organismo, il cuore, spinge il sangue nelle arterie solo quando si contrae: si avranno quindi più “spinte” (ogni battito una spinta) nel corso di un minuto, con una pressione massima subito dopo la contrazione (la spinta) e una minima subito prima della contrazione successiva. Per questo motivo, misurando la pressione arteriosa si rilevano due pressioni, la “massima” e la “minima”.

L’apparecchio di riferimento per misurare la pressione è quello a mercurio, molto simile a quello inventato da Scipione Riva-Rocci alla fine dell’Ottocento: si tratta di uno strumento composto da una colonnina di vetro contenente mercurio, collegata tramite un tubo di gomma a un manicotto che viene gonfiato con pressione crescente intorno al braccio.

Una volta gonfiato il manicotto a una pressione sufficiente per bloccare il flusso del sangue, si inizia a sgonfiarlo lentamente, mentre il medico ascolta il rumore del flusso di sangue all’interno dell’arteria del braccio. Questo rumore si può udire solo quando l’arteria è ristretta dalla compressione del manicotto, mentre scompare quando l’arteria torna nelle condizioni normali. Finché la pressione del manicotto (leggibile come livello di millimetri di mercurio sulla colonnina dell’apparecchio) è superiore alla pressione massima del sangue, l’arteria rimane chiusa e non si ode alcunché: la comparsa del primo rumore è il momento in cui la pressione del manicotto corrisponde alla massima pressione del sangue, che riesce quindi a scorrere per un attimo nell’arteria, e in questo momento si può leggere sulla colonna di mercurio il valore della “massima” (espressa appunto in millimetri di mercurio, mmHg). Continuando a sgonfiare il manicotto, si può udire il flusso all’interno dell’arteria in corrispondenza di ogni battito. Al momento in cui la pressione del manicotto è uguale alla pressione minima del sangue, non c’è più alcuna compressione sull’arteria, il flusso scorre sempre senza ostacolo e non si ode più alcun rumore, quindi sulla colonnina di mercurio si legge il valore della “minima”.

Attualmente sono in commercio apparecchi elettronici privi della colonna di mercurio: il loro principio di misurazione è però sempre lo stesso, in quanto l’apparecchio rileva il movimento del sangue all’interno dell’arteria (con modalità tecniche differenti da apparecchio ad apparecchio).

Qual è il significato delle due pressioni? Un tempo si attribuiva maggiore importanza alla pressione minima, mentre ora si sa che entrambe, minima e massima, sono importanti nell’aumentare il rischio. Si è anche osservato che, nonostante spesso risultino elevati sia i valori minimi sia quelli massimi, in diverse situazioni non è così: alcune persone presentano solo valori minimi troppo elevati, altre (più frequentemente, soprattutto negli anziani) hanno “minima” normale ma valori massimi eccessivi: si parla, nel primo caso, di ipertensione diastolica isolata, nel secondo di pressione sistolica isolata.

I termini diastolica e sistolica derivano dalle fasi di contrazione del cuore. La contrazione è detta sistole, corrisponde all’espulsione del sangue e coincide con la massima pressione generata; la fase di rilassamento del cuore, in cui l’organo si riempie nuovamente di sangue da espellere alla contrazione successiva, è invece detta diastole e coincide con la pressione minima all’interno delle arterie.


Quali danni può provocare la pressione alta

Una pressione troppo elevata e tenuta a questo livello per anni può danneggiare le arterie, favorendo la comparsa e l’aggravamento di fenomeni aterosclerotici. Per questo motivo gli organi che più soffrono per l’ipertensione sono quelli che più dipendono da un regolare e abbondante flusso di sangue per il loro corretto funzionamento, vale a dire cervello, cuore e reni: l’ipertensione arteriosa è infatti una delle principali cause di ictus (danno irreversibile di una zona del cervello, con conseguenze anche molto gravi quali morte o paralisi), infarto miocardico e insufficienza renale. L’ipertensione può inoltre, col tempo, favorire il deterioramento delle facoltà intellettive e contribuire alla comparsa di demenza. Anche la retina (parte dell’occhio fondamentale per la visione) può essere danneggiata, soprattutto in presenza di valori molto elevati, così come le arterie degli arti inferiori, con le conseguenti limitazioni nella deambulazione. La presenza di altri fattori di rischio, quali il diabete mellito e l’eccesso di colesterolo nel sangue, può potenziare l’effetto dannoso dell’ipertensione, perciò in questi casi lo sforzo per controllare quest’ultima deve essere particolarmente intenso. Quando il danno è già presente (al cervello, al cuore, ai reni ecc.) il rischio di un peggioramento o di nuovi catastrofici eventi è molto elevato, per cui è necessario mantenere la pressione sotto stretto controllo.


Ipertensione secondaria

In una minoranza di casi, l’aumento della pressione è la conseguenza di un’altra malattia e viene perciò detta secondaria: se la malattia di fondo è guaribile, è quindi possibile eliminare anche l’ipertensione. Gli esami effettuati per ogni paziente con riscontro di pressione alta hanno, tra gli altri scopi, proprio quello di identificare tali situazioni.

Le principali malattie causa d’ipertensione sono:

  • restringimento (stenosi) dell’ arteria che porta il sangue al rene;
  • patologie tumorali con la produzione di sostanze che innalzano la pressione;
  • insufficienza renale (indipendentemente dalla sua causa);
  • malattie caratterizzate da eccesso di ormoni, che possono innalzare la pressione.

In rari casi, l’aumento della pressione può essere dovuto unicamente all’assunzione di alcuni farmaci (decongestionanti nasali, farmaci per l’obesità ecc.), droghe (cocaina, stimolanti quali anfetamine ecc.) o altre sostanze (per esempio liquirizia in grandi quantità). [A.F.]