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Reimpianto

Intervento chirurgico consistente nel rimettere in sede un organo (uretere, muscolo) oppure una parte del corpo amputata (braccio, gamba) o estratta (dente).


Reimpianto di un dente

È previsto in due casi.

Reimpianto di un dente fuoriuscito dal suo alveolo Consiste nel ricollocare il dente fuoriuscito a causa di un incidente, esercitando una leggera pressione, senza forzare. Va praticato nella mezz’ora successiva, poiché in caso contrario la riuscita dell’operazione è incerta. In attesa dell’intervento del dentista, la radice del dente non va raschiata o disinfettata, ma risciacquata con acqua tiepida. Il dente deve essere tenuto in bocca dal paziente perché resti pulito e bagnato di saliva; in alternativa, lo si può mettere in un bicchiere pieno d’acqua, latte o soluzione fisiologica. Una volta reimpiantato, verrà fissato con l’ausilio di un apparecchio in attesa del suo consolidamento, che richiede circa 1 settimana. Occorre inoltre verificare sistematicamente che il soggetto si sia sottoposto di recente alla vaccinazione antitetanica.

Reimpianto dell’abbozzo di un dente del giudizio È praticato soltanto nel bambino. Dopo aver estratto in anestesia locale un molare molto danneggiato dalla carie, il dentista preleva il dente del giudizio la cui radice non si è ancora formata e lo reimpianta al posto del molare estratto.

Prognosi La prognosi di un reimpianto dipende soprattutto da quanto tempo il dente è rimasto all’esterno del cavo orale. Nell’adulto, il sistema immunitario può attaccare la radice come se si trattasse di un corpo estraneo, provocandone il riassorbimento e determinando la perdita definitiva del dente.


Reimpianto di un arto

Si pratica in caso di amputazione accidentale di una porzione più o meno estesa di un arto o di una sua parte (dito). Il segmento dissecato va manipolato il meno possibile, circondato da un impacco sterile e posto in un sacchetto di plastica da tenere sul ghiaccio in attesa dell’arrivo in ospedale; l’arto si mantiene per circa 6 ore. Il reimpianto si svolge mediante microchirurgia in anestesia generale: dopo aver fissato l’osso (osteosintesi), il chirurgo sutura le arterie, le vene e i nervi.

Prognosi La prognosi dipende dalla precocità dell’intervento, ma anche dalla gravità delle ferite e dal tipo di segmento da reimpiantare (in generale, il recupero della funzionalità di un dito è migliore di quello di una mano o di un piede). La rieducazione, che dura parecchi mesi o addirittura anni, è fondamentale in questo tipo di operazione: occorre avviare le sedute di chinesiterapia nelle prime settimane, per mantenere le articolazioni flessibili in attesa che l’arto recuperi la sua mobilità.

I risultati dipendono dalla rapidità della cicatrizzazione cutanea (una quindicina di giorni), ma soprattutto dal recupero funzionale dei nervi, che richiede dai 12 ai 18 mesi.

In linea generale, anche quando l’intervento può dirsi riuscito, non si verifica mai il recupero totale della funzionalità di un arto. Nella maggior parte dei casi persiste un handicap di entità variabile, una rigidità, un’insensibilità o anche dolori violentissimi. Per questo motivo alcuni tipi di reimpianto non vengono neppure tentati, per esempio quando il recupero dell’innervazione appare impossibile e la menomazione rischierebbe di essere ancor maggiore di quella derivante dalla mancanza di un arto.

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Dott. Maurizio Hanke

E' probabile che la attività fisica che descrive possa essere all'origine del dolore, che va via via scemando. Comunque l'ecografia deve essere eseguita.

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