Luca Anzano: «In palestra ho riscritto la mia storia»

Il personal trainer più amato di Starbene racconta di quando era un bambino con problemi di alopecia. La sua chioma è ricresciuta di pari passo con l’autostima



310117Move your ambitions! È questo il motto di Luca Anzano, 26enne personal trainer con 193.000 follower su Instagram e un fitness curriculum da far invidia ai 40enni. Un motto che è anche un guanto di di sfida. Prima di muovere i muscoli, infatti, bisogna far volare in alto le ambizioni, la determinazione, la voglia di mettersi in gioco per migliorarsi e riuscire a superare gli ostacoli che la vita frappone lungo il cammino.

E Luca di scogli ne ha superati, a partire da quel problema di salute che gli ha dato del filo da torcere fin da piccolo. Per conoscere gli step del suo successo, lo abbiamo intervistato.


Luca, che malattia hai avuto?

«Un’alopecia di origine autoimmune causata da anticorpi che per 16 anni hanno aggredito i miei follicoli piliferi, facendomi perdere completamente capelli, ciglia e sopracciglia. Tutto risale a un forte stress da me subìto alla tenera età di due anni e mezzo. Mio papà mi portava sulle spalle e stavamo andando da mia nonna a prendere le polpette da lei preparate. A un certo punto il mio sguardo di bambino è stato catturato da un grave incidente stradale, con un motociclista steso a terra, il sangue, l’ambulanza e gli infermieri che gli prestavano le manovre di pronto soccorso.

Sono rimasto turbato da questo fatto, ma non ho manifestato comportamenti “strani” quali insonnia, agitazione, pianti improvvisi. Diciamo che sono “imploso”. Sì perché lo spavento ha lavorato dentro, nel mio inconscio, e da lì a poco tempo ho cominciato a perdere tutti i capelli. Intere ciocche regalate al cuscino, al bagno e al pavimento di casa. Allarmati, i miei genitori hanno consultato degli specialisti che hanno confermato l’associazione tra un forte stress emotivo e la comparsa dell’alopecia di origine autoimmune. Io ero piccolo, non ne sapevo nulla, ma con la mia testa pelata, privo di ciglia e sopracciglia mi sentivo diverso dagli altri bambini».


E poi, crescendo com’è andata?

«A mano a mano che crescevo le cose non sono migliorate, segno che il trauma emotivo aveva messo radici nel profondo. A volte mi crescevano dei capelli fini, radi, qua e là a chiazze, ma poi cadevano e tornavo calvo. Voglio sottolineare che allora, all’inizio del 2000, non c’erano i social che hanno “sdoganato” l’idea del diverso, del diritto ad affermare la propria immagine. Allora se ti tingevi i capelli di azzurro sembravi un puffo o un alieno, oggi tutti postano immagini di sé in continuo cambiamento, rivendicano il desiderio di mostrarsi come sono. Io invece ero complessato e l’essere glabro ha minato la mia sicurezza nel rapporto con le persone.

A volte mi sentivo addosso lo sguardo di compassione degli altri che pensavano stessi facendo la chemioterapia, perché l’alopecia autoimmune nei bambini è rara. Così ho iniziato a nascondere la calvizie sotto un cappello da basket, portato con la visiera al contrario, che è diventato il mio stile distintivo. Cercavo di sdrammatizzare, di riderci su ma non è stato facile. Da adolescente uscivo solo con i pochi amici che andavano oltre il mio aspetto fisico e mi apprezzavano per quello che ero, ma ammetto che giocavo in difesa e, per non ritrovarmi in situazioni imbarazzanti, evitavo spesso feste di compleanno, discoteche o altro. Ero diventato il bodyguard di me stesso, sempre sulle retrovie per evitare di sollevare domande e curiosità imbarazzanti».


Quando è arrivata la svolta?

«Dopo le superiori, mi sono buttato a capofitto nella palestra. Volevo “distrarre” l’attenzione delle persone, spostarla dal mio viso al mio corpo. Desideravo costruirmi un fisico tonico e muscoloso che avrebbe oscurato la particolarità che avevo. Alla fine passavo più ore in palestra che a casa, ma la nuova immagine di me che, grazie al sollevamento pesi, si andava delineando mi piaceva sempre più. Così ho deciso di iscrivermi a scienze motorie e di seguire i corsi per ottenere la certificazione di personal trainer.

All’inizio ho fatto l’assistente di sala, poi istruttore di corsi di gruppo funzionali, infine personal trainer nei Club Virgin Active di Milano. Praticare sport mi ha dato tanto, fin da quando da piccolo giocavo a pallone. Divenendo istruttore e PT, le persone hanno cominciato considerarmi un punto di riferimento: appena mi vedono si avvicinano per chiedermi consigli. Così, a mano a mano, ho riacquistato sicurezza in me stesso. E più mi rafforzavo, più i capelli crescevano in modo stabile e regolare. Ero “guarito” senza farmaci».


So che sei superimpegnato...

309776«Sì, oltre al PT creo contenuti per la Gazzetta dello Sport, faccio video e live su Youtube e su Instragram dove spiego i workout e, facendo parte del team di Riminiwellness, partecipo a talk e salgo sul palco per dare il via a divertenti allenamenti di gruppo, sempre a ritmo di musica. Lo scorso giugno e luglio al Parco Indro Montanelli di Milano ho tenuto lezioni outdoor sia in modalità silent (con la cuffia che isola dai rumori e permette di sentire solo la musica e la voce dell’istruttore) sia come classi sul palco. Sempre a Milano, in estate ho creato diversi eventi, tra cui due Festival del Fitness svoltisi a Bicocca con 4 ore di workout intervallati da fasi di recupero e momenti yoga. Ho anche creato un format di functional training: si chiama Flowemotion, è a ritmo di musica e adatto a tutti. E quando dico tutti intendo anche ragazzi e ragazzi disabili, che non devono farsi limitare dalla propria particolarità.

Tempo fa in palestra sono arrivati due ragazzi sordi che, come i loro coetanei, volevano allenarsi. La cosa mi ha colto impreparato e ho fatto fatica a relazionarmi con loro. Così ho deciso di imparare il linguaggio dei segni e da allora collaboro come volontario con l’associazione Insuperabili, che riunisce giovani non vedenti, sordi, amputati o con la sindrome di Down, desiderosi di muoversi e scolpire il proprio corpo. E Flowemotion è un format adattabile, va incontro a tutti, con programmi di allenamento di diversa intensità. Provare per credere».


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