Si definisce ipoacusia un’alterazione della percezione del suono dovuta a una lesione del recettore uditivo periferico. Mentre nell’adulto tale condizione può essere riconosciuta e trattata senza particolari difficoltà, nel bambino l’instaurarsi della perdita uditiva rappresenta una condizione che isola il bambino dal mondo circostante, privandolo delle informazioni necessarie allo sviluppo del linguaggio, principale canale e strumento comunicativo.
Nell’adulto l’ipoacusia rappresenta un comune problema di salute; l’American Speech-Language-Hearing Association stima che circa il 25-40% degli adulti di età superiore a 60 anni e il 40-66% dei soggetti di età superiore a 75 anni presentino una perdita uditiva.
Nel bambino il numero dei soggetti con problemi di perdita uditiva è, per ovvie ragioni, nettamente inferiore; l’American Academy of Pediatrics Task Force on Newborn and Infant Hearing, nel 2005, ha rilevato che ogni 1000 nati ve ne sono 1-3 con perdita di udito.
Tipologie
Le ipoacusie si possono classificare in base alla sede di lesione, all’entità della perdita uditiva e all’epoca di insorgenza; quest’ultima risulta particolarmente importante se l’ipoacusia si instaura nei primi anni di vita, periodo in cui iniziano a strutturarsi le abilità linguistiche del bambino.
Le ipoacusie trasmissive sono dovute a lesioni dell’orecchio esterno o dell’orecchio medio quali: malattie dell’orecchio medio, che determinano un accumulo di secrezione a livello della cassa timpanica (allergie, disfunzione tubarica, infezioni dell’orecchio medio, perforazione timpanica, tumori benigni dell’orecchio esterno/medio); presenza di corpi estranei, di cerume o desquamazione epidermica tali da determinare un “effetto massa” a livello del condotto uditivo esterno; infezioni del condotto uditivo esterno (otiti esterne); assenza o malformazione dell’orecchio esterno o medio; patologie dell’orecchio medio in cui non vi sia la compromissione dell’orecchio interno.
Poiché in tale forma di ipoacusia risulta compromessa solo la via che trasmette i suoni e non la parte “sensoriale” (quella responsabile della trasduzione del suono), nella maggior parte dei casi è possibile una risoluzione medica o chirurgica.
Le ipoacusie neurosensoriali sono dovute a una lesione dell’orecchio interno, delle terminazioni nervose del nervo acustico (8° nervo cranico) o delle vie uditive superiori. Questa forma di ipoacusia necessita, a seconda dell’entità della perdita, di ausili protesici (impiantabili o no) per il ripristino della funzionalità d’organo.
Si definiscono miste le ipoacusie in cui sono presenti contemporaneamente entrambe le forme sopra descritte, mentre si parla di ipoacusie centrali per quelle forme caratterizzate da una disfunzione dell’analisi uditiva conseguente a lesione delle vie uditive centrali; queste forme non hanno ancora un inquadramento clinico e diagnostico definito (in particolare in età pediatrica) e si possono far rientrare nel più ampio contesto dei disturbi del linguaggio, poiché di norma si riscontra una soglia uditiva normale.
Quanto può essere grave un’ipoacusia?
L’entità della perdita uditiva è definibile come il grado di compromissione dell’apparato uditivo, identificabile all’audiogramma come la minima intensità alla quale il soggetto ha una risposta alla stimolazione sonora. Per audiogramma si intende un grafico che riporta in ascissa le frequenze, solitamente da 125 a 8000 Hz, e in ordinata le intensità, espresse in dB e comprese solitamente tra i valori -10 e 120.
Secondo l’American National Standards Institute (ANSI) l’handicap uditivo viene classificato essenzialmente nel modo descritto di seguito.
- 0-15 dB: udito nella norma con nessuna compromissione a livello linguistico.
- 16-25 dB: ipoacusia lieve, causata da patologie dell’orecchio medio o perdite neurosensoriali.
- 26-40 dB: ipoacusia media, causata da patologie dell’orecchio medio o perdite neurosensoriali.
- 41-65 dB: ipoacusia moderata, causata da lesioni croniche dell’orecchio medio, malattie da malformazione o perdite uditive di tipo neurosensoriale.
- 66-95 dB: ipoacusia severa, causata da patologie neurosensoriali o miste.
- oltre 96 dB: ipoacusia profonda, causata da patologie neurosensoriali o miste prevalentemente neurosensoriali.
Ipoacusia nel bambino Una perdita uditiva nel bambino costituisce una condizione doppiamente “silente”, in primo luogo perché lo isola dal mondo circostante privandolo del linguaggio, principale canale e strumento comunicativo, in secondo luogo perché è una patologia con una sintomatologia appunto “silente” che cioè non dà segni evidenti della sua presenza fino all’instaurarsi di effetti irreversibili.
Lo sviluppo del linguaggio in un bambino inizia in un periodo particolarmente importante, dagli 8-12 mesi d’età, quando inizia a stabilirsi quella forte relazione tra suoni uditi, suoni emessi e comunicazione che è alla base delle prime acquisizioni verbali e del loro successivo arricchimento lessicale e morfosintattico. Fondamentale, in questo periodo, è la percezione da parte del bambino di strutture acustiche del linguaggio in grado di innescare tutto il processo dell’apprendimento linguistico.
Una perdita uditiva è tanto più grave quanto più si instaura in epoca precoce, cioè nel periodo compreso tra 0 e 3 anni, nel quale il SNC (sistema nervoso centrale) è plastico e ha tutte le potenzialità per organizzare le sinapsi e le reti neurali, deputate dapprima alla percezione uditiva e successivamente allo sviluppo del linguaggio. Passato questo periodo la capacità organizzativa del SNC diminuisce rapidamente, le reti neurali si consolidano e successive modifiche sono possibili, ma molto più lentamente e con un’efficienza finale tanto più ridotta quanto più complessa è la rete neurale da modificare o implementare.
Per questo motivo in ambito audiologico viene spesso utilizzata la suddivisione in ipoacusie preverbali (insorte prima dell’inizio del processo di acquisizione del linguaggio), ipoacusie periverbali (insorte nell’epoca in cui il bambino dovrebbe aver raggiunto la struttura sintattico-grammaticale minima propria del linguaggio dell’adulto) e ipoacusie postverbali; queste ultime vengono a loro volta suddivise, in base all’epoca di insorgenza, in ipoacusie insorte nella prima infanzia (sino ai 7 anni, periodo in cui le abilità comunicativo-linguistiche sono ancora in fase di consolidamento) e ipoacusie insorte nella seconda infanzia (in cui il linguaggio verbale è già consolidato).
Cause
In base alla causa, le forme di ipoacusia sopra descritte possono essere distinte in congenite (dove si presume che il danno uditivo sia intervenuto in epoca pre-natale o perinatale, e che rappresenta circa l’84% delle forme di perdita uditiva) e acquisite, in cui il danno uditivo è intervenuto durante la prima infanzia o in modo progressivo e che rappresentano invece circa il 16% dei casi totali. Poco meno di metà delle cause congenite sono di tipo genetico, una piccola percentuale è imputabile a disfunzioni nell’embriogenesi e conseguenti anomalie craniofacciali e il restante 40% dei casi, invece, ha origine sconosciuta (anche se, probabilmente, la maggior parte di queste sono dovute a cause genetiche non ancora identificate). Le sordità da causa genetica sono per circa il 70% isolate e per il restante 30% associate a difetti congeniti anche a carico di altri organi. La maggiore parte delle ipoacusie acquisite è dovuta a problematiche insorte dopo la nascita, ancora influenti per una quota considerevole malgrado negli ultimi anni sia sensibilmente migliorata la sorveglianza durante il parto; l’introduzione delle unità di terapia neonatale intensiva (NICU) ha fatto aumentare il numero dei bambini con perdita uditiva perineonatale in quanto tali unità, se da un lato permettono la sopravvivenza di neonati gravi prematuri (per asfissia o basso peso alla nascita), dall’altro li espone a più fattori di rischio (farmaci tossici sull’orecchio, meningiti batteriche).
Diagnosi
La diagnosi di ipoacusia in età infantile è un processo complesso, che deve soddisfare innanzitutto l’obiettivo di rendere il più efficace possibile il successivo procedimento di cura e riabilitazione al fine di abolire o ridurre la disabilità uditiva che ne potrebbe conseguire. È necessario dunque che la diagnosi si instauri in epoca precoce, entro il periodo di massima plasticità del sistema uditivo centrale, in modo da evitare lo stabilizzarsi di una condizione di deprivazione sensoriale e da ridurre gli effetti che il danno uditivo può avere sullo sviluppo delle future competenze comunicative del bambino.
Un intervento efficace implica quindi che tutto l’iter diagnostico, dalle procedure di screening per l’individuazione di un bambino con un sospetto deficit uditivo fino alla diagnosi finale, con l’acquisizione dei dati clinici necessari all’impostazione del programma protesico-riabilitativo, si concluda entro i 6 mesi di età. A tal fine risulta essenziale l’implementazione di programmi di screening uditivo, che consentono di distinguere, in un campione rilevante della popolazione, i possibili portatori di perdita uditiva da quelli che probabilmente non lo sono; tale procedura non deve essere considerata pertanto uno “step” diagnostico ma piuttosto il primo gradino dell’intero processo di diagnosi e riabilitazione della perdita uditiva.
Trattamento
Nel bambino, accanto all’efficienza e alla tempestività dell’intervento, è necessario considerare anche la gestione dinamica del processo riabilitativo, soprattutto nel primo periodo di trattamento. Durante questo periodo infatti potranno essere prese decisioni cruciali per lo sviluppo delle abilità linguistiche del bambino che condizioneranno la presenza o meno di un handicap comunicativo per tutta la vita.
L’applicazione di una protesi acustica o di un impianto cocleare (nei casi in cui l’ipoacusia è così grave che la protesi acustica si dimostra insufficiente) e l’abilitazione al linguaggio, attraverso la terapia logopedica, sono i cardini terapeutici dell’ipoacusia infantile.
La tecnologia delle protesi acustiche si è notevolmente sviluppata negli ultimi 10 anni, e permette oggi di disporre di apparecchiature che consentono amplificazioni molto potenti, dotate di sistemi di regolazione sofisticati; tuttavia, qualora l’amplificazione ottenibile mediante protesi acustica non sia sufficiente in termini di percezione delle parole si ricorrerà all’applicazione, mediante un intervento chirurgico, di un elettrodo multicanale all’interno dell’orecchio (elettrodo endococleare) che, oltrepassando la funzione dell’organo cocleare, stimolerà direttamente le fibre del nervo acustico mediante impulsi elettrici.
Gli impianti cocleari possono essere considerati una delle maggiori conquiste tecnologiche degli ultimi anni in ambito biomedico: basti pensare che l’udito è il primo organo di senso per il quale è stata possibile la sostituzione con una protesi completamente artificiale; i risultati sono eclatanti e indiscussi, permettono agli utilizzatori il recupero della sensibilità uditiva e il ripristino della percezione di elementi linguistici.
In età infantile la scelta di un impianto cocleare nei casi di sordità severa è determinata prevalentemente dal grado di successo che il bambino dimostra con le protesi acustiche convenzionali. Solo il ripristino precoce del canale uditivo-percettivo, infatti, permetterà l’acquisizione delle abilità lessicali e morfosintattiche e il feedback uditivo per il controllo dell’articolazione e dell’intensità dell’eloquio.
L’ipoacusia nell’adulto Mentre nel bambino il deficit uditivo può interferire con l’acquisizione delle abilità linguistiche e comunicative, nell’adulto l’instaurarsi di una malattia della sfera uditiva risulta rilevante in termini di percezione delle parole con difficoltà nel riconoscimento del parlato a bassa intensità, condizioni di ascolto disagevole, difficoltà nell’identificazione spaziale della sorgente sonora.
Numerosi studi condotti sulla popolazione adulta con perdita uditiva, inoltre, evidenziano come i soggetti affetti dalla patologia presentino notevoli difficoltà relazionali, isolamento sociale,difficoltà nell’esecuzione delle comuni attività, aumentata probabilità di depressione e di disturbi della sfera psichiatrica, in definitiva una riduzione della qualità di vita, tanto maggiore quanto maggiore è la perdita uditiva e quanto più protratto è il periodo di deprivazione uditiva cui il soggetto è sottoposto. In base alla causa è possibile che la perdita uditiva si presenti in maniera isolata o in associazione ad altri sintomi (“fischi dell’orecchio”, ossia gli acufeni, vertigini, senso di “riprenezza” auricolare), che riflettono anch’essi l’instaurarsi di un danno a livello dell’organo sensoriale uditivo. Nell’adulto le più frequenti cause di ipoacusia sono quelle indicate di seguito.
- Otosclerosi: si tratta di una malattia che coinvolge prevalentemente l’orecchio medio e che comporta, nella maggior parte dei casi, un’ossificazione a livello dell’articolazione stapedio-ovalare dell’orecchio medio, con conseguente maggiore rigidità del sistema e riduzione della trasmissione del suono all’orecchio interno.
- Malattia di Meniere: è una condizione caratterizzata da un aumento della pressione dei liquidi situati all’interno dei labirinti, con sintomi mono o bilaterali tipo sordità fluttuante e no, vertigini, acufeni.
- Assunzione di farmaci ototossici: alcuni farmaci possono danneggiare il sistema uditivo provocando ipoacusia; tra questi rientrano antibiotici aminoglicosidici (streptomicina, neomicina, kanamicina); salicilati a dosi elevate (acido acetilsalicilico); diuretici dell’ansa (furosemide, acido etacrinico); chemioterapici (cisplatino, carboplatino).
- Disordini del microcircolo: si tratta di malattie che comportano un’alterazione a livello del microcircolo (pressione arteriosa molto alta o molto bassa, aumento del colesterolo, problemi ormonali con possibile vasospasmo, diabete mellito, anemia, problemi della coagulazione) tale da determinare un’alterazione a livello della microcircolazione dell’orecchio interno e l’instaurarsi di una perdita della funzione uditiva che si può verificare in maniera improvvisa o progressiva.
- Esposizione a intensità elevate di rumore: l’esposizione più o meno transitoria a stimolazioni sonore di entità elevata determina un danno alle cellule ciliate dell’orecchio interno e una perdita uditiva di tipo permanente.
- Neurinoma dell’acustico: si tratta di un tumore benigno che si forma in genere dalla branca vestibolare del nervo acustico e che cresce lentamente, tendendo a comprimere senza invadere le strutture vicine; la sintomatologia è caratterizzata da ipoacusia, acufeni e senso di ripienezza auricolare; a causa della crescita lenta della neoformazione e per l’instaurarsi di un compenso vestibolare a livello centrale, le vertigini sono presenti più raramente.
- Traumi cranici quali fratture dell’osso temporale.
- Presbiacusia: costituisce l’invecchiamento “normale” (detto parafisiologico) dell’organo uditivo e comporta una progressiva degenerazione a livello dell’organo sensoriale dell’orecchio interno; viene a determinarsi una perdita uditiva di tipo progressivo che coinvolge primariamente le alte frequenze della scala tonale.
Diagnosi
Nell’adulto il percorso diagnostico è basato su un insieme di indagini che richiedono, prevalentemente, la collaborazione attiva del soggetto in risposta a una stimolazione sonora. Le tecniche più frequentemente utilizzate sono l’audiometria tonale e vocale e l’impedenziometria; in casi selezionati in base al quadro anamnestico e al dato strumentale, sarà possibile ricorrere a ulteriori accertamenti anche di tipo neuroradiologico (TC, RMN), in modo da ottenere una diagnosi il più precisa possibile, che però non è sempre ottenibile. L’integrazione delle indagini strumentali sopra citate permette di effettuare una diagnosi di sede di lesione e di entità della perdita uditiva, ponendo il medico specialista nella condizione di formulare un quesito diagnostico e impostare una terapia medica, chirurgica o protesica.
Trattamento e prognosi
L’intervento terapeutico e riabilitativo, nell’adulto e nel bambino, segue due percorsi diversi e presenta prognosi differente in base ai parametri precedentemente elencati.
Nell’adulto l’intervento riabilitativo mediante protesi o, qualora non sufficiente, impianto cocleare è mirato soprattutto al miglioramento degli aspetti di percezione verbale, della comunicazione e della qualità di vita del paziente; i fattori prognostici, che possono influenzare il risultato finale sono dati principalmente dall’età in cui inizia l’intervento riabilitativo, dalla progressione o meno della perdita uditiva, dall’epoca di insorgenza.
Nell’adulto, pertanto, il passaggio dalla protesizzazione acustica all’intervento di impianto cocleare è strettamente dipendente dai criteri audiologici dettati dall’associazione americana FDA: tali criteri, più che sull’entità della perdita uditiva, si focalizzano sugli aspetti di percezione verbale in condizioni ottimali di amplificazione. In base a quanto detto, si può certamente affermare che non solo tutte le forme di ipoacusia, di qualsiasi entità e a qualsiasi età di insorgenza, se accuratamente diagnosticate mediante programmi di screening su tutta la popolazione possono essere efficacemente trattate (mediante terapia medica, chirurgica o protesico-riabilitativa), ma anche che la disabilità uditiva che fino a 10-20 anni fa determinava un impatto notevole sulla qualità di vita del soggetto attualmente è da considerarsi come una condizione di sicuro fortemente migliorabile, se non del tutto risolvibile.
[E.G., M.C.G., D.M., R.S.]