Silenzio punitivo verso i figli: quando è educativo
Quando ci vuole, ci vuole. A volte il silenzio di un genitore nei confronti dei figli è molto meglio di urla e scenate. Ecco quando usarlo
Il silenzio di un genitore nei confronti dei figli, perché è successo qualcosa che non va bene, è punitivo e quindi sempre controproducente? «Qualcuno si stupirà, ma noi terapeuti a volte lo suggeriamo», afferma la dottoressa Maria Giovanna Gatti Luini, medico senologo e psicoterapeuta.
«Succede nei casi in cui i figli sono particolarmente difficili da gestire, o fanno cose al limite dell’accettabile, poiché non riconoscono più l’autorevolezza del genitore, che spesso non ha voluto o non è riuscito a costruirsela. Un conto infatti è aiutare i figli nella loro crescita quando per esempio sono ancora adolescenti, quindi quando la figura genitoriale è comunque necessaria (anche se loro la mettono in discussione), un conto è tollerare certi comportamenti.
Un problema che spesso viene da lontano, in quanto i figli hanno appreso da piccoli la funzione della manipolazione e si abituano, per errore dei genitori (o di uno dei due) ad avere un certo potere su papà e mamma. Per fortuna si è sempre in tempo per correggere il tiro e la situazione, anche grazie a psicoterapeuti esperti nelle dinamiche di queste fasce d’età più delicate».
Quindi inutile continuare a urlare improperi o fare scenate ripetute e vuote quando loro si comportano male: meglio adottare il silenzio punitivo, mantenendolo anche per un tempo non breve. Sarà spiazzante, e rimetterà in gioco le parti. Ben diverso del silenzio punitivo è l’abbandono del campo: un genitore che, dopo un episodio spiacevole se ne va nel pieno della discussione rischia, soprattutto con gli adolescenti, di alzare un muro.
«I teenager non sono degli adulti: si resta e ci si confronta, in questi casi, non gli si voltano le spalle».
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