Avvelenamenti

Per avvelenamento si intende un problema di salute più o meno grave che può presentare molteplici e differenti segni e sintomi, conseguenti all’introduzione nell’organismo di varie sostanze, droghe o veleni. Talvolta la sostanza coinvolta non è un veleno di per sé ma lo diventa in relazione alla dose assunta (come nel caso dei farmaci), mentre […]



Per avvelenamento si intende un problema di salute più o meno grave che può presentare molteplici e differenti segni e sintomi, conseguenti all’introduzione nell’organismo di varie sostanze, droghe o veleni.

Talvolta la sostanza coinvolta non è un veleno di per sé ma lo diventa in relazione alla dose assunta (come nel caso dei farmaci), mentre in altri casi la sostanza è tossica anche a dosi estremamente piccole (come è invece il caso dell’amatossina del fungo Amanita phalloides). Le cause di un avvelenamento possono essere molteplici: quasi il 90% degli avvelenamenti è conseguente a esposizione non intenzionale alla sostanza incriminata. Nella maggior parte dei casi si determina una tossicità trascurabile, ma che va comunque sempre valutata in ambito medico. Gli avvelenamenti intenzionali rappresentano il 10-15% dei casi.


Intossicazione da farmaci

Paracetamolo Il paracetamolo è comunemente utilizzato sia come farmaco per abbassare la febbre (antipiretico) sia come analgesico.

Un’intossicazione clinicamente rilevante di paracetamolo si verifica in genere solo per assunzione di singole dosi maggiori di 7,5-10 grammi (15-20 delle comuni compresse da 500 mg) o di dosi di 6 grammi al giorno per più giorni. Dosi inferiori possono essere tossiche solo in alcuni soggetti, per esempio negli alcolisti cronici.

Le principali manifestazioni cliniche sono rappresentate da nausea, vomito, dolori addominali e sudorazione, che compaiono da 1 a 24 ore dopo l’ingestione della dose tossica e durano fino a 7 giorni.

La manifestazione più grave è la necrosi epatica acuta, che si osserva in genere per dosi superiori ai 10 grammi.

È opportuno, in caso di ingestione eccessiva, recarsi al più vicino Pronto soccorso nel più breve tempo possibile, in quanto il trattamento specifico è più efficace se iniziato entro 12 ore dall’assunzione della dose tossica.

I nomi commerciali del paracetamolo sono Acetamol, Tachipirina, Efferalgan. Co-efferalgan e Tachidol contengono insieme al paracetamolo anche la codeina.

Benzodiazepine Di largo impiego nella pratica clinica soprattutto come sedativi o induttori del sonno. Sono anche i farmaci più frequentemente utilizzati a scopo suicida.

Nei casi di intossicazione lieve, il paziente appare come “rallentato” ma è risvegliabile, mentre se vi è stata ingestione di maggiori quantità di farmaco è presente una grave alterazione dello stato di coscienza che può giungere fino al coma e all’insufficienza respiratoria. Va prestata anche particolare attenzione all’inalazione polmonare.

I soggetti intossicati possono presentare, a vari livelli di gravità, abbassamento della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e della temperatura corporea. Nei soggetti anziani, anche le dosi corrette usate in terapia possono risultare tossiche, specie se assunte insieme ad altri farmaci che esercitano un effetto depressore sul sistema nervoso centrale (effetto additivo). In questi casi è consigliabile non indurre il vomito e recarsi al Pronto soccorso il prima possibile.

Alcune tra le benzodiazepine di più frequente riscontro nella pratica clinica sono alprazolam (Xanax), bromazepan (Lexotan), clonazepam (Rivotril), delorazepam (En), diazepam (Valium), flunitrazepan (Roipnol), lorazepam (Tavor).

Antidepressivi triciclici La gravità dell’intossicazione è correlata con la dose del farmaco ingerita. Le principali manifestazioni di tossicità sono neurologiche (nervosismo-agitazione o sonnolenza e convulsioni) e cardiache (anomalie del ritmo) accompagnate a ritenzione urinaria, ridotta motilità gastroesofagea e secchezza delle fauci. Le manifestazioni più gravi di tossicità neurologica e cardiaca compaiono da mezz’ora a 6 ore dopo l’ingestione della dose tossica del farmaco. Antidepressivi triciclici sono l’amitriptilina (Laroxyl) e la clomipramina (Anafranil).

Antidepressivi SSRI (inibitori della ricaptazione della serotonina) Le manifestazioni cliniche più frequenti dell’intossicazione da questi farmaci comprendono nausea, vomito, diarrea, eccitazione, tremori, aggressività, aumento o riduzione della frequenza cardiaca e, per dosi molto elevate, letargia, depressione respiratoria e rigidità muscolare. Può manifestarsi anche la cosiddetta sindrome serotoninergica determinata anche da una singola dose di questi farmaci. Tale sindrome dipende proprio dal meccanismo d’azione di questi antidepressivi, che determinano l’aumento dei livelli di serotonina nel sangue. Si possono manifestare forme lievi con aumento della frequenza cardiaca (tachicardia), brividi, sudorazione e tremori, fino a forme gravi con marcato aumento del tono muscolare e grave incremento della temperatura corporea (ipertermia maligna).

Generalmente il quadro clinico non è grave, ma è fondamentale rivolgersi al Pronto soccorso nel più breve tempo possibile.

I principali antidepressivi della classe degli inibitori della ricaptazione della serotonina sono citalopram, escitalopram, fluoxetina, sertralina paroxetina, venlafaxina.

Barbiturici Utilizzati a lungo come sedativi, anestetici e antiepilettici, attualmente vengono usati molto meno perché sono stati messi in commercio farmaci più sicuri ed efficaci.

Alcuni barbiturici ad azione prolungata sono fenobarbital e primidone. Tali farmaci determinano depressione del sistema nervoso centrale, fino al coma respiratorio. La dose in grado di provocare tossicità acuta da fenobarbital è pari a 1 grammo, quella letale va da 2 a 10 grammi.

L’intossicazione lieve determina sintomi simili a quella da alcol e comprende difficoltà più o meno marcate di movimento, di articolazione della parola e dello stato di coscienza. Le intossicazioni gravi, invece, provocano rallentamento della respirazione fino all’arresto respiratorio. Possono essere presenti anche abbassamento della pressione arteriosa, della temperatura corporea e degli zuccheri del sangue (ipoglicemia).


Botulismo

Questa grave malattia è conseguenze all’ingestione di cibi conservati, contaminati dal Clostridium botulinum il quale produce una tossina in grado di provocare il blocco della trasmissione degli impulsi nervosi ai muscoli.

Il botulismo alimentare si verifica se il cibo da conservare è contaminato dalle spore del batterio e consegue generalmente alla non corretta preparazione casalinga di conserve, soprattutto a base di verdure, frutta e condimenti, mentre è meno frequente con la carne e il pesce.

Il tempo di comparsa dei sintomi è variabile (da poche ore a 7 giorni) e segue all’ingestione di cibi conservati contaminati da Clostridium botulinum. I sintomi comprendono nausea e diarrea nelle forme più lievi, mentre la forma più grave è caratterizzata da un coinvolgimento dei nervi cranici e da una progressione della malattia che vede interessati tutti i gruppi muscolari fino alle estremità.

Sono presenti pertanto disturbi quali visione doppia (diplopia), abbassamento delle palpebre (ptosi palpebrale), difficoltà di deglutizione (disfagia), disturbi della parola (disartria) fino alla totale incapacità di emettere suoni (afonia) e paralisi dei muscoli respiratori.

Può essere presente sudorazione profusa; il polso, se palpato, viene apprezzato di ridotta intensità (polso piccolo).

Di fronte al sospetto di botulismo è opportuno recarsi nel Pronto soccorso più vicino portando con sé l’alimento sospetto.


Avvelenamento da prodotti tossici di uso domestico

In casa vengono utilizzati molti prodotti che, se ingeriti, inalati o portati a contatto degli occhi o della pelle o delle mucose, possono essere tossici o addirittura porre a rischio la vita. I prodotti di uso domestico potenzialmente tossici, in ordine di pericolosità, sono:

  • disincrostanti (lesioni cutanee, gravi lesioni mucose, inalazione di vapori tossici);
  • disgorganti (effetto lesivo su mucose, liberazione di vapori tossici);
  • detergenti per WC (effetto lesivo su mucose, possibile blocco neuromuscolare);
  • insetticidi e fertilizzanti;
  • organofosforici (grave ostruzione del respiro, dilatazione pupillare, sudorazione, tachicardia, nausea e vomito);
  • piretrine ad alte dosi (ostruzione del respiro, tremori, dermatite);
  • antitarme;
  • canfora a piccole dosi (convulsioni e danno renale);
  • naftalina (alterazioni delle cellule del sangue, danno epatico, disturbi neurologici);
  • paradiclorobenzolo ad alte dosi (danno epatico e renale);
  • smacchiatori (tossicità neurologica, renale, epatica e – per aspirazione – polmonare);
  • pulitori per metalli (effetto lesivo su mucose, liberazione di vapori tossici);
  • pulitori per forni (irritazione delle mucose, danno epatico e renale, danni neurologici);
  • candeggianti, inclusa la candeggina “gentile”;
  • prodotti a base di cloro (effetto lesivo sulle mucose);
  • prodotti a base di ossigeno (tossicità neurologica, renale ed epatica);
  • detersivi per superfici (irritazione delle mucose, possibile blocco neuromuscolare);
  • detersivi per lavastoviglie (irritazione delle mucose, possibile riduzione della concentrazione ematica di calcio).

Cosa fare e cosa non fare In caso di ingestione accidentale o volontaria, di inalazione o di contatto di cute, mucose, occhi con i prodotti elencati o altri di cui non si conosca l’azione potenzialmente tossica occorre valutare la persona intossicata; se è incosciente, ha difficoltà respiratorie, presenta convulsioni, vomito con sangue, malessere generalizzato, chiamare il 118.

In tutti gli altri casi, chiamare un Centro antiveleni. Se il prodotto potenzialmente tossico è stato ingerito, non dare da bere o da mangiare alcunché (come latte, uova o limone) e non indurre il vomito, che raramente è utile e talvolta invece risulta molto pericoloso. Se il prodotto è stato inalato, allontanare la vittima dall’ambiente contaminato e aerare la zona oppure evacuarla, evitando di respirare i fumi. Se vi è stato contatto oculare, rimuovere le lenti a contatto se presenti, irrigare l’occhio con acqua tiepida per almeno 15 minuti (controllare con l’orologio, non andare “a stima”) invitando la vittima ad aprire e chiudere ripetutamente le palpebre per favorire il lavaggio della parte anteriore dell’occhio (cornea), indirizzando il getto d’acqua non direttamente nell’occhio ma sulla fronte o alla radice del naso; non applicare alcun collirio o pomata. Se vi è stato contatto con la pelle, rimuovere gli abiti contaminati, lavare con acqua e sapone, sciacquare per 15 minuti.


Intossicazione da funghi

Queste intossicazioni sono molto più frequenti nel periodo tra settembre e novembre, quando vengono consumati più funghi raccolti rispetto a quelli acquistati. Nella maggior parte dei casi, l’intossicazione è causata da funghi con tossicità unicamente gastrointestinale e si manifesta quindi con sintomi quali nausea, vomito, diarrea e dolore addominale che generalmente si risolvono spontaneamente o richiedono una terapia sintomatica con antispastici, antivomito e reidratazione. In circa il 10 % dei casi l’intossicazione è causata da funghi contenenti sostanze mortali chiamate amatossine, che distruggono in modo irreversibile le cellule del fegato e provocano una grave insufficienza epatica e renale, la cosiddetta sindrome falloidea. I funghi responsabili sono l’Amanita phalloides, l’Amanita verna, l’Amanita virosa, la Galerina autumnalis. È sufficiente anche un solo “cappello” di Amanita phalloides, pari a circa 20 grammi, per determinare gravi intossicazioni potenzialmente mortali. La sopravvivenza del soggetto intossicato è legata alla possibilità che si salvi una parte di fegato sufficiente per la vita o alla buona riuscita di un trapianto di fegato.

Amanita phalloides Si trova nei boschi di latifoglie, preferenzialmente querce. Può essere confusa con varietà non tossiche di Amanita. Provoca una sindrome falloidea con sintomi gastrointestinali, insufficienza epatorenale, shock, coma e morte. Il tempo di latenza tra l’ingestione e la comparsa dei sintomi è di 6-24 ore. La cottura non inattiva la tossina.

Amanita verna Si trova già in primavera nei boschi di latifoglie. Può essere confusa con specie commestibili del genere Psalliota. Provoca una sindrome falloidea simile all’Amanita phalloides.

Amanita virosa Si trova nei boschi di aghifoglie, non è molto diffusa. Ha un odore fetido, sgradevole e provoca una sindrome falloidea.

Galerina autumnalis Fungo marrone di piccole dimensioni (diametro del cappello 2-5 cm, altezza 5 cm) che cresce dentro il legno di vecchie querce. Anch’esso contiene l’amatossina e provoca una sindrome falloidea mortale.

Amanita muscaria Fungo bello e molto diffuso (si trova nei boschi di conifere e latifoglie da giugno a settembre). È velenoso, anche se non mortale. Provoca la sindrome panterinica, con effetto allucinatorio e psicostimolante.

Consigli pratici È importantissimo non consumare funghi raccolti se non dopo che questi sono stati con certezza identificati da un micologo come commestibili. Una legge del 1993 ha reso obbligatoria alle ASL l’istituzione degli Ispettorati micologici, con funzioni di vigilanza e di controllo, che possono essere consultati da ogni cittadino. Un elemento importante da valutare è il periodo che trascorre tra l’assunzione dei funghi e la comparsa dei sintomi di intossicazione; quelli che provocano un’insorgenza tardiva dei sintomi (6-24 ore dall’ingestione) possono appartenere infatti alle specie più tossiche. Non va dimenticato tuttavia che spesso vengono contemporaneamente ingerite più specie fungine tossiche con la comparsa di manifestazioni cliniche miste; una breve incubazione può in questi casi mascherare i sintomi di una lunga incubazione, che compariranno solo tardivamente. Si ribadisce che la cottura non disattiva tutte le tossine presenti nel fungo; in particolare, le amatossine, che danneggiano e uccidono il fegato, resistono anche alle temperature di cottura dei cibi. Se dopo l’assunzione di funghi compaiono disturbi, soprattutto gastroenterici (nausea, vomito, dolori addominali, diarrea), occorre immediatamente consultare un Centro antiveleni o rivolgersi al Pronto soccorso.


Intossicazione da monossido di carbonio

Il monossido di carbonio (CO) è un gas incolore, inodore, insapore e non irritante: per questi motivi è un pericoloso e silenzioso killer. In particolare, l’assenza di “odore di gas” determina erronea tranquillità e scarsa valutazione di un’eventuale fonte di esposizione.

Il CO si trova normalmente nell’atmosfera come prodotto della combustione di materiale organico.

È un componente del fumo (da incendi, da sigarette) e del gas di scarico delle autovetture (intossicazione possibile nell’abitacolo del veicolo se il fumo rientra, o in tunnel e locali chiusi poco areati con motori delle auto in funzione). Viene prodotto durante la combustione di legno, carbone, kerosene (per esempio riscaldamento da stufe, bracieri).

Nel metano (usato come combustibile per uso domestico), nel propano e nel butano (bombole di gas liquido) il CO non è presente, ma l’intossicazione da monossido di carbonio può verificarsi comunque quando vi sia combustione incompleta di tali prodotti, in assenza di ventilazione sufficiente (per esempio, scaldabagni o impianti di riscaldamento malfunzionanti o con ritorno difettoso di fumo).

Il CO viene rapidamente assorbito attraverso i polmoni e si diffonde nel sangue, dove si lega molto facilmente all’emoglobina (più facilmente dell’ossigeno); il risultato sarà un ridotto trasporto di ossigeno nel sangue e quindi nei vari organi e tessuti, con conseguente malfunzionamento cellulare principalmente a livello cardiaco, cerebrale e renale. I primi segni di intossicazione sono nausea, vomito, vertigini, mal di testa, svenimenti: tutti sintomi non certo caratteristici di questa intossicazione, che va quindi sempre sospettata qualora ve ne siano i motivi. Se l’esposizione persiste, comparirà uno stato di depressione del sistema nervoso centrale, la perdita di coscienza e la morte, salvo immediata rimozione della vittima dall’ambiente inquinato e trattamento idoneo. Se si avvertono sintomi riferibili a intossicazione da CO occorre andare immediatamente all’aria aperta cercando intanto di bloccare la fonte di monossido di carbonio; chiamare il 118, se i sintomi sono gravi, o andare al Pronto soccorso se sono lievi; riportare al medico che interverrà tutte le informazioni necessarie, ossia i sintomi e le circostanze in cui questi si sono manifestati, se vi sono altre persone esposte o elettrodomestici a gas, stufe o camini in casa. [M.C., R. P.]