ARTRITI

Il termine artrite deriva dal greco arthron che significa articolazione; il suffisso “ite” si impiega in medicina per indicare una situazione di tipo infiammatorio. La parola artrite, letteralmente, vuol dire “infiammazione delle articolazioni”. Le malattie articolari possono essere suddivise in due grandi categorie: artrosi e artriti. La prima (vedi Artrosi) è considerata soprattutto una malattia […]



Il termine artrite deriva dal greco arthron che significa articolazione; il suffisso “ite” si impiega in medicina per indicare una situazione di tipo infiammatorio. La parola artrite, letteralmente, vuol dire “infiammazione delle articolazioni”.

Le malattie articolari possono essere suddivise in due grandi categorie: artrosi e artriti. La prima (vedi Artrosi) è considerata soprattutto una malattia di tipo degenerativo, che ha come bersaglio principale la cartilagine. La categoria delle artriti, invece, è piuttosto numerosa e comprende più di cinquanta tipi diversi, che si possono suddividere, per semplicità, in cinque gruppi principali.

1. Artriti idiopatiche o primarie: sono quelle per cui non è stata identificata alcuna causa responsabile specifica; le più conosciute sono l’artrite reumatoide e le spondilartriti.

2. Artriti da microcristalli: le più note sono la gotta, provocata da cristalli di urato monopodico conseguenti un eccesso di acido urico circolante nel sangue (condizione nota come iperuricemia), e la condrocalcinosi o pseudogotta, dovuta a cristalli di pirofosfato di calcio.

3. Artriti da germi: sono a loro volta suddivisibili in artriti infettive (o settiche), provocate da germi che invadono l’articolazione e si annidano dentro di esse, e artriti reattive in cui i germi, pur presenti in sedi diverse dall’articolazione, provocano una reazione a livello articolare che può persistere e diventare cronica, anche dopo che il germe scompare.

4. Artriti delle connettiviti o delle vasculiti: sono provocate da autoanticorpi o da infiammazione dei vasi sanguigni, come è possibile osservare, per esempio, nel lupus eritematoso sistemico, nella sclerodermia o in alcune vasculiti.

5. Artriti secondarie a malattie non reumatiche: sono conseguenti, per esempio, ad alcuni tipi di tumori e ad affezioni che colpiscono la tiroide e il sangue.


Chi è colpito

È noto che pressoché tutte le forme di artrite sopra elencate possono insorgere a qualsiasi età, anche se assumono spesso forme diverse a seconda che il soggetto colpito sia giovane o un anziano. Queste malattie si riscontrano in tutte le popolazioni, con differenze poco rilevanti e senza preferenze di razza o di condizione sociale, tranne qualche rara eccezione. Si stima che le artriti croniche colpiscano circa il 2-2,5% della popolazione; la fetta più importante è costituita dall’artrite reumatoide (0,5-1%), dalla gotta (0,5-1%) e dalle spondiloartriti (0,5-1%).


Quali sono le cause

Per ciò che concerne i possibili meccanismi che causano le artriti, si può pensare, in modo un po’ schematico, al concorso iniziale di due fattori principali: uno rappresentato dalla predisposizione genetica e l’altro da stimoli talvolta sconosciuti, talvolta noti. Questi ultimi possono provenire dall’interno dell’organismo (per esempio gli autoanticorpi) o dall’esterno (per esempio germi o cristalli). Dall’incontro di questi fattori si scatena una cascata di eventi che hanno come protagonisti alcune cellule del sangue, i globuli bianchi o leucociti (e fra questi in particolare, i linfociti) poi i neutrofili e infine i macrofagi. Queste cellule vengono attirate nel luogo dell’infiammazione e “attivate” con proliferazione e produzione di alcune sostanze essenziali per lo sviluppo dell’infiammazione stessa, quali le citochine (in particolare il Tumor Necrosis Factor o TNF) e l’interleuchina-1 (IL-1). Queste, a loro volta, stimolano la produzione di metalloproteasi, che esplica un’azione destruente per l’osso e per la cartilagine articolare. Il tessuto più coinvolto è però la membrana sinoviale, che prolifera laddove si forma un ispessimento detto panno, provocando un aumento anomalo di liquido sinoviale.

Gli eventi descritti si possono riconoscere visitando un paziente con artrite: l’articolazione colpita risulta infatti calda e arrossata (a causa di un maggiore afflusso di sangue), gonfia (per aumento del volume di liquido sinoviale) e dolente (per la produzione a livello locale di sostanze chimiche che causano dolore). Questi fenomeni, però, non sono così evidenti quando colpiscono la colonna vertebrale o le articolazioni del bacino; la valutazione in questi casi è quindi difficile, ed è ciò che accade nelle cosiddette spondiliti.

L’infiammazione, articolare o generalizzata, associata all’artrite determina una reazione nell’intero organismo, e i suoi segnali si avvertono anche a livello del sangue, con alterazione di alcuni valori, detti indici di infiammazione, tali valori, per esempio la velocità di eritrosedimentazione (VES) e la proteina C reattiva (PCR), che aumentano già qualche ora dopo l’inizio del processo infiammatorio e ne seguono abbastanza fedelmente l’evoluzione, fino a ritornare a valori normali quando l’infiammazione si spegne. Ovviamente, se le artriti diventano croniche, questi indici permangono costantemente elevati. Alcune forme della patologia, per motivi non completamente noti, non determinano purtroppo l’aumento di questi indici, rendendo così difficile la diagnosi da parte del medico.

Laddove fosse presente un evidente gonfiore articolare, è molto utile aspirare con una siringa il liquido sinoviale e analizzarlo, per svelare rapidamente la presenza di infiammazione ed eventualmente di alcuni agenti che potrebbero esserne responsabili, quali i microcristalli e i germi.


Quale trattamento

La terapia delle artriti di qualsiasi tipo ha come obiettivi essenziali la riduzione immediata di alcuni sintomi chiave (dolore e limitazione della funzione articolare) e, in proiezione futura, l’arresto o il rallentamento della malattia.

Nel breve termine, il modo più efficace per ottenere la riduzione dei sintomi è contrastare l’infiammazione. A tale scopo i farmaci di primo e più pronto impiego sono gli antinfiammatori non steroidei (FANS) che possono essere di tipo tradizionale (aspirina, indometacina, ibuprofene, naprossene ecc.) o di nuova generazione, come i cosiddetti inibitori delle Cox-2 (Coxib).

Nelle artriti, i FANS, contribuiscono a diminuire oltre al dolore, altri segni dell’infiammazione, inclusi l’eventuale febbre e la rigidità mattutina. Tuttavia questi farmaci possono causare effetti indesiderati per fortuna raramente gravi) specie in soggetti a rischio. I più frequenti sono quelli a livello dell’apparato digerente, seguiti da quelli dell’apparato cardiocircolatorio (in particolare possono provocare un aumento della pressione arteriosa) e del sistema renale. Inoltre, possono comparire problemi di natura allergica. Per evitare o almeno ridurre questi effetti erano stati recentemente prodotti gli inibitori delle Cox-2 che però hanno dimostrato di non essere neanche loro completamente sicuri, come si sperava e ci si aspettava. Ne deriva che, allo stato attuale, conviene considerare i FANS, sia tradizionali sia Coxib, come “buoni” farmaci il cui impiego va però attentamente programmato insieme al medico curante, limitandone drasticamente l’uso spontaneo e improvvisato. In alcune malattie, come nelle artriti da microcristalli e nella spondilite anchilosante, sono spesso sufficienti, mentre in altre forme le loro proprietà antinfiammatorie si rivelano piuttosto limitate e non riescono a produrre gli effetti benefici necessari su alcune sostanze importanti per la genesi e il mantenimento dello stato infiammatorio, quali le sopra citate citochine.

L’effetto antinfiammatorio più potente che si conosca è invece prodotto dai cortisonici (detti anche glucocorticoidi o steroidi) che sono stati impiegati per la prima volta nel lontano 1948 in pazienti con l’artrite reumatoide. Questi farmaci sono estremamente efficaci e utili nel breve temine,ma il loro impiego nel lungo periodo va invece ponderato attentamente in quanto, se assunti ad alte dosi e per anni, possono provocare molti effetti indesiderati, anche gravi, quali l’ipertensione, il diabete e l’osteoporosi. I cortisonici possono essere utili anche per iniezione diretta dentro l’articolazione colpita (iniezione intrarticolare), da preferire nei pazienti in cui solo poche articolazioni sono interessate dalla malattia o nei quali le altre terapie non siano state efficaci. A testimonianza dell’utilità di tale tipo di trattamento, si ricorda che le infiltrazioni intrarticolari con cortisone sono le più usate nelle artriti infantili.

I farmaci antinfiammatori, sia i FANS sia i cortisonici, sembrano però poco attivi nel bloccare l’evoluzione della malattia, per cui nelle artriti che mostrano tendenza a perdurare nel tempo, ossia a diventare croniche (in particolare artrite reumatoide e artrite psoriasica) conviene adoperare i cosiddetti Disease-Modifying Antirheumatic Drugs (in sigla, DMARD), categoria di farmaci capaci sia di modificare l’evoluzione della malattia sia di esercitare effetto antinfiammatorio con riduzione del ricorso al cortisone. Negli anni, varie sostanze sono state impiegate a questo scopo, sia singolarmente sia in associazione: l’idrossiclorochina (Plaquenil), i sali d’oro, la sulfasalazina, la ciclosporina e il methotrexate. La scelta dipende ovviamente dal tipo di malattia, dal suo grado di “attività”, dalle caratteristiche del soggetto ammalato, da eventuali patologie concomitanti e così via.

Alcuni fra questi farmaci hanno notevoli capacità di influenzare la risposta immunitaria, per cui vanno assunti dietro stretto controllo medico, con frequenti analisi di laboratorio, al fine di individuare precocemente eventuali effetti indesiderati, che, se trascurati, possono essere anche gravi. Se, però, vengono osservate alcune elementari ma indispensabili precauzioni, questi farmaci si rivelano molto utili, soprattutto il methotrexate, viene definito un “farmaco áncora” in quanto particolarmente adatto a essere associato ad altri per svolgere un effetto “sinergico” efficace sulla malattia.


I nuovi farmaci

Dal momento che in molti pazienti i farmaci sono convenzionali inefficaci o solo parzialmente efficaci, si è visto favorevolmente l’arrivo di una nuova categoria di sostanze anticitochine (in particolare gli anti-TNF): chiamati farmaci biologici, sono ottenuti con sofisticate tecniche di biologia molecolare. Come si è già visto, le citochine maggiormente responsabili dello sviluppo delle artriti sono proprio il TNF e la IL-1. I farmaci anticitochine cercano di inattivare o di inibire queste sostanze, riducendo così l’infiammazione, ma in modo più ampio e completo rispetto a quanto può essere ottenuto con il cortisone o con i farmaci DMARD. Il risultato è che essi riescono a bloccare, oltre che i sintomi, anche l’evoluzione della malattia in modo efficace nella maggior parte dei casi. Anche questi farmaci possono però causare effetti collaterali, per cui devono essere assunti solo in casi selezionati e sotto stretto controllo medico; per questo motivo sono solo pochi i centri autorizzati a prescriverli.

Attualmente, i farmaci biologici più adoperati sono gli anti-TNF, quali l’etanercept (Enbrel®), l’infliximab (Remicade®) e l’adalimumab (Humira®), e l’anti IL-1 (Anakinra®). Sono attualmente in corso di sperimentazione molti altri farmaci dello stesso tipo, ma con caratteristiche diverse.


Artrite reumatoide

L’artrite reumatoide (AR) è senza dubbio una delle artriti più gravi e disabilitanti: di solito colpisce più articolazioni contemporaneamente (per questo si definisce poliartrite) e comporta un tipo di dolore e deformazioni tali da produrre gravi conseguenze sulle attività lavorative e persino sui più semplici movimenti, quali aprire un barattolo o camminare.

Le cause che la determinano, pur non essendo completamente note, sono in gran parte riconducibili a un’alterata regolazione del sistema immunitario che, come in altre malattie autoimmunitarie, attacca l’organismo stesso invece che i possibili “nemici” a esso estranei.

Nel caso di questa patologia, il bersaglio dell’anomala azione del sistema immunitario è la membrana sinoviale delle articolazioni. La malattia colpisce soprattutto le donne, più spesso quelle fra i 25 e i 50 anni, ma anche soggetti di sesso maschile, bambini e anziani.


Sintomi e segni

Come in altre artriti, il sintomo principale è il dolore, associato a gonfiore, che si presenta in molte articolazioni, in particolare quelle di mani e piedi.

I pazienti lamentano, inoltre, disturbi quali un fastidioso senso di indolenzimento e di disagio ad articolazioni e muscoli, soprattutto al mattino al risveglio e dopo il riposo, nonché una ridotta capacità di movimento degli arti.

Inoltre possono comparire anche febbre, malessere diffuso, facile affaticabilità e mancanza d’appetito. Le articolazioni più precocemente colpite sono quelle delle dita di mani e piedi, polsi e ginocchia, seguite, in ordine di frequenza, da spalle, gomiti, anche e così via, in genere in modo simmetrico, ossia interessando le stesse articolazioni nei due lati del corpo.

A differenza di quanto accade nelle spondiloartriti, le articolazioni della colonna vertebrale non sono interessate, ma talvolta l’artrite reumatoide può coinvolgere organi o sistemi non collegati alle articolazioni (si parla in questo caso di interessamento sistemico), come la pelle (con comparsa di piccoli noduli sottocutanei, detti noduli reumatoide), le ghiandole che producono le lacrime (con secchezza oculare) e le ghiandole salivari (con secchezza della bocca). Più raramente possono essere colpiti il polmone (con una condizione nota come fibrosi polmonare), il cuore (con insorgenza di una pericardite) e i piccoli vasi sanguigni (con insorgenza delle cosiddette vasculiti).

Molto importante è comunque in questa malattia l’impegno dell’osso, sia articolare, con comparsa di erosioni e di un’osteoporosi localizzata, sia extrarticolare, con osteoporosi generalizzata a tutto lo scheletro, che può essere spontanea (ossia determinata dallo scarso movimento che la persona ammalata riesce a fare o da una carente alimentazione) oppure provocata dai farmaci impiegati nell’artrite, in particolare il cortisone.


Come nasce la malattia?

Come illustrato in precedenza, l’artrite reumatoide colpisce la membrana sinoviale delle articolazioni che, attaccata dai globuli bianchi, va incontro a infiammazione (sinovite) e con il tempo si ispessisce formando il cosiddetto panno sinoviale. Da questi eventi deriva un’eccessiva produzione di sostanze (citochine) che a loro volta stimolano la produzione e l’attività di altre sostanze (le metalloproteasi) capaci di distruggere l’osso e la cartilagine, con conseguente deformazione e talvolta immobilizzazione delle articolazioni.


Gli esami di laboratorio possono essere utili?

Con gli esami di laboratorio effettuati sul sangue si cerca di indagare sulla presenza d’infiammazione (VES e PCR).

Nei soggetti in cui si sospetti la malattia si ricerca anche il cosiddetto fattore reumatoide, che è presente nel 60-70% circa dei pazienti che presentano questa patologia.

Purtroppo, tale fattore si può riscontrare anche in soggetti affetti da altre malattie di tipo autoimmunitario o con infezioni tipo l’epatite virale, rendendo più difficoltosa la diagnosi.

Recentemente si dispone di un esame che ricerca gli anticorpi-anticitrullina (anti-CCP), la cui presenza indica quasi certamente un’artrite reumatoide.

Di fatto almeno un soggetto su tre, in media, pur avendo la malattia, mostra risultati normali sia per il fattore reumatoide sia per gli anti-CCP: ne deriva per il reumatologo una difficoltà superiore e maggiori responsabilità nel diagnosticare la patologia.

Nei casi in cui sia presente liquido sinoviale in eccesso, che provoca un gonfiore articolare, può essere utile la sua aspirazione per dare sollievo al paziente ma soprattutto per analizzarlo e potere quindi più agevolmente riconoscere la causa dell’infiammazione articolare.

Le radiografie classiche sono estremamente utili in fase di studio della malattia, dal momento che l’artrite reumatoide è contraddistinta dalla formazione di erosioni ossee, il cui numero e le cui dimensioni sono proporzionali alla gravità della patologia.

In casi particolari si ricorre alla risonanza magnetica nucleare, mentre è più frequente l’impiego dell’ecografia, utile per studiare il grado di compromissione dei tessuti che compongono e circondano l’articolazione.


Le possibilità di cura

Come in tutte la malattie, la terapia deve essere sia farmacologica sia non farmacologica, ed è bene che il paziente percepisca l’importanza di quest’ultima e si impegni quindi a effettuare un regolare programma di attività fisica appositamente studiato.

Per ciò che concerne la terapia farmacologica si leggano i paragrafi Quale trattamento e I nuovi farmaci. [L. P.]