di Monica Marelli
L’olio migliore per friggere il pesce? Quello extravergine di oliva. Lo dimostra uno studio spagnolo coordinato dalla dottoressa Bárbara Nieva-Echevarría, dell’Università dei Paesi Baschi, pubblicato sulla rivista scientifica Food Research International (sciencedirect.com).
I ricercatori hanno visto che se viene superato il cosiddetto punto di fumo (te ne accorgi perché dalla padella inizia a salire un vapore grigio) avvengono dei processi diossidazione che “danneggiano” i grassi (in particolare polinsaturi) non solo dell’olio (come già si sapeva), ma anche del pesce, portando alla formazione di acroleina, una sostanza tossica per il fegato.
Orate e branzini (le due specie prese in esame) non si limitano infatti ad assorbire le sostanze più o meno sane presenti nel tipo di olio usato, ma anche a cedere parte dei loro preziosi Omega 3 al liquido in cui sono immersi, impoverendosi e, al tempo stesso, aumentando le quantità di lipidi deteriorabili. Le conclusioni del team di ricercatori dell’Università basca?
Per cuocere a temperature elevate, no agli oli di semi che, essendo ricchi di polinsaturi, si alterano con facilità. L’olio extravergine d’oliva, al contrario, contiene quasi esclusivamente monoinsaturi, che resistono meglio. Inoltre, possedendo parecchi antiossidanti, bloccano sul nascere la formazione dell’acroleina.
Sul tipo di grasso da scegliere, dunque, non dovresti più avere dubbi. Ma per una frittura davvero sana (pesce o non pesce che sia) occorre fare attenzione anche ad altri particolari. Come ci spiega il professor Giovanni Lercker, dell’Università di Bologna.
DI QUALE MATERIALE DEV'ESSERE LA PADELLA?
«Di acciaio inossidabile, che non contamina i cibi nemmeno alle alte temperature», risponde il professor Lercker.
«Rame, alluminio, ferro o acciai di scarsa qualità, invece, quando vengono utilizzati per friggere possono rilasciare ioni metallici, che accelerano la formazione di radicali liberi, il deterioramento dell’olio e la liberazione di acroleina».
QUANTO OLIO DEVO VERSARE?
«Quello sufficiente affinché il cibo rimanga immerso», consiglia il nostro esperto. «Così ogni parte potrà cuocere nello stesso tempo e in modo uniforme.
Non solo, se l’olio è abbondante, è più facile mantenerlo a temperatura costante (170-180 °C) favorendo una rapida formazione della crosta, che permette il passaggio di calore per la cottura ma limita l’assorbimento di olio da parte del cibo.
DEVO COMPRARE UN TERMOMETRO DA CUCINA?
«Gli alimenti da friggere dovrebbero essere versati nella padella quando l’olio ha raggiunto la sua massima temperatura », precisa il professor Lercker.
«Immergi un pezzetto di mollica: se si formano delle piccole bollicine tutte intorno (si tratta di vapor d’acqua, che esce dalla briciola) allora l’olio è pronto. Un termometro sarebbe più preciso, certo, ma puoi benissimo farne a meno. Anche perché richede un po’ di esperienza se vuoi evitare di scottarti o di romperlo».
LA FIAMMA VA TENUTA ALTA O BASSA?
«Dipende. Va regolata in maniera che l’olio conservi il suo caratteristico “sfrigolio”, senza però iniziare a “schiumeggiare”», avverte l’esperto.
SÌ O NO ALL'IMPANATURA?
Come la semplice infarinatura o l’impastellamento consente la formazione di una crosta “protettiva”, che impedisce al cibo di perdere acqua, diventando duro e spugnoso», spiega Giovanni Lercker.
«Il mio consiglio è di calibrare bene gli spessori dei cibi per evitare che rimangano crudi al centro (se tagliati troppo grossi) o in parte carbonizzati (se eccessivamente sottili).
Occhio anche ai tempi di cottura: se prolungati, l’alimento finisce col risultare unto e poco gradevole al palato».
LA CARTA ASSORBENTE COLORATA VA BENE?
«No, perché a contatto con i cibi caldi può cedere sostanze chimiche», avverte l’esperto. Lo stesso vale anche per i piatti di plastica: usali solo se sulla confezione è specificata la possibilità di impiegarli per alimenti “bollenti”.
POSSO RISCALDARE GLI AVANZI?
«Il cibo fritto va “cotto e mangiato” altrimenti perde croccantezza. Se hai provato a scaldarlo ti sarai accorta anche dei cattivi odori che sprigiona nell’ambiente. Sono dovuti all’alterazione dei grassi che, a contatto con l’aria, si ossidano diventando indigesti», conclude il professor Lercker.
UN MOTIVO IN PIÙ A VANTAGGIO DELL’EXTRAVERGINE
Non contiene “contaminanti di processo”: sostanze nocive, non presenti naturalmente nell’alimento, che vengono acquisite durante le fasi produttive. L’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha da poco dedicato loro un dossier perché sono sospettati di essere pericolosi per i reni e, in alcuni casi, addirittura cancerogeni.
I “contaminanti di processo ” si possono trovare, in quantità più o meno significative, in tutti i grassi raffinati, da quello di palma (il principale imputato) agli oli di semi di girasole, mais, arachide... Gli unici che sicuramente ne sono privi sono gli oli di oliva (vergine o extravergine) semplicemente perché non subiscono nessun tipo di raffinazione.
Articolo pubblicato sul n.39 di Starbene in edicola dal 13/09/2016
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