di Valeria Ghitti
I timori per la sicurezza della carne che mangiano sono in continuo aumento. Mentre la trasmissione Report ha portato alla ribalta un caso di vitelli dopati in provincia di Cuneo, cresce l’ansia per il TTPI (Trattato transatlantico di commercio e investimenti): se l’Unione Europea lo firmerà con gli Stati Uniti, i nostri confini potrebbero aprirsi alla carne made in Usa, dove è consentito l’uso di ormoni e farmaci dopanti. Dobbiamo preoccuparci? E, soprattutto, come possiamo difenderci? Lo abbiamo chiesto ai nostri esperti
La fettina che compriamo può contenere sostanze vietate?
«Non possiamo escluderlo del tutto. Anche se in Italia, come nel resto dell’UE, la legge è molto rigida e vieta, per esempio, il ricorso a ormoni, anabolizzanti e antibiotici a scopo preventivo, le indagini dei Nas e della Guardia di Finanza mostrano che le regole non sono sempre rispettate», commenta Silvia Biasotto, del Movimento Difesa del Cittadino. Quando i farmaci sono impiegati in modo lecito, nella carne che mangi rimangono zero tracce (o quantità minime, non pericolose per la salute) perché si aspetta che vengano smaltiti dall’animale prima della macellazione. «E comunque gli eventuali residui vengono generalmente distrutti dalla cottura», aggiunge Diana Scatozza, medico nutrizionista.
Dobbiamo preferire i prodotti italiani?
«Sì, abbiamo una legge tra le più restrittive e un sistema di controlli che, benché non sia infallibile, è il più efficiente in Europa. Anche per questo vengono scoperte le frodi (come dimostra il caso dei vitelli dopati del cuneese)», spiega Giorgio Donegani, tecnologo alimentare. «Se la filiera è più corta, inoltre, la tracciabilità e la sicurezza sono maggiori», aggiunge Biasotto. Controlla l’etichetta: quella sulla carne bovina già da anni deve riportare per legge il Paese di nascita, ingrasso, macellazione e sezionamento dell’animale (meglio se è “Italia” per tutte le fasi). Dal 1° aprile c’è l’obbligo di indicare la provenienza anche su pollame (dai noi veniva già fatto), suini, ovini e caprini. Attenta però a non confonderti: «La dicitura “Origine Italia” indica carne 100% nazionale, mentre “Allevato in Italia” non significa che l’animale sia anche nato da noi», chiarisce Biasotto. Per conigli e cavalli, invece, non esiste al momento alcuna regola: se ti piace questo tipo di carne, rivolgiti a macellai di fiducia che sappiano darti garanzie sulla provenienza.
Quali sono gli animali più “contaminati”?
Quelli allevati in maniera intensiva, ammassati in spazi chiusi e angusti, senza accesso all’esterno né alla luce naturale. «Praticamente quasi tutti i conigli e i suini italiani e l’80% del pollame dell’UE», precisa Annamaria Pisapia, direttore di CIWFCompassion in World Farming Italia (per saperne di più leggi il libro-inchiesta Farmageddon, di Philip Lymbery, Nutrimenti, 19 euro). «Se non è rispettato il suo benessere, l’animale si ammala più spesso e l’uso di farmaci aumenta: vale in particolare per pollame, conigli e maiali», spiega Donegani. «Chi ricorre a ormoni e sostanze dopanti lo fa invece con gli animali (come i bovini) che impiegherebbero troppo tempo per raggiungere il peso ottimale per la macellazione».
Come facciamo ad avere informazioni sul tipo di allevamento?
In questo l’etichetta non aiuta. «Diciture come “allevato all’aperto” o “biologico” non danno una garanzia assoluta: l’accesso al pascolo delle vacche bio non è sempre garantito e i polli possono essere tenuti a terra in situazioni di sovraffollamento », avverte Pisapia. «Meglio affidarsi ai consorzi di eccellenza di carni Dop e Igp o ad associazioni di allevatori che seguono disciplinari volontari rigorosi (lo fanno proprio per difendersi dai disonesti)», aggiunge il tecnologo alimentare.
Possiamo difenderci guardando l’aspetto del prodotto?
«In parte sì. La carne di bovino o di cavallo, che ha fibre allungate, rilascia tanto liquido nelle confezioni e si restringe molto in cottura, proviene probabilmente da un animale fatto crescere in fretta», spiega Donegani. «Quella di maiale, quando è pallida e opaca, senza venature di grasso, indica l’assenza di movimento. Lo stesso vale per quella di pollame e conigli, se è troppo chiara e si stacca facilmente dall’osso. Il grasso di un pollo allevato bene normalmente è giallo intenso ma, attenzione, perché questo colore si può ottenere anche con mangimi a base di mais e carotene».
Alcuni tipi di carne vanno aboliti dalla dieta?
«Se non hai particolari problemi di salute, no: alterna le varie fonti, pur non superando le 3-4 porzioni alla settimana da 100-120 g», consiglia Diana Scatozza. «Quella di pollame e coniglio è poco calorica, molto digeribile e magra, ma povera di ferro, che invece trovi in abbondanza nella carne di cavallo e di bovino. Il maiale è il più ricco di selenio e potassio, mentre la carne di agnello è difficile da digerire perché grassa».
Bistecche & Co. scontate sono a rischio?
«Non è detto, ma è carne che deve essere smaltita in fretta perché è rimasta inveduta: l’allevatore, per non buttarla, la cede a prezzi stracciati», chiarisce Giorgio Donegani. «È un’altra stortura di una produzione intensiva: meglio comprare poca carne ma buona, il portafoglio non ne risente e la salute ne guadagna».
Troppi antibiotici negli allevamenti
«II 71% degli antibiotici venduti nel nostro Paese è destinato agli animali, un uso massiccio che contribuisce allo sviluppo di batteri resistenti», rivela Annamaria Pisapia, direttore di CIWF Italia, che si occupa del benessere degli animali negli allevamenti. L’associazione di consumatori Altroconsumo già nel 2013 aveva scovato Escherichia coli super forti nell’84% dei 45 campioni di petto di pollo comprati in Italia. «Questi microrganismi possono trasmettere ad altri batteri presenti nel nostro organismo il loro meccanismo di resistenza che, sommato a quello derivante dall’uso eccessivo di questi stessi farmaci nell’uomo, finirà per lasciarci senza farmaci efficaci per curarci», mette in guardia Altroconsumo.
Articolo pubblicato sul n.23 di Starbene del 26/05/2015 ora in edicola
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