di Francesca Soccorsi
Da quando, alcuni mesi fa, è scattato l’obbligo per le aziende alimentari di indicare in etichetta il tipo di olio vegetale utilizzato nei diversi prodotti, abbiamo scoperto che, oltre a quello vituperato di palma, cibi quali i biscotti, il pane in cassetta, i croissant, i gelati, le salse e i dadi da brodo possono contenerne altri di cui sappiamo poco. «Servono ad amalgamare e a dare consistenza ma, rispetto a quelli di mais, di arachidi, di girasole, di lino o di vinaccioli e al più pregiato olio d’oliva, spesso sono ricchi di grassi saturi, pericolosi per la salute dell’apparato cardiovascolare», spiega la dottoressa Alessandra Esposito, biologa nutrizionista. «Oppure contengono altri grassi dannosi, per esempio l’acido erucico». Fanno male quanto l’olio di palma?
OLIO DI PALMISTO
È un olio tropicale raffinato. A differenza di quello di palma, che è ricavato dalla polpa del frutto, questo si ottiene dai semi.
Ha troppi grassi saturi
La pianta, quindi, è la stessa, ma il contenuto di grassi “cattivi” è ancora più elevato: 81% contro il 50%. In pratica, su 10 g (più o meno un cucchiaio da minestra), oltre 8 g sono grassi saturi (la stessa quantità di olio d’oliva, di girasole, di mais, di soia o di arachide ne ha tra 1 e 1,7 g). «In cucina è poco utilizzato, fatta eccezione per alcuni paesi dell’Africa occidentale, però è molto usato dall’industria dolciaria per le glasse, la canditura, le creme e le farciture, spiega la dottoressa Esposito. «Purtroppo anche la ristorazione a basso costo spesso se ne serve per friggere, perché è economico». Quindi, occhio ai cibi che lo contengono (in commercio, puoi trovare prodotti molto più genuini, preparati con olio di mais o di girasole o, ancora meglio, con quello d’oliva) e ai pasti frequenti nei fast food: il rischio è che, aggiunto agli altri grassi saturi che assumiamo quotidianamente con l’alimentazione, per esempio con la carne e i formaggi, l’olio di palmisto ci faccia superare ampiamente quel 10% di apporto giornaliero di grassi saturi (circa 25 g per le donne e 31 g per gli uomini) raccomandato dai Larn 2014 (i Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana).
Non è ecosostenibile
Intere zone di foresta pluviale in Indonesia e Malesia vengono abbattute ogni giorno per far posto alle palme da olio (l’equivalente di 300 campi da calcio ogni ora) e gli effetti in termini di emissioni di anidride carbonica e di riduzione della biodiversità animale e vegetale sono disastrosi.
OLIO DI COLZA
La sua produzione, a livello mondiale, è seconda soltanto a quella dell’olio di palma e di soia: è un olio raffinato, che si ricava dai semi della Brassica napus (nome scientifico della colza). In Italia è destinato ai cibi industriali: lo trovi negli alimenti pronti, come biscotti, brioche, grissini, dolci, creme spalmabili, zuppe, sottoli e alcuni surgelati. Nel Nord Europa e negli Stati Uniti, invece, è molto usato anche per cucinare.
Contiene il tossico acido erucico
Il problema non è rappresentato dai grassi saturi, che sono pochi (circa l’8%, in particolare l’acido palmitico e lo stearico): «Quello di colza è un olio poco sano perché il processo di raffinazione ossida i grassi polinsaturi e li trasforma in trans (che, nell’organismo, favoriscono i processi infiammatori) e, soprattutto, perché contiene quantità elevate di acido erucico (fino al 60%), un grasso monoinsaturo potenzialmente tossico per fegato e cuore», nota la dottoressa Esposito. In Italia l’acido erucico è ammesso a concentrazioni non superiori al 5% (per questa ragione si usa soprattutto l’olio di varietà canola, derivato da alcune specie selezionate di colza, che hanno un contenuto compreso tra 0,3% e 1,2%), ma quest’olio è talmente diffuso che il rischio di abusarne è alto.
E' in gran parte Ogm
Colza e canola utilizzate dall’industria alimentare sono in gran parte Ogm: i principali produttori, infatti, sono il Canada, l’India e il Pakistan, Paesi in cui le coltivazioni transgeniche sono diffuse.
OLIO DI COCCO
Purtroppo le aziende alimentari utilizzano quasi esclusivamente quello raffinato nel quale la qualità dei lipidi è scadente. «Altra cosa è l’olio di cocco vergine biologico spremuto a freddo che, sebbene abbia moltissimi grassi saturi (87%), è protettivo per il cuore», dice l’esperta.
Se vergine, abbassa i trigliceridi
«Contiene quantità elevate (oltre il 60%) di un particolare tipo di grassi (il caproico, il caprilico, il laurico e il caprico) che, nel sangue, riducono i livelli di trigliceridi, colesterolo totale e Ldl e aumentano quelli di colesterolo “buono”, l’Hdl. In più, preservano la salute del cervello, migliorano la digestione, ci difendono da batteri, virus e funghi, accelerano il metabolismo, saziano e riducono il senso di fame, quindi favoriscono il controllo del peso". Lo trovi nei negozi bio e di alimentari più forniti.
La rivincita del burro
Contiene oltre il 50% di grassi saturi (molti di più rispetto all’olio di colza e la stessa quantità di quello di palma). Eppure, dopo anni in cui è stato additato come un nemico da evitare, ora il burro si prende la rivincita. Tanto che il settimanale americano Time gli ha dedicato una copertina. Si è scoperto che è più salutare degli oli vegetali tanto usati dalle industrie alimentari, in particolare quelli tropicali, perché è un grasso non raffinato. I suoi lipidi non vengono alterati e degradati dai processi di lavorazione industriale (come avviene, in parte, anche nel caso degli oli vegetali più sani, per esempio di mais o di girasole) e gli acidi grassi Omega 3 e 6 e le vitamine (in particolare la A, la D, la E e la K) restano intatti. «Questo, però, non ci autorizza ad abusarne», chiarisce Alessandra E sposito
Articolo pubblicato sul n. 26 di Starbene in edicola dal 16/06/2015