Carboidrati: come inserirli in un programma dimagrante

Alcune persone evitano completamente i carboidrati per favorire la perdita di peso e puntano sulle proteine. Si tratta di un errore comune, frutto della convinzione sbagliata che esistano cibi “buoni” per dimagrire e altri “cattivi” che invece fanno ingrassare



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Nel vasto universo delle diete, i carboidrati sono spesso identificati come i principali colpevoli dell’aumento di peso. Per decenni, molte tendenze alimentari hanno promosso la loro drastica riduzione o eliminazione, associandoli a un ostacolo per il dimagrimento. Tuttavia, la realtà è ben più sfumata: se inseriti in un piano alimentare bilanciato, i carboidrati possono tranquillamente far parte di un regime volto al controllo del peso.

«Chiamare pane, pasta e cereali soltanto “carboidrati” è una semplificazione fuorviante», commenta il biologo nutrizionista Gabriele Bernardini. «Questi alimenti non forniscono esclusivamente energia, ma sono vere e proprie miniere di micro e macro-nutrienti. Nella tipica dieta italiana apportano circa il 29% del fabbisogno proteico, il 42% della fibra, il 19% dei grassi polinsaturi Omega-6 e il 9% degli Omega-3, senza contare tanti altri micronutrienti fondamentali: folati, ferro, niacina, tiamina, vitamina B6, calcio, magnesio, potassio, cromo, zinco». Rinunciare totalmente ai carboidrati significa privarsi di un patrimonio nutrizionale che va ben oltre le calorie.

Uno dei problemi più diffusi è la tendenza a identificare un alimento con un solo macronutriente: pane = carboidrati, carne = proteine, avocado = grassi. Questa visione riduttiva penalizza la comprensione dell’alimentazione nel suo complesso. «Ogni gruppo alimentare ha una funzione specifica e insostituibile: demonizzarne uno è fuorviante», aggiunge Bernardini. «Il cibo è un insieme complesso di nutrienti, non un singolo “principio attivo”. Focalizzarsi ossessivamente su pochi macronutrienti ci fa perdere di vista l’insieme e questo rappresenta uno dei grandi limiti della comunicazione alimentare moderna».

Contano le calorie, non i carboidrati

Il meccanismo alla base del dimagrimento è chiaro: per perdere peso, bisogna introdurre meno calorie di quante se ne consumano. Non è il carboidrato in sé a farci ingrassare, ma l’eccesso calorico complessivo. «Il dimagrimento avviene quando si crea un deficit calorico, non per la semplice eliminazione dei carboidrati», chiarisce Bernardini. «Si può raggiungere questo deficit in vari modi: riducendo i grassi, i carboidrati o anche una parte delle proteine, a seconda delle preferenze e dello stile di vita».

Se, però, l’obiettivo non è solo perdere peso velocemente, ma anche mantenerlo nel tempo e tutelare la salute, è fondamentale creare un piano alimentare equilibrato e sostenibile.

Il "mito" dell’indice glicemico e dei carboidrati integrali

Spesso si legge che i carboidrati complessi (come quelli integrali) fanno bene, mentre quelli semplici (zuccheri, dolci) fanno male. Sebbene questa distinzione abbia una base fisiologica (i carboidrati complessi vengono digeriti più lentamente, producendo un senso di sazietà più duraturo), la vera questione è il contesto in cui si inseriscono.

«Il problema non è lo zucchero in sé», spiega Bernardini, «ma il suo apporto calorico complessivo. Una fetta di torta, spesso consumata in aggiunta al pasto, non è dannosa in quanto “zuccherina”, ma perché rappresenta calorie extra, prive di un reale valore nutrizionale». Ecco perché si consiglia di preferire i carboidrati complessi, in particolare quelli integrali: non perché la farina bianca sia dannosa – non lo è – ma perché l’alto contenuto di fibre nei prodotti integrali aiuta a saziarsi prima e con meno calorie, facilitando il controllo del peso.

Anche l’indice glicemico è spesso frainteso. «È nato come parametro per i diabetici, ma oggi viene applicato fuori contesto», continua Bernardini. «Non misura la quantità di zuccheri in un alimento, ma la velocità con cui questi vengono assorbiti. Per esempio, la carota ha un indice glicemico relativamente alto, ma contiene pochissimi carboidrati: quindi può aumentare la glicemia un po’ più rapidamente, ma di fatto l’incremento è trascurabile».

Il punto non è demonizzare un alimento per il suo indice glicemico, ma valutare la sua densità calorica e il potere saziante. Cibi ultra-processati, ricchi di zuccheri e grassi, appagano molto ma saziano poco, favorendo un’assunzione calorica eccessiva. Al contrario, frutta, verdura e cereali integrali sono ricchi di fibre e acqua, forniscono energia con moderazione e aiutano a regolare naturalmente l’appetito. «Ciò che conta davvero è la qualità complessiva della dieta e il suo equilibrio energetico. L’indice glicemico può essere uno strumento utile in casi specifici, ma da solo non basta a definire la “bontà” di un alimento», sottolinea l’esperto.


Quanti carboidrati mangiare

Ogni giorno, la nostra alimentazione dovrebbe includere una quota di carboidrati, proteine e grassi in proporzioni bilanciate. Secondo le linee guida della dieta mediterranea, circa il 50-55% delle calorie giornaliere dovrebbe provenire dai carboidrati, il 20-30% dai grassi e il resto dalle proteine. «Questo significa che la maggior parte dell’energia che assumiamo ogni giorno dovrebbe arrivare proprio dai carboidrati», sottolinea l’esperto.

Meglio di giorno o anche la sera? «Un altro falso mito diffuso riguarda la distribuzione dei carboidrati durante la giornata», dice Bernardini. «Per anni si è parlato della cosiddetta “dieta dissociata”, secondo cui bisognerebbe evitare di combinare carboidrati e proteine nello stesso pasto o consumare i carboidrati solo nella prima parte della giornata per “smaltirli meglio”. Ma questa idea non ha alcun fondamento scientifico».

Ciò che conta è il bilancio calorico complessivo, non l’orario in cui si assumono determinati nutrienti. «Se una persona ha bisogno di 2000 calorie al giorno, può includere circa 120 grammi di pasta e 180 grammi di pane nell’arco della giornata e non fa alcuna differenza se li consuma a pranzo, a cena o durante uno spuntino serale, purché resti entro quel tetto calorico. È il consumo cronico di calorie in eccesso a determinare l’aumento di peso nel lungo periodo».

Lo stesso vale per chi fa attività fisica. «Le percentuali di macronutrienti, come il 50-55% di carboidrati tipico della dieta mediterranea, restano valide anche per chi si allena», precisa l’esperto. «La differenza sta nel fatto che chi fa sport ha un dispendio energetico maggiore, quindi ha bisogno di più calorie e, proporzionalmente, può consumare più carboidrati». Se una persona sedentaria che consuma 1800 calorie al giorno potrà introdurre circa 900 calorie provenienti dai carboidrati, uno sportivo che brucia 3500 o 4000 calorie avrà bisogno di una quantità maggiore di energia, ma le proporzioni restano le stesse.

Pizza sì, pizza no?

Nel settore, un altro dubbio riguarda la pizza: «È vero, è ricca di carboidrati, ma contiene anche molti grassi, soprattutto per via dei condimenti», sostiene Bernardini. «Questo la rende un alimento ad alta densità calorica. Tuttavia, se viene inserita all’interno di una dieta equilibrata, non è certo la pizza a farci ingrassare».

Per aumentare di peso in modo significativo, ad esempio un chilo di grasso, servirebbe un surplus di circa 7000 calorie, oltre al proprio fabbisogno energetico. «Se una persona consuma normalmente 2000 calorie al giorno, dovrebbe mangiarne 9000 in 24 ore per ingrassare di un chilo da un giorno all’altro. È praticamente impossibile», tranquillizza l’esperto.

Più realistico è un aumento graduale: mangiare anche solo 70 calorie in più al giorno porta a un chilo in più dopo circa 100 giorni. Eppure, molte persone credono che basti mangiare una fetta di pane in più per ingrassare di mezzo chilo il giorno dopo. «Questo equivoco deriva in parte dal fatto che i carboidrati trattengono acqua», evidenzia Bernardini.

Ogni grammo di carboidrati immagazzinato nei muscoli (come glicogeno) lega con sé circa 3 grammi di acqua. Quindi, se si eliminano i carboidrati dalla dieta, si perde rapidamente peso, ma si tratta soprattutto di liquidi, non di grasso. Quando poi si reintroducono pane, pasta o pizza, è normale vedere un aumento di peso sulla bilancia: è l’acqua che ritorna, non il grasso. Lo stesso vale per il sale, che contribuisce alla ritenzione idrica. «Dopo una pizza, ad esempio, potremmo pesare un chilo in più il giorno seguente, ma non perché abbiamo accumulato grasso corporeo. È solo un effetto temporaneo dovuto a sale e carboidrati che legano liquidi».

Insomma, quello che conta è sempre il contesto generale della dieta, la qualità degli alimenti e l’equilibrio tra calorie introdotte e calorie consumate. Superata questa consapevolezza, si riesce anche a mangiare con maggiore libertà e serenità.


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