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Hoovering, come difendersi dalla manipolazione nelle relazioni

Scopri cos’è l’hoovering, riconosci i segnali di questa tattica manipolativa e fai tue le strategie concrete per disinnescarla, proteggendo il tuo benessere emotivo

Foto: iStock



Hai mai ricevuto un messaggio inaspettato dal tuo ex partner proprio quando pensavi di aver finalmente voltato pagina e ritrovato la tua serenità? Questa mossa apparentemente innocente è spesso la prima subdola fase di una tecnica manipolatoria chiamata hoovering, dall'inglese hoover, aspirapolvere.

È una tattica spesso usata da persone che mirano a ristabilire il controllo e ad alimentare il loro ego, non per amore, ma per bisogno di potere e attenzione. Questa condotta non è limitata a una fascia d'età: sebbene gli adulti siano i più esposti nelle relazioni a lungo termine, i giovani e gli adolescenti sono particolarmente vulnerabili a causa della pervasività delle condotte digitali. La facilità con cui si può inviare un messaggio tramite WhatsApp, reagire a una story di Instagram, o "fare like" a un post ha trasformato i social media nel terreno di caccia ideale per l'hoovering.

Con la dottoressa Alessia Cipriano scopriamo in che consiste questa forma di manipolazione insidiosa che, proprio perché non richiede un contatto fisico diretto, potenzia la possibilità di stalking digitale e di messaggi ambigui che sfruttano la nostalgia o il senso di colpa.

Dottoressa, che cos'è esattamente l'hoovering e perché viene spesso associato al narcisismo e ai disturbi di personalità?

«L'hoovering, quando parliamo di relazioni, prende il nome proprio dall’aspirapolvere, dall’elettrodomestico. Come l’aspirapolvere risucchia, così una persona cerca di “riaspirare” l’altra dopo che c’è stata una separazione o un allontanamento, in una situazione che non è sana. Non lo fa perché c’è un sentimento reale, c’è piuttosto una perdita di potere che non viene accettata, e quindi scatta una sorta di bisogno di controllo. Si mettono in atto comportamenti per riprenderlo.

Si associa a certi tratti di personalità perché alcune persone non riescono ad accettare la separazione: è come se questa facesse perdere valore alla propria identità. Non c’è una mancanza reale dell’altra persona, ma risentono di un’alterazione dell’equilibrio nella loro esistenza, del fatto che non sono più protagonisti della vita di qualcuno. Ci tengo a dire che è importante fare attenzione a utilizzare etichette, ma è bene riconoscere quando si tratta di comportamenti che si ripetono. Conoscendoli, ci si può difendere».

Quali i segnali a cui fare attenzione per riconoscere l'hoovering?

«È molto comune che ci sia discontinuità nella comunicazione. Le persone cercano di testare ciò che funziona e ciò che non funziona per attirare nuovamente l’attenzione. C’è un riavvicinamento improvviso. Dopo tanto silenzio, dopo discussioni lasciate a metà, possono arrivare regali, nuove attenzioni. Si può pensare che sia tutto tornato normale, quando in realtà non si è mai risolto veramente nulla.

Si possono presentare anche delle urgenze: un problema di salute improvviso o qualcosa che “solo tu puoi capire”. È importante comprendere che, in quel momento, la persona ci crede davvero: magari pensa realmente di aver bisogno dell’altro. Non sempre è consapevole, ma proprio perché non lo è, è una strategia ancora più pericolosa. Possono esserci anche tentativi più sottili: “Ho trovato qualcosa di tuo”, “Devo portarti qualcosa”, pretesti futili o comunque non reali. 
L’obiettivo è sempre provocare una reazione nell’altro. Non importa quale - senso di colpa, compassione, rabbia - l’importante è che ci sia una risposta.
Perché nel momento in cui rispondi, riapri un canale. E da quel canale l’altro può rientrare. Un canale chiuso non si controlla. Uno aperto, sì».

Perché il manipolatore torna sempre dopo aver interrotto la relazione e qual è la vera motivazione psicologica dietro questo schema di avvicinamento e allontanamento?

«L’avvicinamento e l’allontanamento provocano nell’altra persona una risposta potente per una dinamica neurobiologica precisa: il cervello risponde di più alle ricompense intermittenti che a quelle costanti. È come nel gioco d’azzardo: quando è tutto costante e tranquillo, va bene. Ma quando è incostante, non sai mai quando vincerai, e quindi continui a giocare per ricevere quel premio che, forse, non arriverà mai. Non è detto che chi mette in atto tali comportamenti sia consapevole di questo meccanismo, ma vede che funziona. Un giorno c’è e un giorno sparisce. Il cervello dell’altra persona, nel tentativo di dare ordine a questa imprevedibilità, si aggancia ancora di più.

Oltretutto, la persona che mette in atto questi comportamenti potrebbe avere un rapporto conflittuale con l’intimità: la cerca e poi la respinge perché non sa trovare una distanza giusta. Il problema è che, mentre prova a gestire questa difficoltà, l’altra persona viene risucchiata in un vortice emotivo che crea una condizione di aggancio da cui è difficile distaccarsi».

Quali sono i rischi emotivi e psicologici a lungo termine per la vittima che cede all’hoovering e rientra nel ciclo della relazione tossica?

«Ogni volta che rientri nel ciclo, è come giocare con il fuoco. È molto facile ricadere completamente nella situazione, e questo fa perdere fiducia in sé stessi: “Ecco, vedi, ci sono ricascato”.
Ma la fiducia che si perde è più profonda: si perde sicurezza nelle proprie percezioni. Non sai se la realtà che vedi è reale. Perdi fiducia nei tuoi confini, nella tua capacità di dire “questo non va bene per me” e mantenerlo. Si crea una sorta di incoerenza interna che erode. Prima pensi: “questa volta sarà diverso”, poi “forse esagero”, poi “magari non è così male”. Ma quando ci rientri, non riesci più a riconoscere cosa è accettabile e cosa no. Il cervello si aggancia a questi picchi emotivi, a questo ciclo di tensione e sollievo. E quando cerchi di uscirne, ne senti proprio la mancanza fisica.

A lungo termine, vedo persone che faticano a fidarsi del proprio giudizio anche anni dopo e, nelle relazioni successive, si aspettano sempre il peggio, perché hanno normalizzato l’idea che l’amore debba essere difficile, che debba fare male. Ma tutto questo non è qualcosa a cui si è destinati, bensì un condizionamento del presente. Si può disimparare, anche se serve tempo e, spesso, supporto professionale».

Quali strategie pratiche e passaggi emotivi possono adottare le vittime per bloccare definitivamente l’hoovering e proteggere la propria guarigione?

«La strategia più efficace è il distacco totale. Sembra estremo, ma è come smettere di fumare: non puoi fumare “solo un po’”. Puoi provarci, ma se sei vulnerabile, il rischio di ricaderci è elevato. Concretamente: non andare a controllare i social, non scrivere, non chiamare. Talvolta, per proteggersi, serve anche bloccare la persona.
Una strategia importante è scrivere le proprie emozioni su un diario: nel tempo si dimenticano le cose brutte e si tende a ricordare solo quelle belle. Si idealizza la relazione.

Quando arriva la nostalgia, è bene rileggere, per ricordare perché si è scelto di proteggersi. Anche la rete di supporto è fondamentale: avere amici o familiari con cui essere liberi di dire “sto per cedere”, senza vergognarsi. Ti danno uno sguardo esterno prezioso. Uscirne non è un processo lineare. Ci sono giorni in cui il desiderio di scrivere sarà fortissimo. Non stai sbagliando: è il processo. A volte andrà bene, a volte male. Ma questo non significa che non stai andando avanti».

Quando è necessario chiedere aiuto a un professionista per superare il trauma della manipolazione e ricostruire l’autostima?

«Idealmente sempre, ma capisco che non tutti possono o vogliono. Quindi dico quando diventa urgente: se non si riesce a mantenere il distacco, è il momento di farsi supportare. Se si hanno pensieri intrusivi costanti; se si inizia a dubitare delle proprie percezioni, a dire “forse sono io il problema”, anche quello è il momento; se stati d’ansia e tristezza profonda interferiscono con gran parte della vita; se si evitano per lungo tempo nuove relazioni per paura.

Un professionista non dirà cosa fare: aiuterà a vedere i pattern, a capire perché si presentano, a ritrovare le cause per cui ci si è trovati in quella situazione. Piano piano, si tornerà a essere padroni di sé stessi e delle proprie percezioni.
Sarà un sostegno per dare validità a ciò che si è vissuto, a riconoscerlo come reale e significativo, a comprendere che non era sano. Ma, soprattutto, aiuterà a passare dal “perché mi ha fatto questo?” al “cosa posso imparare da questa esperienza?”. Non per dimenticare, ma per vederla senza che faccia più male, per imparare una lezione.
Perché finché il focus è sull’altro, l’altro ha ancora potenziale sulla persona.

Non si tratta di tornare come prima. Si tratta di diventare qualcuno che ha attraversato qualcosa di difficile e ne è uscito con una comprensione più profonda di sé e delle proprie relazioni. Meriti di vivere in una relazione in cui puoi respirare. Dove l’amore è costante, non intermittente. Dove la pace è normale, non l’eccezione».


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