Metafora della rana bollita: come uscire da una relazione disfunzionale

In una coppia che funziona nessuno prevale o comanda. Eppure succede, in quelle nuove o dopo la “luna di miele”, che uno dei due inizi a imporre, gradualmente, impercettibilmente, le proprie volontà. Allora, da certe pentole, meglio saltare fuori!



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La famosa metafora del filosofo statunitense Noam Chomsky racconta della cattiva tendenza umana ad adattarsi a situazioni spiacevoli senza reagire. La storia della rana bollita è una critica dei comportamenti sociali delle masse, ma ben si attaglia anche a molte dinamiche amorose che diventano, nel tempo, disfunzionali. In pratica, succede che in certe relazioni uno dei partner (il meno coinvolto) a un certo punto prende il comando della coppia, “addestrando” l’altro, innamorato senza riserve, ad accettare gradualmente situazioni inaccettabili. Un fuoco lento che può cuocere amicizie (frequentiamo solo i miei amici), routine (si fa solo quello che preferisco io), scelte importanti (lavoro, figli) e, alla fine, la coppia stessa.
Ne parliamo con Serena Borroni, psicologa e psicoterapeuta all’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore associato di Psicologia Clinica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.


Barbie e la guerra dei sessi

Il film Barbie, che ha spopolato al cinema, è la prova di come l’argomento su “chi comanda nella coppia” sia di grande attualità. In Barbieland vige il matriarcato, con un Ken sostanzialmente messo in pentola a bollire e con un ruolo subalterno alla biondissima protagonista, ma poi le parti si invertono, quando il famoso fidanzato scopre il machismo e cerca di importarlo nel mondo femminista delle bambole.

«In realtà nella coppia non dovrebbe comandare o prevalere nessuno», spiega Serena Borroni. «Però il tema della rana bollita dimostra che le persone tendono effettivamente a tollerare, già dall’inizio delle storie, piccole cose che non vanno bene anche in amore, e poi ci si abitua fino a rimanerci dentro, finché poi non si arriva a situazioni anche drammatiche dalle quali non si riesce a uscire. È un po’ il gioco di mettere la polvere dei problemi di coppia sotto il tappeto, cosa che può danneggiare entrambi i partner, e dove i singoli hanno un ruolo più o meno paritetico nell’adattarsi al sempre peggio».


Quando è lui a “cucinare”

«In molte relazioni si comincia bene: lui è gentile, premuroso, attento, amorevole, perfetto. Ma ci sono uomini (e donne, ma più raramente) che, una volta carpita la fiducia e l’amore dell’altro, si rivelano tutt’altre persone», spiega l’esperta. «Chi subisce una lenta cottura, in questa fase non riesce a cogliere determinati segnali negativi o approfondire i suoi dubbi, e inizia ad assuefarsi alla situazione in graduale deterioramento. Oppure coglie le anomalie comportamentali (atteggiamenti, omissioni, contraddizioni, piccole bugie), ma tende a porre l’accento più sugli aspetti positivi della relazione. E si va avanti».

Le donne, in particolare, mettono la sordina a quel prezioso strumento di selezione del personale maschile che è il sesto senso femmineo. «Succede soprattutto a chi viene da una storia precedente molto pesante (per esempio con un narcisista) o vive un matrimonio ancora formalmente esistente, ma ormai finito da anni», commenta la professoressa. «Arrivato il nuovo pretendente, si ha la forte voglia di vivere finalmente un amore in leggerezza, senza tanti pensieri (abbiamo già dato), e quindi senza troppi dubbi e la voglia di fare test all’altro».


I segnali dell’ebollizione

Dunque, all’inizio della storia d’amore l’acqua è fresca, potabile e, se la temperatura si alza un po’, quasi confortevole come un’acqua termale. Non lo sappiamo, ma il fuoco sotto la pentola è acceso da un po’, a fiamma bassa. «Eppure i segnali della cottura in corso sono già riconoscibili», spiega la psicoterapeuta. «Non sono eclatanti, come la violenza verbale vera e propria (che può arrivare alla fine), ma più o meno sottili, come velate critiche che poi si ripetono periodicamente e diventano veri e propri episodi di mancanza di rispetto, e poi la non considerazione del punto di vista dell'altro, l'essere centrati solo su stessi, non ascoltare il partner più debole o farlo con palese disinteresse e distrazione. Fino alla derisione in pubblico». Tutti segnali, questi, che aumentano di dimensione e frequenza a mano a mano che la relazione procede, con l’altra parte che li minimizza, che non li vuol vedere.


Troppo stanche per saltare

A un certo punto della relazione, come nella storia della rana, l’acqua è a 50°C ma, a furia di resistere, si è troppo stanche per avere la forza di uscirne, quella che avremmo avuto all’inizio, ai primi segnali degni di nota. «Restano soprattutto le cosiddette crocerossine, le donne che pensano “io lo salverò dai suoi difetti, io lo cambierò in meglio”: non sono poche e dimostrano una particolare resistenza alle temperature più alte», continua Serena Borroni.

«Alcuni di noi cercano poi delle persone che attivano certe aspettative e particolari schemi che abbiamo inconsci e quindi finiscono, involontariamente, per incappare nel partner sbagliato o con precise caratteristiche. Sono meccanismi inconsci o radicati nella storia delle prime relazioni, che vanno approfonditi con lo psicoterapeuta».


Come scappare dalla pentola

È importante non sottovalutare mai i segnali d’allarme della personalità dell’altro ma agire, chiedere, confrontarsi subito, e vedere quale tipo di reazione si ha come risposta. «Chi ci cuoce a fuoco lento non ci ama, perché non è capace di reciprocità», conclude Serena Borroni. «E spesso reagisce alle nostre richieste di spiegazioni con rabbia, altro segnale che non è da partner amorevole».

La consapevolezza di quanto stia succedendo è il primo step. Uscire dalla solitudine di queste storie è il secondo: ok al confidarsi con gli amici, ma non basta. E poi molti di questi “cuochi” isolano la partner dal contesto sociale, persino da quello più intimo, quello della famiglia d'origine. Ci vuole, a un certo punto, un aiuto tecnico e qualificato. Quando? Quando non si riesce più a fare il salto da sole.


Lui torna da te ma per chiudere il coperchio

“Non escludo il ritorno”: è l’epitaffio scritto sulla tomba di Franco Califano, un personaggio che di relazioni amorose ne sapeva. Lo stesso che potrebbe raccontarci che la maggior parte degli uomini, finita una storia, prima o poi torna per rimettere in pentola la stessa rana. «Lo fanno i narcisisti, che vogliono godere del senso di potere della riconquista nonostante il dolore provocato», spiega la psicoterapeuta. «Ma anche quelli semplicemente egoisti o che non erano “abbastanza innamorati”, che si erano presentati come uomini perfetti all’inizio e che rivogliono il proprio “giocattolo”. Adesso tornano per riavere i benefit di una volta, ma il ritorno non è che un coperchio che viene messo per non permettere più alla rana di scappare come prima. Almeno per un po’». Quindi, quando lui si ripresenta implorante e con le sembianze dell’uomo che vi ha fatto innamorare, ricordatevi di come ustionava la sua acqua. E via, lontane dalla pentola! Perché dietro al mazzo di fiori si nasconde un coperchio.


Ecco cosa dice la metafora della Rana bollita

“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. li fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce, semplicemente, morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50°C avrebbe dato un forte colpo di zampa e sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”

(Tratto dal libro Media e Potere di Noam Chomsky)


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