Farmaci antiacidi: quando servono davvero e come si usano

Sono tra i medicinali più usati, ma spesso sono presi inutilmente o per periodi troppo lunghi. Ecco i consigli del gastroenterologo



174829

Stando all’ultimo rapporto dell’Agenzia Italiana del farmaco (Aifa), gli inibitori della pompa protonica, comunemente detti antiacidi, sono tra i medicinali più prescritti nel nostro Paese, secondi solo a quelli per l’apparato cardiovascolare.

Di fatto, hanno rivoluzionato la cura di malattie difficili come le ulcere duodenali e gastriche, un tempo risolvibili solo con un intervento chirurgico complesso, e la loro efficacia è indiscussa, tanto che rientrano tra quelli considerati essenziali dall’Organizzazione mondiale della salute. Stando ai dati dell’Associazione italiana dei gastroenterologi ospedalieri (Aigo), però, un italiano su due li assume anche quando non dovrebbe, con tutti i rischi che ne derivano per la salute.

Per sapere come usarli bene e non correre rischi abbiamo intervistato il professor Silvio Danese, gastroenterologo, responsabile del Centro per le malattie infiammatorie croniche Intestinali di Humanitas e docente di Humanitas University.


In quali casi gli inibitori sono insostituibili?

«Servono se si soffre di reflusso gastroesofageo cronico: evitano che la risalita degli acidi verso la gola, attraverso il cardias, possa provocare lesioni alle pareti dell’esofago. Vengono utilizzati anche per trattare le infezioni da Helicobacter pylori, un germe responsabile di gastrite cronica, ulcere e addirittura lesioni precancerose: riducono l’acidità gastrica, dando modo agli antibiotici di combattere l’infezione, e alle eventuali ulcere di cicatrizzare.

Il loro aiuto è importante anche durante l’utilizzo degli antinfiammatori non steroidei (come il comunissimo acido acetilsalicilico o l’ibuprofene) perché impediscono che siano lesivi per le pareti dello stomaco. Infine, possono essere utilizzati per il controllo delle piccole emorragie del tratto digestivo superiore, che possono manifestarsi anche dopo un esame endoscopico».


Quali accortezze seguire perché funzionino al meglio?

«Assumerli una sola volta al giorno, preferibilmente al mattino, 20-30 minuti prima di una colazione che deve contenere una quota di proteine (per esempio una tazza di latte o un cappuccino) e qualche biscotto: in questo modo si stimola la secrezione acida, permettendo così agli inibitori di pompa protonica di “entrare in azione”».


Quando il loro uso diventa rischioso?

«Se è prolungato nel tempo. Se presi troppo a lungo, gli inibitori di pompa protonica possono ridurre l’assorbimento del magnesio che a sua volta influenza negativamente anche quello del calcio, aumentando del 30-40% il rischio di osteoporosi e di incorrere in fratture. La riduzione del magnesio in circolo potrebbe aumentare anche l’incidenza di aritmie cardiache.

Maggiori anche i pericoli di soffrire di diarrea, sia provocata da infezioni da Clostridium difficile, un batterio che ha come bersaglio l’intestino, che legata allo sviluppo di coliti microscopiche, patologie infiammatorie croniche che interessano il colon. Infine, secondo alcuni recenti studi (che però richiedono ulteriori verifiche) questi farmaci potrebbero aumentare del 16% il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari (infarto in primo luogo) nei pazienti che assumono in contemporanea anche antiaggreganti piastrinici».


Che fare, allora, per non correre pericoli?

«Utilizzarli sotto diretto controllo del medico, al dosaggio più basso e per il periodo di tempo più breve possibile ricordando che, come raccomanda anche l’Fda, la loro assunzione non dovrebbe mai superare le 4-8 settimane consecutive. Nell’80% dei casi, infatti, questi tempi sono sufficienti per far scomparire i sintomi del reflusso, eradicare l’infezione da Helicobacter pylori, o per far rimarginare eventuali ulcere indotte dal germe».


Che fare, invece, se è necessario assumerli per lunghi periodi?

«È possibile alternarli con altri farmaci che, con meccanismi diversi, bloccano ugualmente la secrezione dell’acido cloridrico, senza però riservare sorprese: per esempio gli H2 antagonisti, come la ranitidina. Utile inoltre, monitorare i livelli di magnesio, di ferro e di vitamina B12 la cui assimilazione può essere ridotta dall’assunzione degli inibitori, ma che si può compensare con integratori specifici».


Dopo cure prolungate occorre qualche accortezza quando si smette di prenderli?

«Sì: scalare progressivamente le dosi perché alla sospensione del farmaco si può manifestare una difficoltà digestiva e un’ipersecrezione acida di rimbalzo, dovuta a elevati livelli di gastrina e di cromogranina A, ormoni la cui funzione è proprio quella di regolare la secrezione dell’acido».


Possono interferire con l’azione di altri farmaci?

«Sì. Possono potenziare eccessivamente gli effetti di anticoagulanti (come il warfarin), antiaggreganti (come il clopridogel) e ansiolitici (a base di diazepam). Il medico deve tenere conto di queste interazioni. L’utilizzo degli inibitori di pompa protonica non è raccomandato neanche nei pazienti in terapia con steroidi o con antibiotici specifici».


Quando è invece inutile ricorrere agli inibitori della pompa protonica?

«In caso di acidità e di reflusso occasionali, ovvero quando si è vittime di problemi di cattiva digestione legati magari a un’alimentazione disordinata, o ad abitudini scorrette come abuso di alcol e fumo, o a un’eccessiva dose di stress, fattore che influenza negativamente la secrezione acida dello stomaco».


Come curarsi in caso di acidità occasionale?

«Con un antiacido a base di bicarbonato di sodio, che agisce impedendo l’eccessivo abbassamento del pH all’interno dello stomaco. È possibile utilizzare anche sali di calcio, sali di magnesio e/o di alluminio, che “tamponano” gli acidi in eccesso. Per prevenire il reflusso, invece, possono essere utili antiacidi che contengono alginato di sodio: questa sostanza interagisce con i succhi gastrici formando un gel protettivo.

Per evitare la risalita del cibo verso l’esofago e favorire una buona digestione è inoltre utile frazionare l’alimentazione in 5 pasti quotidiani evitando le porzioni abbondanti, non mettersi in posizione supina dopo mangiato, non indossare vestiti o cinture troppo strette, evitare gli sforzi fisici eccessivi dopo il pasto e dormire con la testa leggermente sollevata».



Come agiscono nello stomaco

Noti anche come prazoli, gli inibitori della pompa protonica sono molecole come l’omeprazolo (il più diffuso), il pantoprazolo, l’esomeprazolo, il lansoprazolo e il rabeprazolo.

Sono tutti in grado di inibire la secrezione dell’acido cloridrico, di norma prodotto dalle mucose dello stomaco per favorire la digestione e annientare eventuali germi che arrivano con l’alimentazione. Una volta ingeriti, questi farmaci bloccano le proteine poste sulle membrane delle cellule gastriche, deputate a immettere ioni acidi (H+ e quindi protoni, da cui deriva anche il nome degli inibitori) nello stomaco.

La loro azione è irreversibile per le 18-24 ore successive: una sola compressa riesce  perciò a controllare l’ipersecrezione gastrica per tutto il giorno.


Fai la tua domanda ai nostri esperti

Articolo pubblicato nel n° 6 di Starbene in edicola dal 22 gennaio 2019

Leggi anche

Reflusso: i rimedi naturali

Reflusso gastroesofageo: cosa mangiare

Reflusso gastroesofageo: cause e rimedi