Le persone malate di diabete sono davvero tantissime: secondo le stime dell’International Diabetes Federation sono circa 387 milioni in tutto il mondo, una diffusione peraltro in continua crescita.
Allo sviluppo di diabete di tipo 2 concorrono sia fattori genetici che ambientali: esistono infatti molti fattori di rischio per la condizione che, se debitamente tenuti sotto controllo, possono evitare lo sviluppo della malattia.
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11 settembre 2015
(articolo aggiornato il 31 maggio 2016)
La convivenza con il diabete è complessa e spesso stressante. Secondo uno studio della Stanford Medicine ogni giorno un diabetico deve affrontare in media 180 decisioni, dovendo valutare informazioni su vari fattori come ad esempio il livello degli zuccheri nel sangue o la scelta dell'alimentazione.
Ma arriva una nuova soluzione tecnologica per migliorare la qualità della vita. La Philips, in collaborazione con Radboud University Medical Center e Salesforce, ha sviluppato un'applicazione per la gestione del diabete (per ora disponibile solo in Olanda) che raccoglie e connette i dati provenienti dalle misurazioni cliniche - sia quelle dei vari dispositivi personali per la salute, che quelle provenienti dalle cartelle cliniche elettroniche - al fine di orientare le scelte del paziente. La app crea anche una community virtuale nella quale pazienti e medici possono interagire in un ambiente virtuale collaborativo e protetto.
Poter prevedere con largo anticipo chi si ammalerà di diabete potrebbe essere un modo per arginare la forte diffusione di questa malattia: il diabete di tipo 2, infatti, in molti casi si può prevenire dando una sterzata significativa al proprio stile di vita.
Tra i fattori di rischio modificabili che maggiormente concorrono all’insorgenza del disturbo, si noverano la sedentarietà, il sovrappeso, l’ipertensione, l’ipercolesterolemia e l’ipertrigliceridemia.
Uno studio italiano ha recentemente dimostrato come il test da carico di glucosio (un esame economico, normalmente prescritto in gravidanza, che consiste nel misurare la glicemia a digiuno e poi due ore dopo l’ingestione di 75 grammi di glucosio per accertare l’eventuale presenza di diabete gestazionale), se eseguito su persone sane può rivelare anche con cinque anni di anticipo quale sia il rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2.
Normalmente, dopo aver eseguito il test da carico del glucosio, se la glicemia è inferiore a 140 mg\dl il soggetto è considerato sano, mentre se i valori sono superiori a 200 mg\dl il paziente è considerato diabetico.
I ricercatori si sono quindi concentrati su quei pazienti con un responso di glicemia compresa fra 140 e 200 mg\dl dopo due dall’esecuzione del test: chi fra loro aveva registrato una glicemia superiore a 155 mg\dl dopo un’ora dall’esecuzione del test, ha avuto una probabilità del 400% in più di sviluppare diabete di tipo 2 entro cinque anni.
Scoprire che un paziente ha una tale percentuale di rischio della malattia quindi potrebbe indirizzare il personale sanitario e il paziente stesso ad attuare tutta una serie di misure che lo portino a correggere quei fattori che lo espongono alla malattia: con largo anticipo, quindi, si potrebbe iniziare un programma dietetico e di esercizio fisico mirato, che aiutino l’interessato a raggiungere il peso forma e a correggere, per esempio, l’eventuale ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia.
Come conclude il professor Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Diabetologia, «questa ricerca ha dimostrato come le persone con normale tolleranza glucidica, ma con valori di glicemia maggiori di 155 mg/dl un’ora dopo l’assunzione di una bevanda contenente 75 grammi di glucosio (test da carico orale di glucosio, OGTT), abbiano un rischio maggiore di sviluppare il diabete mellito di tipo 2, rispetto a quelli con alterata glicemia a digiuno (IFG- Impaired Fasting Glucose), una condizione considerata a rischio secondo le linee guida internazionali e caratterizzata da un valore di glicemia a digiuno compreso tra 100 e 125 mg/ml».