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Spotting: cos’è, le cause, quando preoccuparsi

Le perdite ematiche fra una mestruazione e l’altra possono avere molteplici cause, dal banale squilibrio ormonale a condizioni che richiedono diagnosi tempestive e trattamenti mirati. Proprio per questo non vanno mai banalizzate

Foto: iStock



Piccole macchie di sangue tra una mestruazione e l’altra: è il fenomeno che in medicina viene chiamato spotting (dal verbo inglese to spot, “macchiare”). Si tratta di perdite ematiche che compaiono in momenti inattesi del ciclo mestruale e, sebbene possano sembrare innocue, rappresentano un segnale del corpo, un invito a capire se qualcosa non funziona come dovrebbe.

Per questo motivo lo spotting non va mai ignorato né affrontato con rimedi fai-da-te: interpretarlo correttamente richiede l’aiuto di un ginecologo, in grado di individuarne la causa ed escludere eventuali condizioni più serie.

Cos’è lo spotting

«Per definizione, lo spotting è un sanguinamento leggero, tanto da poter essere contenuto con un semplice salvaslip nell’arco della giornata, raramente due», spiega la dottoressa Silvia Sansavini, ginecologa al Primus Forlì Medical Center. «Può durare uno o due giorni, ma in alcune situazioni può protrarsi più a lungo, diventando motivo di preoccupazione per chi lo sperimenta».

Anche il colore del sangue è un indicatore importante: «Se lo spotting deriva da piccoli eventi traumatici, come un’ipersensibilità o un’abrasione vaginale, tende a essere rosso vivo», precisa l’esperta. «Più spesso, però, assume tonalità scure o brunastre. Questo perché il sangue, rilasciato lentamente dall’utero, resta a lungo a contatto con l’ambiente interno, ossidandosi e modificando la sua colorazione».

Quali sono le cause dello spotting in età fertile

Nella maggior parte dei casi, lo spotting è legato a condizioni patologiche o alterazioni funzionali del ciclo. «L’unica situazione considerata fisiologica è lo spotting che compare a metà ciclo, in corrispondenza dell’ovulazione», chiarisce la dottoressa Sansavini. «Si tratta di perdite minime, di breve durata. Al di fuori di questa circostanza, ogni episodio di spotting merita attenzione, perché una donna sana non dovrebbe sanguinare tra una mestruazione e l’altra».

Il momento del ciclo in cui compare lo spotting è un elemento fondamentale per orientare la diagnosi. Se si manifesta regolarmente prima della mestruazione, può indicare una carenza di progesterone, una condizione definita “spotting disfunzionale”, non patologica e facilmente trattabile con supporto ormonale.

Se invece il sanguinamento si manifesta senza una periodicità precisa, le ipotesi diventano più ampie. Nelle donne giovani, in particolare, uno spotting irregolare accompagnato da dolore pelvico può suggerire la presenza di un’infezione. «Tra gli agenti batterici più comuni c’è la clamidia, che si può diagnosticare con un semplice tampone e trattare in modo efficace con una terapia antibiotica», indica la ginecologa. È importante, però, non sottovalutare questi episodi: una clamidia non riconosciuta o non curata può evolvere in una malattia infiammatoria pelvica (PID), una condizione seria che coinvolge utero, tube e ovaie e che, se trascurata, può compromettere la fertilità futura.

Lo spotting può anche essere legato alla presenza di polipi uterini, meno frequenti in età molto giovane, oppure può comparire in seguito ai rapporti sessuali: in questi casi la causa è spesso di origine cervicale, dovuta a infezioni, infiammazioni o, più raramente, a displasie del collo dell’utero. «Proprio a livello cervicale, lo spotting può talvolta rappresentare il segnale precoce di un tumore: non è la causa più frequente, ma è importante riconoscerla, perché in questi casi il sanguinamento tende a essere quotidiano e persistente», suggerisce la dottoressa Sansavini.

Un’altra possibile origine è l’endometriosi. In alcune donne, infatti, le cellule endometriali si impiantano a livello vaginale, dando luogo a piccoli sanguinamenti ricorrenti che possono comparire anche al di fuori del ciclo e somigliare a una “mini-mestruazione” scura, che si ripete ogni mese.

Molto comune è anche lo spotting legato alla pillola contraccettiva. «Nei primi mesi è normale, ma se persiste può indicare un dosaggio ormonale insufficiente», avverte l’esperta. «Altre volte lo spotting è dovuto a dimenticanze, interazioni farmacologiche o problemi di assorbimento intestinale. In questi casi il ginecologo può modificare il tipo di pillola o il dosaggio per stabilizzare il ciclo».

Un caso particolare è lo spotting post-mestruale nelle donne con precedenti cesarei. Nella cicatrice uterina può formarsi una piccola “sacca” che trattiene sangue residuo, chiamata istmocele. Dopo la mestruazione, questo sangue viene rilasciato lentamente, generando uno spotting prolungato. La gestione può includere trattamenti personalizzati per ridurre la quantità di sanguinamento, mentre interventi chirurgici correttivi sono riservati a situazioni selezionate, valutando gli obiettivi riproduttivi della paziente.

Quali sono le cause in post-menopausa

Nella donna in post-menopausa, invece, ogni sanguinamento deve essere valutato con attenzione: dopo la fine naturale del ciclo mestruale, le perdite di sangue non sono fisiologiche.

«Le cause possono essere banali, come l’atrofia vaginale», dice la dottoressa Sansavini. «Tessuti sottili e fragili possono sanguinare leggermente dopo i rapporti sessuali. Tuttavia, è fondamentale escludere condizioni più serie, come polipi endometriali o, più raramente, tumore dell’endometrio, studiando accuratamente la cavità uterina».

Nelle donne che assumono terapia ormonale sostitutiva, lo spotting può anche derivare da dosaggi inadeguati, spesso troppo elevati. In questi casi, la regola è sospendere temporaneamente la terapia e indagare l’origine del sanguinamento.

Come si indaga lo spotting

L’iter diagnostico parte da una buona anamnesi e da un esame obiettivo eseguito con metodo: l’ispezione deve essere ordinata e completa, dall’esterno verso l’interno: vulva, vagina (con esplorazione digitale), collo dell’utero con speculum ed ecografia transvaginale per visualizzare utero, ovaie, tube e altre strutture pelviche.

Solo un approccio sequenziale permette di non trascurare possibili cause localizzate in zone spesso poco osservate. In particolare nelle donne in post-menopausa, è frequente una causa banale di spotting che può creare allarme: l'ectopia dell'uretra.

«L’uretra, il piccolo canale che sbuca sotto il clitoride, può sviluppare una piccola estroflessione della mucosa, più rosata e ricca di vasi sanguigni», racconta la dottoressa Sansavini. «Per strofinamento o trauma, questa zona può sanguinare leggermente e generare spotting. È un fenomeno semplice e non preoccupante, ma può confondere la diagnosi e far cercare altrove l’origine del sanguinamento».

Come si tratta lo spotting

La gestione dello spotting dipende sempre dalla causa individuata. Nei casi più semplici, come lo spotting da atrofia vaginale, possono essere sufficienti trattamenti locali, ad esempio creme eutrofizzanti o ovuli emollienti, che migliorano lo stato dei tessuti e riducono le perdite.

Se la causa è un’infezione, la terapia prevede antibiotici mirati al microrganismo responsabile. In caso di spotting disfunzionale di origine ormonale – ad esempio legato a una carenza di progesterone prima della mestruazione – è possibile intervenire con un supporto ormonale, somministrando progesterone o modulando la contraccezione con una pillola appropriata. Polipi, lesioni endometriali o altre alterazioni anatomiche richiedono invece interventi chirurgici specifici.

«In generale, la terapia dello spotting è sempre personalizzata, guidata dall’origine del sanguinamento, dalla fase del ciclo in cui compare e dalle condizioni cliniche della donna», conclude la dottoressa Sansavini. «Con il giusto percorso diagnostico e un trattamento mirato, lo spotting può essere efficacemente gestito, trasformandosi da segnale di allarme in un’opportunità per prendersi cura della propria salute intima».


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