Clamidia: cos’è, cause, diagnosi, cura, rischi

Infezione a trasmissione sessuale che colpisce uomini e donne, è soprattutto nel sesso femminile che può determinare danni permanenti agli organi deputati alla riproduzione, compromettendo la fertilità



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È una delle infezioni a trasmissione sessuale più diffuse al mondo, insieme a gonorrea e sifilide: causata dal batterio Chlamydia Trachomatis, la clamidia colpisce prevalentemente le donne, anche se non disdegna gli uomini, e si trasmette principalmente attraverso i rapporti sessuali non protetti oppure al momento del parto, dalla mamma al bambino.

«La differenza sostanziale fra i due sessi risiede negli esiti che ne derivano: nel genere femminile la clamidia può causare danni permanenti al sistema riproduttivo, mentre in quello maschile può determinare una sintomatologia locale, sotto forma di balanite o uretrite, facilmente trattabili con una terapia medica», racconta il dottor Giuseppe Sorrenti, responsabile dell’Unità Operativa di Ginecologia all’Ospedale San Carlo di Nancy di Roma. «Nel caso della trasmissione materno-fetale, invece, il bambino potrebbe sviluppare una congiuntivite a pochi giorni dalla nascita, risolvibile con un’opportuna terapia antibiotica».

Quali sono i sintomi della clamidia

Nel 60-70 per cento dei casi, la clamidia è del tutto asintomatica, per cui le pazienti non presentano alcun sintomo. Nel restante 30-40 per cento dei casi, invece, questa infezione determina una sintomatologia vaga e sfumata, facilmente confondibile con altre problematiche del basso tratto genitale, come una cistite o una banale vaginite batterica: sensazione di pesantezza al basso ventre, perdite vaginali, prurito e arrossamento.

«Si tratta, quindi, di una patologia subdola, perché silente. Il problema è che, con una diagnosi tardiva o in assenza di un trattamento adeguato, la clamidia può infettare il basso tratto genitale e risalire dal collo dell’utero alle tube di Falloppio, fino a danneggiarle in maniera irreversibile e compromettendo la fertilità», avverte il dottor Sorrenti. «Generalmente, in quella fase dell’infezione, le pazienti ricorrono al pronto soccorso a causa di un dolore acuto, spesso accompagnato da febbricola e causato da un ascesso tubo-ovarico, un’infezione localizzata fra la tuba e l’ovaio che danneggia anatomicamente gli organi deputati alla riproduzione».

Come si diagnostica la clamidia

Per la diagnosi della clamidia, è fondamentale eseguire un tampone sul collo dell’utero per le donne o all’inizio dell’uretra per gli uomini: questo test consente di determinare con certezza la presenza del batterio.

«Purtroppo, al momento, non esiste un test di screening, simile al Pap test, da eseguire di routine per individuare la malattia nelle pazienti asintomatiche», spiega l’esperto. «Solo le sintomatiche vengono indirizzate all’esecuzione del tampone vaginale, che consente di analizzare il campione con moderni metodi di biologia molecolare, molto sensibili e affidabili».

In compenso, negli ultimi Lea (Livelli essenziali di assistenza), è stata inserita la ricerca del Chlamydia Trachomatis fra i vari tamponi vagino-rettali offerti gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale durante la gravidanza: «Qualora il tampone risulti positivo, la futura mamma dovrà seguire una terapia antibiotica specifica», evidenzia il dottor Sorrenti.

Come si cura la clamidia

La clamidia va trattata con antibiotici mirati (principalmente azitromicina o, in alternativa, chinolonici), estendendo la cura anche al partner.
«Mediamente, bastano pochi giorni di cura per debellare l’infezione, ma il farmaco non è in grado di eliminare gli eventuali danni tubarici creati dal microrganismo», specifica il dottor Sorrenti.

Come si previene la clamidia

In generale, la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili (come la clamidia) risiede nell’adozione di una sana vita sessuale. «Siccome la trasmissione può avvenire attraverso qualsiasi tipo di rapporto sessuale, ovvero vaginale, anale e orale, il modo migliore per evitare di contrarre questo tipo di infezione è astenersi dai rapporti non protetti con partner occasionali, utilizzando sempre il preservativo come metodo di barriera», raccomanda il dottor Sorrenti.

L'esperto conclude: «Ovviamente, di fronte a sintomi sospetti, evitiamo il ricorso a test diagnostici fai-da-te, ma chiediamo sempre un parere al ginecologo di fiducia: la clamidia può aprire la strada alla cosiddetta malattia infiammatoria pelvica con tutti quei danni alla fertilità che possono compromettere non soltanto la riproduzione femminile, ma anche la qualità di vita nel suo complesso».


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